Nel Velluto un’Armonia di Silenzio

Nel Velluto un’Armonia di Silenzio

«Si immagini tutta questa severa allegria, sormontatadall’aurea sontuosa architettura dell’arpa a pedali di Erard, e si comprenderà la magica attrazione che il negozio dello zio, quel paradiso di armonie silenti ma preannunciate in cento forme, esercitava su noi ragazzi… »
(T. Mann, « Doctor Faustus »).

Il fascino degli strumenti musicali è infinito: superfici di legno liscio e lucido, spessori compatti di legno caldo; metalli freddi o teneri come la carne, ance, pistoni, tasti, riccioli, velluto, fessure che aprono profondità misteriose, e poi, odore di musica.Lo strumento musicale è un corpo. Si è venuto costruendo a contatto con il corpo umano. Secoli di amore e di ricerca hanno partorito il violino e il clarinetto.
Un’ingenua favoletta ci racconta che la musica è nata dall’imitazione del canto degli uccelli. Io dico che la musica è prima e dopo; solo per accidente essa è suono.La musica è prima di tutto silenzio, la musica si esprime col tatto. La via del suono l’ha imparata dopo. La musica vive nel corpo che vive. Il corpo che vive si muove: un fluire, un pulsare di organi, un contrarsi di fibre. Un corpo che vive e che muove è anche: il respiro, la gamba che fa il passo, la mano che accarezza. Tutto questo si distende in momenti successivi. Prima ho detto che la musica è prima di tutto silenzio; però avrei potuto dire che la musica è soltanto tensione e distensione; ma è una distensione che si costruisce attraverso tante piccole tensioni; ed è una tensione che si scioglie in una miriade di morbide distensioni.

La musica è il gesto più vicino al sogno; meglio: è prima del sogno. La musica si esprime attraverso la considerazione. La melodia, anche quando è omofona, ha dietro di sé, presupposta, una complicata polifonia. Gli armonici di un suono non sono soltanto il suo chiaroscuro, sono altri suoni che si condensano. Poi, ancora, armonie che sfumano, appena intuite, silenziose; talvolta precise come un sillogismo, talaltra arbitrarie e impreviste. Non esistono quindi melodie da intendersi come una pura successione nel tempo di suoni, la musica è prima del suono; è una condensazione di istanti vitali che, nel contrarsi e nel distendersi, roteano attorno e dentro al suono. La musica è sotto la pelle, la musica è anche la pelle. Quando le mani palpano uno strumento musicale questo deve diventare una parte del corpo. Questa è la magia dello strumento musicale: quando sonnecchia nel suo astuccio di velluto è un corpo intatto ed intero, autonomo. Quando incontra un corpo umano, perde la sua autonomia, deve diventare il prolungamento di questo: caldo, sudato, insalivato; odore di legno, di metallo, di panno. Qualche volta lo strumento è apparentemente più dentro al corpo stesso, quando la musica trova, cioè, la strada della voce umana. Ma non cambia niente: strumento di metallo, di legno, oppure tessuto organico la musica è prima, è già nell’impossibile silenzio.

Perché ho detto: impossibile silenzio? Perché quando penso alla musica la mia mente si riempie di suoni silenziosi: note che sono immagini, e che sono anche altro, si intrecciano e si sciolgono. E’ così forte quel suono che sento dentro di me!

E poi la musica si annida nei polpastrelli delle mie dita, quando disegno ritmi sul ricciolo massiccio di legno del bracciolo della mia sedia. La musica è sempre un gesto ossessivo, tutti i gesti sono sempre un po’ ossessivi, – quindi tutti i gesti sono anche musica. Il mio corpo nudo che tocca un altro corpo nudo si esprime in gesti che non sono mai del tutto spontanei: quel corpo e questo corpo, cercandosi, si esprimono in gesti desiderati ed imparati in precedenza, cui si aggiungono gesti che sono imparati in quello stesso momento, ma che diventano, immediatamente, rito.

Anche la spontaneità si esprime attraverso la coazione di piccoli gesti, inconsapevoli, ma consueti. E’ impossibile uscire dal gesto ossessivo, coatto. Come ho detto prima: tensione e distensione, ritmo e attesa, piacere che cerca il suo desiderio, questa è, per me, l’essenza della musica.

Ci sono persone che suonano; ma, anche se usano la loro voce, lo strumento rimane staccato, separato da loro. La musica, in questo caso, trova suoni rigidi ed inerti; tanti pezzi di legno, senza vita, che costruiscono una rigida gabbia. Quando succede che la musica sia una cosa ed il corpo un’altra cosa, è estremamente pericolose e dannoso stare a sentire. E’ dannoso anche suonare in questo modo. Mi basta sentire un corpo manifestarsi anche attraverso quattro note per capire se quella è musica « buona ». Ho usato questa espressione « buona », perché non volevo ricorrere ad espressioni più ricercate; tutti sanno, credo, cosa vuol dire « buona ». Quando la mia mano affonda nei tasti, in un modo che non so descrivere, quella volta, allora, capisco che sto suonando davvero, allora anch’io mi accorgo di esprimermi con una musica « buona ».

Il discorso è lo stesso, né più né meno, se la musica nasce da un gesto, con o senza la bacchetta: si in- contrano più corpi; ma è importante che non vi sia separazione.

Ho trovato un pensiero di Stock- hausen, che, secondo me, è reazionario, oltre che stupido: « … La nostra musica è divenuta musica di discorso… Essa è determinata dai muscoli: quelli della laringe per il canto, quelli delle dita per gli strumenti a tastiera, quelli della respirazione per gli strumenti a fiato: tutto era determinato dal corpo dell’uomo ed è per questo che non si è mai suonato su ritmi più rapidi o più lenti di quelli dei movimenti naturali dei corpo… ritmo di marcia, ritmo di polsi, ritmo di cuore, tutti questi ritmi meccanici che sono anche quelli dei nostro corpo e che rimangono al nostro corpo e non a qualcosa di libero, qualcosa che voli, qualcosa che mi lasci provare tra le battute il mio ritmo personale, che mi lasci il tempo, qualcosa che cambia, che non è statico, che ha una facoltà di variazione che non trovo nella vita meccanica di tutti i giorni » (Cfr. Guillot, Jost, Lecourt, « La musicoterapia », Guaraldi ed.).

Dove è il mio ritmo personale, al dì fuori di questo mio corpo? Forse in un improbabile spirito, che cerca una libertà ridicola, perché soltanto detta.

Anche i musicisti cadono, a volte, nell’ingenuo qualunquismo proprio a molti artisti ed hanno paura del corpo e del quotidiano. Certo, sono pienamente d’accordo nel rifiutare al ritmo di questo corpo, qui ed ora, l’attributo di « buon ritmo naturale ». Ritmo, suono ed espressione debbono dilatarsi e restringersi continuamente. Non credo che sia giusto e naturale ciò che adesso trova e sente questo mio corpo. E’, però, in questo mio corpo che voglio trovare la radice del desiderio, del l’espressione e della musica.

E’ estremamente gradevole ed è sessualmente eccitante, quando si ascolta una chitarra, sentire il frusciare delle corde sotto le dita di chi la suona; o sentire il respiro del flautista; ed è bello capire che non possono andare più in là, anche perché hanno questo corpo. C’è chi parla dell’infinita libertà dello spirito; io preferisco parlare dell’indefinibile tenerezza e possibilità del corpo.

Lo spirito è la mia voglia di comunicare. Non esistono limiti positivi, ma sentire, come limite, il mio corpo non è un limite.