Archivio di febbraio 1984

Psicoanalisi contro n. 0 – Il mistero della psicoanalisi

mercoledì, 1 febbraio 1984

Psicoanalisi è il nome:

  1. di un procedimento per l’indagine di processi mentali che sono pressoché inaccessibili per altra via;
  2. di un metodo terapeutico fondato su tale indagine per il trattamento di disturbi nevrotici;
  3. di una serie di concezioni psicologiche acquisite per questa via e che gradualmente convergono in una nuova disciplina scientifica.

(S. Freud, Due voci di enciclopedia, 1922, da Opere, ed. Boringhieri)

Sigmund Freud è stato l’inventore della psicoanalisi.

Questa è una definizione riduttiva ed è una affermazione che non mi piace; allora, chi è stato Sigmund Freud? Sigmund Freud è stato uno scienziato che ha raccolto, talvolta raccattato qua e là, informazioni, nozioni e stimoli tentando con tutto ciò di costruire un discorso organico. È stato capace di grandi intuizioni e ha saputo osservare la realtà che gli stava intorno così da ricavarne alcuni concetti generali utili per intervenire sulla realtà stessa.

Sigmund Freud è stato un filosofo, che ha cercato di chiarire e sistematizzare ciò che le sue fantasie e le sue osservazioni empiriche gli venivano suggerendo: ha dato una visione dell’uomo e quindi ha anche dato una visione del mondo.
Se un uomo si interessa del mondo e cerca di interpretarlo non fa altro che dare una definizione di uomo e se tenta di capire l’uomo non fa altro che proporre un’ipotesi di mondo.

Sigmund Freud è stato un buon organizzatore di esperienze altrui: ha preso qualcosa dalle affermazioni dei ricercatori del suo tempo, qualcos’altro ha ricavato dal pensiero dei filosofi a lui più o meno contemporanei, ha orecchiato ciò che gli artisti andavano dicendo, inserendo il tutto nelle serrate maglie di un pensiero coerente. Sigmund Freud è stato un genio che ha raccolto le esigenze di un’epoca, che ha contribuito a chiarire le intuizioni di millenni di filosofia, di arte e di scienza ed è riuscito a raccontare l’uomo all’uomo in modo che questi si ritrovasse.
Ha descritto molte angosce profonde dell’umanità ed ha costretto gli uomini a prenderne coscienza.
Non ha né esaltato né abbassato l’uomo, gli ha dato strumenti, forse un po’ rozzi, per orientarsi nel cammino. Lo sguardo di Freud è stato acuto e penetrante; intimidito, però, da ciò che vedeva.
Nelle mani di Freud, Edipo, forse, non è più un eroe, ma ha la possibilità di scrollarsi di dosso secoli di ipocrisia. Edipo è in attesa…
S. Freud è stato l’inventore della psicoanalisi.

(continua…)

0 – Febbraio ‘84

mercoledì, 1 febbraio 1984

A Roma, come dappertutto, si mangia e si beve, qui forse un po’ più che altrove. I turisti che mangiano la frittura di pesce, bevendoci sopra l’aranciata, non invogliano certo i ristoratori a curare la cucina; inoltre alcuni ristoranti sono collocati in posizioni così suggestive che è difficile accorgersi d’altro e pensare a ciò che si sta mangiando.

