0 – Febbraio ‘84

febbraio , 1984

A Roma, come dappertutto, si mangia e si beve, qui forse un po’ più che altrove. I turisti che mangiano la frittura di pesce, bevendoci sopra l’aranciata, non invogliano certo i ristoratori a curare la cucina; inoltre alcuni ristoranti sono collocati in posizioni così suggestive che è difficile accorgersi d’altro e pensare a ciò che si sta mangiando.

Anticonformista rispetto a quest’andazzo è un ristorante, situato in uno splendido angolo di Roma: «Il Buco» di Via S. Ignazio, quasi all’angolo con la piazza del Collegio Romano: un ambiente confortevole e di gusto vecchiotto sia per l’arredamento sia per il servizio; ma la cucina qui è ‘ veramente fatta come si deve. Piatti preparati con grande scienza, usando materie prime di ottima qualità. L’impostazione del menù è quella del ristorante toscano: con crostini di caccia, ribollite, spiedini senesi, cinghiali e camosci in agrodolce, appetitose grigliate di crostacei e i tradizionali tozzetti offerti con vin santo e con il conto (onestissimo!). Per quanto buono il vino rosso della casa, è purtroppo carente la lista dei vini che offre poca e non abbastanza qualificata scelta.
In un luogo altrettanto bello di Roma si trova «La Palmerie», ristorante che si propone di essere alternativo tanto quanto l’altro è tradizionale. Due porte-vetrine su via Cimarra introducono ad un ambiente bianco-azzurro, a metà tra la vecchia latteria e la pasticceria tunisina: cammelli dipinti sulle pareti, vecchie fotografie incorniciate un po’ decò, tele cerate a fiori sui tavoli troppo fitti. Menù difficile che comprende Coulotte rosè e Serpentone tra i primi, Coniglio alle prugne e Galletto al mais e arancia tra i secondi. Detto che le coulotte sono specie di maltagliati alla barbabietola e che il serpentone è il rotolo di ricotta e spinaci, precisiamo subito che qui si mangia malissimo. Sull’onda dell’alternativo vengono propinati pastrocchi scivolosi di panna che li avvolge tutti, dal primo al dessert. Il pubblico, alternativo, ma non troppo, è poi folgorato da un conto esorbitante che scuote l’ultima fiducia nell’alternatività della gestione. Strana incongruenza la carta dei vini: una scelta ampia di ottimi vini bianchi e rossi (tra i cui un eccellente Dolcetto di Dogliani) che i rimangono ottimi forse perché è stato impossibile cucinarli sul posto.