2 – Aprile ‘84

aprile , 1984

Franco Fornari, Psicoanalisi della musica, Ed. Longanesi, pp. 196, Lit. 15000 Non sempre i musicisti hanno detto le cose più assennate sulla musica e sulle sue origini; però per parlare di musica, e non soltanto, bisogna soprattutto amarla e poi capirla. Franco Fornari non capisce nulla di musica e probabilmente non la ama. Questo libro è frivolo, squallido, privo di qualunque serietà professionale e culturale. Il signor Fornari parte col dire che il feto, nel ventre materno, è immerso in un bagno di suoni e che il battito cardiaco della madre è per lui un’esperienza ritmo-acustica: banalità graziose che non pensiamo siano del tutto scorrette. Poi ecco la scoperta su cui si regge tutto il libro: viene detto che cosa è l’essenza della musica e quale è la sua origine. La musica originerebbe dal desiderio di rientrare nel paradiso del ventre materno, probabilmente per risentire quei suoni perduti. Da questo punto in avanti, i discorsi rasentano il delirio, e si fanno notare per la più assoluta mancanza di serietà. Il mito di Orfeo viene raccontato come lo si potrebbe trovare in un’enciclopedia per ragazzi, senza che venga minimamente posto il problema della sua evoluzione storica, nell’inconscio, nell’arte e nella cultura ellenica: Orfeo vorrebbe ritornare attraverso la musica nel ventre materno; Euridice sarebbe contemporaneamente madre e feto; questo avvalorerebbe le suddette tesi sulle origini della musica. Ma allora la musica sarebbe una cosa assai triste! Non ci vuole molta cultura per sapere che, per gli Elleni, l’Ade non era un luogo di grande felicità.

I discorsi su Orfeo sono proiezioni di chi ha scritto il libro; proiezione per proiezione: perché allora non parlare anche dell’atto mancato del mitico cantore, che si volta, ben sapendo che quel gesto gli farà perdere Euridice! Inoltre, fra le tante scorrettezze, vi è anche quella di confondere il linguaggio, in generale, con il linguaggio verbale; tanto che parrebbe che la musica non fosse un linguaggio: «Questa premessa teorica che omologa fondamentalmente i campi strutturali del linguaggio e della musica costituisce il presupposto per considerare il melodramma come naturale luogo di incontro fra musica e linguaggio…». Senza nessuna valida giustificazione, vengono analizzati due libretti d’opera, fra i tanti, coi ricchezza di osservazioni risibili: «La sostanza del discorso musicale espresso dai cori, è dunque il trionfo sull’angoscia del parto: trionfo che il coro mette in atto come significante del padre». Queste osservazioni sui libretti non hanno nulla di musicale e sono, tutt’al più, altre proiezion dell’autore o fantasie psicoanalitiche su F.M. Piave o sulla coppia Adami e Simoni. La confusione intorno allo specifico linguaggio musicale è poi totale: si parla di musica tonale senza mostrare di sapere che essa sorge dalla musica modale, la quale, a sua volta, affonda i suoi moduli linguistici nell’antica Grecia e nell’oriente. La musica tonale viene poi contrapposta a quella moderna, senza alcuna specificazione, come se non fosse esistita la ricerca di Webern, Schoenberg, Strawinsky e così via. Rivelatrice è l’ultima pagina del libro, in cui la musica è definita come desiderio di ritornare indietro, in ciò che non è più, quindi nel nulla: «La musica è rivelativa di qualcosa che è stato e che, non essendo più, può apparirci simile al nulla…». Ma il nulla è tutto. Qui c’èil sospetto che per il nostro autore la musica sia il nulla. Alla sua età, poiché non è più uno studente di liceo, gli si potrebbe consigliare di tacere piuttosto che dire tante sciocchezze.