Anticonformista rispetto a quest’andazzo è un ristorante, situato in uno splendido angolo di Roma: «Il Buco» di Via S. Ignazio, quasi all’angolo con la piazza del Collegio Romano: un ambiente confortevole e di gusto vecchiotto sia per l’arredamento sia per il servizio; ma la cucina qui è ‘ veramente fatta come si deve. Piatti preparati con grande scienza, usando materie prime di ottima qualità. L’impostazione del menù è quella del ristorante toscano: con crostini di caccia, ribollite, spiedini senesi, cinghiali e camosci in agrodolce, appetitose grigliate di crostacei e i tradizionali tozzetti offerti con vin santo e con il conto (onestissimo!). Per quanto buono il vino rosso della casa, è purtroppo carente la lista dei vini che offre poca e non abbastanza qualificata scelta.
In un luogo altrettanto bello di Roma si trova «La Palmerie», ristorante che si propone di essere alternativo tanto quanto l’altro è tradizionale. Due porte-vetrine su via Cimarra introducono ad un ambiente bianco-azzurro, a metà tra la vecchia latteria e la pasticceria tunisina: cammelli dipinti sulle pareti, vecchie fotografie incorniciate un po’ decò, tele cerate a fiori sui tavoli troppo fitti. Menù difficile che comprende Coulotte rosè e Serpentone tra i primi, Coniglio alle prugne e Galletto al mais e arancia tra i secondi. Detto che le coulotte sono specie di maltagliati alla barbabietola e che il serpentone è il rotolo di ricotta e spinaci, precisiamo subito che qui si mangia malissimo. Sull’onda dell’alternativo vengono propinati pastrocchi scivolosi di panna che li avvolge tutti, dal primo al dessert. Il pubblico, alternativo, ma non troppo, è poi folgorato da un conto esorbitante che scuote l’ultima fiducia nell’alternatività della gestione. Strana incongruenza la carta dei vini: una scelta ampia di ottimi vini bianchi e rossi (tra i cui un eccellente Dolcetto di Dogliani) che i rimangono ottimi forse perché è stato impossibile cucinarli sul posto.

0 – Febbraio ‘84

mercoledì, 1 febbraio 1984

Danza, o Musa, per me che non so cantare. È stato un caso, lo giuro. Danza ti pregopurificami dal buon senso. È stato un caso: ascoltare la sinfonia in re minore di Franck ed insieme leggere « Freùd e l’anima dell’uomo» di Bruno Bettelheim (Feltrinelli). Rapito da una melodia struggente e sensuale, disperata nello sforzo di definire il classico, mi son ritrovato avvinghiato da un uomo nato dalla terra. Trasformata con subdola ambiguità la storia di Eros e Psiche nella squallida relazione di una coppietta eterosessuale, il buon americano «assimilato» al viennese snocciola la più deprimente pappa del cuore. E non capisci se è ingenuo o furbo, probabilmente è soltanto un honnete homme. E chi è l’uomo onesto e di buon senso, il nuovo umanista? Il buon psicoanalista. Tu, Musa, taci: gli eroi hanno lasciato i furori. L’uomo e la sua anima, ecco la grande scoperta: l’uomo neutro, né maschio né femmina: la rinascita dell’uomo e della sua anima è la morte del corpo e il trionfo del potere. Almeno il buon Ciriaco d’Ancona li voleva resuscitare, quei sacri morti. Umanista rinascimentale il Bruno americano riprende la filologia ed attacca le scienze esatte. La storia si ripete; fosse almeno Petrarca! Voi che ascoltate delle sparse banalità il suono, voi ribellatevi a questa psicoanalisi fondata sul potere e sui cadaveri. Divino Platone canta alla mia anima, canta ancora il tuo Eros.

0 – Febbraio ‘84

mercoledì, 1 febbraio 1984

Accademia Ackermann, di Giancarlo Sepe, Teatro La Comunità, Via Zanazzo. Volete vedere uno spettacolo brutto, anzi bruttissimo? Uno spettacolo sciocco e al limite dell’apologia del nazismo, pur a voler essere comprensivi dell’inconscio sado-masochistico che è in ognuno di noi. L’autore è troppo dalla parte dei nazisti e il discorso morale ed ideologico è assai debole. Il tutto dà la sensazione di uno spettacolo fatto dai ragazzi di un liceo all’ultimo anno di scuola; anche se gli interpreti si rivelano abbastanza bravi. La musica ha un ruolo importante ed è presente dall’inizio alla fine dello spettacolo. Stefano Narcusci si rivela autore efficace, malgrado la ripetitività e l’armonizzazione non sempre corretta e un po’ banale.

