Archivio di aprile 1984

2 – Aprile ‘84

lunedì, 2 aprile 1984

Un pranzo o una cena a «L’antico Carbonaro» non sono esperienze che incoraggino il piacere del mangiare e la gioia di vivere. Cucina casareccia, viene proposto: ma non vi è nulla di casareccio in questo ambiente triste, in vicolo Montevecchio, dietro a piazza Navona. Vengono serviti piatti bruciaticci o acquosetti, insipidi e talvolta putrescenti. Così sono stati i tonnarelli con carciofi, mollicci e arricchiti da un dissennato pizzico di curry; la paglia e fieno era senza sapore e il cervello rigorosamente appiccicato al fondo della casseruola. Non serve andar oltre. Si beve un buon vino rosso, Col d’Orcia dell’81. Il prezzo ragionevolmente non alto.

Nei vini sta proprio il principale punto debole delle «Maschere». In un ex deposito di carta, sotto un antico palazzo, in via Monte della Farina 29, c’è un ristorante che da una gran sensazione di vitalità. Sono cibi calabresi, fatti all’antica. I sapori sono forti, sani e gradevoli. Chi cucina (e non sappiamo chi è) non usa trucchi: il suo lavoro è intelligente e ha un che di arcaico. Veramente eccezionali sono le stroncature, un piatto di pasta integrale, con acciuga, aglio, peperoncino e pan grattato, gratinato al punto giusto. Lo stoccafisso è sapido, come vuole la tradizione e le carni alla brace sono ben cotte; tutto con semplicità e maestria. Gradevolissimi i liquorini a fine pranzo. Un ristorante così ha bisogno di consigli: anzitutto fare attenzione alla scelta, alla conservazione e al modo di servire i vini e poi evitare di comprare dalla pasticceria accanto i dolci, buoni, ma assurdi e incoerenti qui, tanto più che siamo certi che dalla cucina potrebbero uscire biscotti e crostatine ottimi e adatti alla situazione.

2 – Aprile ‘84

domenica, 1 aprile 1984

Franco Fornari, Psicoanalisi della musica, Ed. Longanesi, pp. 196, Lit. 15000 Non sempre i musicisti hanno detto le cose più assennate sulla musica e sulle sue origini; però per parlare di musica, e non soltanto, bisogna soprattutto amarla e poi capirla. Franco Fornari non capisce nulla di musica e probabilmente non la ama. Questo libro è frivolo, squallido, privo di qualunque serietà professionale e culturale. Il signor Fornari parte col dire che il feto, nel ventre materno, è immerso in un bagno di suoni e che il battito cardiaco della madre è per lui un’esperienza ritmo-acustica: banalità graziose che non pensiamo siano del tutto scorrette. Poi ecco la scoperta su cui si regge tutto il libro: viene detto che cosa è l’essenza della musica e quale è la sua origine. La musica originerebbe dal desiderio di rientrare nel paradiso del ventre materno, probabilmente per risentire quei suoni perduti. Da questo punto in avanti, i discorsi rasentano il delirio, e si fanno notare per la più assoluta mancanza di serietà. Il mito di Orfeo viene raccontato come lo si potrebbe trovare in un’enciclopedia per ragazzi, senza che venga minimamente posto il problema della sua evoluzione storica, nell’inconscio, nell’arte e nella cultura ellenica: Orfeo vorrebbe ritornare attraverso la musica nel ventre materno; Euridice sarebbe contemporaneamente madre e feto; questo avvalorerebbe le suddette tesi sulle origini della musica. Ma allora la musica sarebbe una cosa assai triste! Non ci vuole molta cultura per sapere che, per gli Elleni, l’Ade non era un luogo di grande felicità.