Caligola di Albert Camus, Teatro Argentina.
Uno splendido testo da non rappresentare: Camus non sa scrivere per il teatro; ma sa scrivere! Il lungo monologo (il Caligola non è altro) coinvolge e trascina, per la forza delle parole e per la tensione emotiva, persino quando la verbosità è un po’ eccessiva. Caligola è una figura che si fa orribilmente amare: grande e tenera nella sua debolezza. Il testo esalta il potere dello amore e non l’amore del potere. Assolutamente sbagliata la recitazione di Pino Micol, buon attore che conosce il suo mestiere ma che è un Caligola troppo «checca» e «topogigione». Gli altri non sanno recitare o lo nascondono molto bene. La condanna è senza appello. Il tintinnio sporadico della musica è pleonastico. Gradevoli i costumi in una scena vuota. La regia dov’è?

0 – febbraio ‘84

mercoledì, 1 febbraio 1984

Salvatore Accardo violino, Bruno Canino pianoforte:
Schubert Sonatina in sol minore op. 137 n. 3
Beethoven Sonata in do minore op. 30 n. 2 Prokofiev Sonata n. 1 in fa minore op. 80 Szymanowski Notturno e tarantella op. 28 Stagione di musica da camera dell’Accademia Nazione di S. Cecilia, auditorio di Via della Conciliazione. Venerdì 13 gennaio.

Purtroppo non nella sala accademica, perché da anni i concerti da camera di S. Cecilia non si tengono più nel luogo sacro a Palestrina, S. Accardo e B. Canino hanno dato un saggio splendido di come si deve fare musica. Il violino cantava senza sdolcinature, trillava e guizzava virtuosisticamente, senza usare vuote sonorità. Il pianoforte, non secondo, dialogava preciso nelle melodie e negli accordi; talvolta un’impressione di durezza, immediatamente mitigata da una profonda musicalità. Splendida interpretazione di Schubert, Mozartianamente grande qui nella semplicità melodica e armonica. Tesa e precisa la lettura di Beethoven, che è sempre facile interpretare in maniera ovvia, quando si possiede una buona tecnica: ma stavolta di ovvio non c’era nulla.

La bruttina e presuntuosa sonata di Prokofiev dava quello che poteva sotto quelle mani esperte; così pure la geniale e un po’ frivola musica di Szymanowski. Concerto di musiche rinascimentali per quattro viole da gamba e voce, nelle Fiandre Spagna e Inghilterra. Interpreti: Viole da gamba Wynanda Schaap, Bettina Hoffmann, Alison Fowle,Vladimiro Galiano, Voce Ille Strazza; Cembalo Diana Petech; Oratorio del Gonfalone, giovedì 19 gennaio. A Roma si addice il Barocco e la musica barocca ha mille luoghi, luoghi ove far splendere le sue meraviglie: il Gonfalone è uno di questi luoghi.

Per fare musica rinascimentale e barocca è indispensabile una ipersensibilità musicale ed estetica. Soprattutto queste musiche, che il programma di Sala vuole definire con un po’ di imprecisione solo rinascimentali, sono difficilissime da leggere e da capire. Siamo qui di fronte ad una musica profonda, bizzarra e spudorata e i solisti dell’Alba Musica ce l’hanno saputa esporre con gradevole precisione, impastando la sensualità delle melodie con il discorso armonico, talvolta così imprevedibile da lasciare senza fiato. Il tutto legato da un contrappunto esposto con bravura e semplicità e immediatamente comprensibile.

00 – Febbraio ‘84

mercoledì, 1 febbraio 1984

Vergogna

“Solo di lui io mi vergogno”: Dice Alcibiade, nel Convito platonico, riferendosi a Socrate. Perché il Maestro è una figura imbarazzante. Troppo si è parlato, in tempi recenti, di veri o presunti “cattivi maestri”, e poco ci si è preoccupati di dare connotati precisi alla figura del Maestro. Questo anche perché quasi nessuno ha avuto ed ha il coraggio di dire di sé: “Io sono un Maestro”. E’ quindi cosa non comune che Sandro Gindro affermi: – Io voglio essere, per i miei discepoli, il Maestro. –E che i discepoli dicano, sia pure con rossore: – Quello è il nostro Maestro -. Di qui, però, incomincia appena la questione: perché noi del nostro Maestro ci vergogniamo. Tesi notte e giorno alla ricerca di un segno particolare del suo favore, spaventati all’idea di dispiacergli anche per un piccolo particolare, viviamo nel continuo desiderio e bisogno di lui. Protetti dall’omogeneità del gruppo, non esitiamo a gareggiare in eroismi e virtuosismi, che gli dimostrino quanto siamo degni del suo amore, fino a raggiungere elevate punte di ridicolo. Ci muoviamo interiormente convinti di essere la parte eletta di una ristretta schiera di privilegiati… ma ci vergogniamo di lui. Ce ne vergogniamo quando gli altri ci paragonano ai neofiti entusiasti e arancioni di qualche guru orientale. Ce ne vergogniamo quando l’inesauribile disputa delle conventicole ci costringe a confronti di titoli e ufficialità. Ci vergogniamo di dire che lui compone musica e scrive testi per il teatro, perché gli altri psicoanalisti e capi di scuole psicologiche non lo fanno. Non ci chiediamo neppure se lui, qualche volta, si vergogni di noi! Inconsapevoli di facili paragoni evangelici, a volte, quasi neghiamo di conoscerlo. Eppure, se non avessimo la certezza che lui per noi è il Maestro, il nostro coraggio nell’affrontare la vita sarebbe minore. A questo punto, balza evidente che non ho saputo dare la definizione di Maestro. A meno che non voglia ammettere che il mio Maestro è colui che amo e che mi ama, anche se: “Solo di lui io mi vergogno”.

A dirla proprio tutta, non solo del Maestro ci vergogniamo: un po’ di vergogna l’abbiamo anche di far uscire questo foglio. Affrontare il cimento di questa apparizione nelle edicole, perdendo un po’ del prestigio che ci dava l’essere una “rivista in libreria”. Decisamente, questo non è “IN”! Ma noi non vogliamo essere “IN”, almeno fino a quando non sarà “IN” essere come noi. Non c’è rivendicazione di militanze che possa incentivare all’acquisto di un giornaletto che dice cose non sempre gradevoli e che non aderisce all’ufficialità di qualche Opinione. Nelle righe che seguono e seguiranno, troverete solo lo sforzo di Sandro Gindro, e dei suoi discepoli di PSICOANALISI CONTRO di tenersi in contatto con Voi. Tentiamo anche la via di una comunicazione più allargata, che si soffermi anche sugli aspetti quotidiani della nostra e Vostra vita. Psicoanalisi e filosofia, come piace ed è giusto che sia, saranno la trama del discorso; ma anche gli aspetti della cultura e dell’arte in cui noi e Voi ci imbattiamo ogni giorno; fino a giungere a dirci cosa abbiamo visto, letto o ascoltato, cosa e come abbiamo mangiato e bevuto. Il rischio che corriamo è quello della chiacchiera; l’opportunità che ci si offre è quella di una riflessione sul chi siamo, come lo siamo e perché lo siamo. E soprattutto di renderci reciprocamente chiaro che cosa non vogliamo essere.

0 – Febbraio ‘84

mercoledì, 1 febbraio 1984

Non solo a Roma, troppi dipingono. I commercianti d’arte fomentano un mercato nel quale la qualità artistica del prodotto non è più importante di quanto lo sia il valore artistico per una collezione di francobolli. L’arte contemporanea non è brutta: è stupida. Questa stupidità è colpa dei mercanti o è dovuta al venire meno del Principe? È da escludere però che sia colpa degli artisti. Tra il dicembre 1983 e il gennaio ‘84 Renzo Vespignani ha esposto allo Studio S/Arte Contemporanea, in Via della Penna 59, le sue incisioni dedicate a Giacomo Leopardi. Non vorremmo entrare nel merito della fondatezza del collegamento tra l’Incisore e il Poeta o della liceità di equivalenza tra linguaggi diversi ed eventuali corrispondenze. Ci interessa parlarvi di Renzo Vespignani, un tale che, seppur contemporaneo, sa ben dipingere e ben disegnare. La sua opera è quella di un ragazzo che non vuole invecchiare e di un artista vero perché carico di erotismo e di ingenuità. Il suo segno è preciso, magistrale e perfetto. Un incontro con la sua arte è un’esperienza preziosa.