I discorsi su Orfeo sono proiezioni di chi ha scritto il libro; proiezione per proiezione: perché allora non parlare anche dell’atto mancato del mitico cantore, che si volta, ben sapendo che quel gesto gli farà perdere Euridice! Inoltre, fra le tante scorrettezze, vi è anche quella di confondere il linguaggio, in generale, con il linguaggio verbale; tanto che parrebbe che la musica non fosse un linguaggio: «Questa premessa teorica che omologa fondamentalmente i campi strutturali del linguaggio e della musica costituisce il presupposto per considerare il melodramma come naturale luogo di incontro fra musica e linguaggio…». Senza nessuna valida giustificazione, vengono analizzati due libretti d’opera, fra i tanti, coi ricchezza di osservazioni risibili: «La sostanza del discorso musicale espresso dai cori, è dunque il trionfo sull’angoscia del parto: trionfo che il coro mette in atto come significante del padre». Queste osservazioni sui libretti non hanno nulla di musicale e sono, tutt’al più, altre proiezion dell’autore o fantasie psicoanalitiche su F.M. Piave o sulla coppia Adami e Simoni. La confusione intorno allo specifico linguaggio musicale è poi totale: si parla di musica tonale senza mostrare di sapere che essa sorge dalla musica modale, la quale, a sua volta, affonda i suoi moduli linguistici nell’antica Grecia e nell’oriente. La musica tonale viene poi contrapposta a quella moderna, senza alcuna specificazione, come se non fosse esistita la ricerca di Webern, Schoenberg, Strawinsky e così via. Rivelatrice è l’ultima pagina del libro, in cui la musica è definita come desiderio di ritornare indietro, in ciò che non è più, quindi nel nulla: «La musica è rivelativa di qualcosa che è stato e che, non essendo più, può apparirci simile al nulla…». Ma il nulla è tutto. Qui c’èil sospetto che per il nostro autore la musica sia il nulla. Alla sua età, poiché non è più uno studente di liceo, gli si potrebbe consigliare di tacere piuttosto che dire tante sciocchezze.

2 – Aprile ‘84

domenica, 1 aprile 1984

Stavamo uscendo dal nostro palchetto, ad alta voce lamentando: «Ma guarda cosa devono fare costoro per guardagnarsi il pane!» Senza renderci conto che al nostro fianco correvano Garibaldi e Nino Bixio, a precipizio scendendo dalla loro postazione scenica, per andare a cogliere una razione di non entusiastici applausi. «The Civil Wars» è un’opera irrimediabilmente stupida: i due librettisti, Robert Wilson (che è anche il regista) e Maita di Niscemi, hanno scritto un cumulo di imbecillità sgradevoli e dissennate, coinvolgendo anche Seneca, per esaltare lo spirito delle Olimpiadi di Los Angeles. A Roma è rappresentato il V atto di un’opera complessiva e multimediale che vede coinvolti talenti e teatri del mondo intero. Da quel che si è visto, l’intento celebrativo e tronfio è evidente. Il più benevolo confronto viene alla mente con quel Ballo Excelsior che nel 1881 Manzotti e Marenco misero insieme per celebrare il trionfo della ragione e della scienza; ma con quanta maggiore professionalità! Noi abbiamo visto solo un cumulo di idiozie: Garibaldi che guarda non si sa dove, Lincoln sui trampoli, il generale Lee a testa in giù. La signora Lincoln, adulta e bambina, circondata da alberi, astronavi, Ercole e altri miti. Indiani e Garibaldini impegnati in balli simbolo di non si sa che.

La musica di Philip Glass è di un monotono tonalismo: il modo migliore per rendere ributtante la consonanza. La settima preparava immancabilmente la tonica in modo infantile ed ossessivo. Arpeggi e accordi, melensi e dolciastri, si appiccicavano alle orecchie ed i cantanti esponevano elementari melodiuzze da Puccini ubriaco o da latilliani Tchumbala-Bey.

Cosa ha diretto Marcello Panni? Cosa hanno fatto tutti? Che vergogna!

2 – Aprile ‘84

domenica, 1 aprile 1984

Quando a creare l’avvenimento concorre l’incontro di più persone in gamba, il risultato può essere splendido. All’Eliseo si sono incontrati, nella messa in scena di Monsieur Ornifle di Jean Anouilh, un autore geniale, spiritoso ed estroso, un registra abilissimo ed un attore straordinario. Alberto Lionello, nei panni del protagonista, un pirotecnico ex poeta serio, ora autore di versi per canzoni da cabaret, fa vivere una storia in cui acute osservazioni sull’arte, sulla psiche delle persone, sul mondo e su Dio trascinano gli spettatori a seguire attenti gli sviluppi di una vicenda esile nel pretesto e ricca nella sostanza. Tutti gli altri interpreti sono al loro posto, precisi a cogliere i suggerimenti del magistrale regista. La musica di Arturo Annecchino, importantissima, sottolinea con le sue parafrasi e le sue capriole, sempre intelligenti e vivaci, il ritmo delle scene. Quando è così fa piacere andare a teatro.

Magari a sproposito, ma stavolta vorremmo parlare del pubblico che abbiamo incontrato al Puff di via Zanazzo, quando siamo andati a vedere Lando Fiorini e i suoi nello spettacolo-celebrazione del XV anniversario, intitolato Er mejo der più. Siamo rimasti agghiacciati: una gradevole saletta super-affollata di imbecilli. Signore e signori, ora grassi ora smunti; ma tutti brutti, sghignazzavano soltanto alle parolacce (troppe) e alle battute sulla Roma (troppo sentite). Il più tragico qualunquismo trasudava dai loro occhi ottusi e dalle loro labbra ebeti.
È vero, purtroppo, che i testi di Amendola e Corbucci esprimevano una filosofia e una ideologia banali e volgarotti; ma alcuni espedienti teatrali e alcune situazioni sceniche erano ottime, alcune stralunatezze erano accattivanti e tutte erano però sprecate. Il pubblico vorace voleva saziarsi solo di cumuli di parolacce. Sulla scena sei maestri dello spettacolo: quattro attori e due musicisti, sviliti dal loro successo. Che senso ha tutto ciò?

03 – Aprile ‘84

domenica, 1 aprile 1984

Gli idioti

Non serve illudersi di potere o sapere costituire piccole isole privilegiate, estranee al dibattersi dell’inarrestabile chiacchiera. La vita autentica e la vita in autentica sono dimensioni della filosofia. Qui, in terra, però, anche i filosofi cascano nelle buche, anzi, loro più degli altri. Il tipo di trappola che più, sulla terra, si spreca, oggi come ieri, è quella la cui esca è costituita dalla presenza dell’idiota. Ci sono due tipi prevalenti di idioti conosciuti (di quelli sconosciuti è meglio tralasciare): l’idiota nemico e l’idiota amico. Sventare le insidie che si nascondono dietro l’idiota nemico non è facile; ma combatterlo, smascherarlo, magari insultarlo, non crea particolari problemi di coscienza. “Molti nemici, molto onore”, e se i nemici sono anche molto idioti, l’onore non pare perciò stesso intaccato. Un idiota che ricopra il nemico di insulti non trova, in genere, molto credito, anche quando se ne condivida l’opinione. Un idiota coperto di insulti non trova neppure molti difensori; che ciò avvenga per viltà o per lucidità mentale è altro discorso. L’insidia che, però, è quasi impossibile sventare, è quella costituita dall’idiota amico. L’idiota, quando è amico, ama indipendentemente da quello che si può pensare di lui. Spesso, una brutale sincerità non ingenera che nuova ammirazione. Combatterlo non serve, ma averlo come alleato può diventare micidiale. L’amico idiota ti loda con commovente coraggio, ti ama senza riserve e ci tiene a renderlo palese al mondo intero. Il guaio è che il mondo, ancorché pieno di idioti, ha verso di essi un atteggiamento assai poco caritatevole e, quel è peggio, ha verso gli oggetti del loro entusiasmo un sadico piacere di annientamento. Per una non facilmente comprensibile proprietà transitiva, la lode dell’idiota non torna tanto a vergogna dell’idiota che l’ha pronunciata, quanto a scorno di chi viene lodato. Per un eccesso di transitività, poi, non si trasferisce sul lodato solamente l’idiozia contenuta nella lode, ma, tutta quanta quella contenuta nell’idiota, per troppa che possa essere. Se accade di sentire lodare qualcuno che la sorte ha schierato in campo avverso, è, quindi, ben lecito dissentire, meno lecito è, però, attribuire al nemico le qualità che appartengono solo all’estensore della lode.Se accade, invece, di sentirsi lodare da un idiota, è bene aprire gli occhi: da qualche parte è celata una buca profonda, in cui sarà difficile non cadere, meritatamente o immeritatamente.

2 – Aprile ‘84

domenica, 1 aprile 1984

È priva di senso artistico la proposta delle opere grafiche di Sebastian Matta fatta dalla galleria Incontro d’arte di via del Vantaggio 17a. Matta è il tipico artista utile per «épater les bourgeois». Ti avvicini a una sua opera, ti sembra gradevole, ammicca con colori da caramella, poi guardi meglio: non c’è nulla, assolutamente nulla.

David Caspar Friedrich è uno dei più validi pittori del romanticismo tedesco. La galleria d’arte Il Gabbiano, di via della Frezza 51, con la mostra «Viaggio intorno a D.C. Friedrich» di Piero Guccione offre un’opportunità doppiamente interessante. Guccione ha ripensato ai quadri del pittore tedesco e le sue considerazioni non sono gratuite. I quadri sono come la natura, sono come l’universo. Le fantasie di Guccione permettono allo spettatore di immergersi nel mondo e in se stesso. Il pastello è usato con efficacia ammirevole; le figure di Friedrich si sfanno dietro a una nebbia leggera, i colori, sempre gradevoli, si addensano e si impastano. Un sottile mistero pervade ogni immagine; un mistero che appartiene a Guccione non meno che a Friedrich.