Psicanalisi contro n. 40 – La nuova genitorialità e il futuro della famiglia

luglio , 1999

1. La materia che compone la realtà esistente può essere classificata in diversi modi. Uno è quello che incomincia col separare la materia animata da quella inanimata o, come fa la chimica, fra elementi organici ed elementi inorganici. Su questa divisione non tutti sono d’accordo: come gli antichi filosofi Ilozoisti, anche alcuni modernissimi e avanzatissimi chimici e biologi ritengono infatti che tutta la realtà sia vivente e che quindi la materia inanimata sia un’invenzione della scienza positivista dell’Ottocento.

La realtà organica o vivente può essere poi divisa in due grandi regni: il regno animale e il regno vegetale.

Nel regno animale si possono distinguere gli animali che generano esseri autosufficienti fin da subito, quali molte specie di pesci, gli anfibi e molte specie di uccelli, per cui la gestazione è più formale che reale, e animali che mettono al mondo figli che non potrebbero sopravvivere se qualcuno non si prendesse cura di loro. A questa categoria appartengono gli esseri umani. Il piccolo dell’uomo passa i primi nove mesi di vita nel ventre materno e non è autosufficiente al momento della nascita.
Almeno per il momento — a parte casi da considerarsi ancora eccezionali di procreazione medicalmente assistita; ma che, come abbiamo visto in altra sede, saranno destinati a sconvolgere non solo la famiglia, ma i ruoli sessuali e sociali del maschio e della femmina umani — il bambino deve vivere alcuni mesi nel ventre materno ed essere assistito dopo la nascita; che il parto sia avvenuto a termine oppure no. Questo dato di fatto potrebbe rappresentare il primo motivo per cui si è formata la famiglia. Potremmo infatti considerare come prima struttura famigliare quella costituita dalla diade madre-bambino, o comunque dal bambino e da chi se ne prende cura (nel caso di Romolo e Remo, fu per esempio una lupa).
Così che, nell’essere umano, è naturalmente connaturato il bisogno del rapporto con l’altro: tutti gli uomini, in qualunque tempo e in qualunque parte del mondo, hanno avuto finora questo bisogno di essere in relazione tra loro.

Di fatto è così avvenuto che quasi sempre due persone di sesso diverso si siano unite per allevare la prole da loro generata, dividendosi in vario modo gli oneri della cura e dando luogo ad una struttura funzionale al proseguimento della specie alla quale si è voluto dare il nome di famiglia.
La famiglia, se pure in modi, strutture e organizzazioni diverse, è una realtà presente in tutte le culture. Anche se oggi la facilità delle comunicazioni, gli spostamenti sempre più rapidi e ad ampio raggio tendono all’omologazione, la struttura familiare assume forme diverse, secondo i contesti socio-culturali ed economici. Ci sono famiglie piccole, ridotte ai minimi termini, oppure famiglie allargate, con strutture molto diversificate e articolate. Non si è invece ancora in grado di dire quale tipo di struttura assumerà in futuro la famiglia, ammesso che essa sopravviva e anche ammesso che si possa dire che esista una struttura tipica della famiglia.

Non è certo facile, anzi forse è impossibile, definire che cosa sia una famiglia: tutti pensiamo di saperlo, ma, in realtà ci si riferisce sempre all’idea di famiglia dominante nella nostra struttura sociale. Anche nella nostra società, tuttavia, la famiglia è in evoluzione. La costituzione italiana del 1948 dice che “la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio”. Questa è un’affermazione che era già obsoleta e superata nel 1948: c’erano infatti anche allora, ad esempio, famiglie composte da persone che si ritenevano una famiglia e che non si basavano sul matrimonio; e poi: cosa vuol dire società naturale? Il termine naturale (o natura) è sempre un termine ambiguo. In realtà quella è una definizione utile soprattutto per costituire le basi del diritto famigliare, per ragioni che si comprendono, in quanto la famiglia ha bisogno di elementi che strutturino giuridicamente, sia il rapporto tra i coniugi sia quello con i figli. A partire dagli anni ‘70, il diritto di famiglia italiano si è evoluto per molti versi, anche se rimane ancora valido il concetto che la famiglia debba sorgere dall’unione di un maschio e una femmina, sancita con un contratto matrimoniale che si può stipulare in un tempio, di fronte ad un sacerdote, oppure davanti ad un rappresentante dell’autorità civile. Il matrimonio, nella cultura occidentale, e non solo in Italia. rimane comunque un elemento fondamentale per il riconoscimento di un effettivo istituto famigliare.

2. Nel 1800, con l’impulso dell’evoluzionismo e del darwinismo, si ipotizzò un’origine della famiglia come derivato di una società precedente, basata (come diceva Morgan) sulla promiscuità sessuale. Maschi e femmine vivevano insieme, avendo rapporti sessuali non strutturati. Ciascuno poteva avere rapporti con tutti e con tutte e i figli erano allevati in comune.

Freud, richiamandosi alle teorie dell’evoluzionismo di Darwin e di Morgan, ha parlato di orda primitiva: tanti e tanti millenni orsono esisteva un’orda, cioè un gruppo di maschi e di femmine dominato dal maschio fallico più potente che teneva per sé tutte le femmine e impediva, o cercava di impedire, ai figli maschi di avere rapporti con queste donne. Ad un certo punto i figli maschi si ribellarono al padre e lo uccisero, lo smembrarono, lo divorarono e si divisero le femmine. Il padre ucciso e sbranato, però, da morto, si rivelò più potente che da vivo, perché fu molto forte il senso di colpa che i figli si sarebbero portati dietro e per il quale si strutturò la società civile con il tabù dell’incesto e il divieto dell’omicidio.

Questa è una mitologia psicoanalitica un po’ rozza e un po’ ingenua che, però, è servita a Freud per strutturare il suo concetto di famiglia, con le sue dinamiche relazionali interne alla triade padre-madre-figlio. Il figlio maschio sarebbe affettivamente ambivalente nei confronti del padre perché vorrebbe avere rapporti sessuali con la madre e, quindi, se da un lato lo ama, d’altro canto lo odia perché ne è geloso, tanto che vorrebbe anche sopprimerlo. A sua volta la figlia, per un meccanismo di successivi e ulteriori capovolgimenti, ha anch’ essa fantasie ambivalenti e di ribellione, che sono però più rivolte verso la madre. Freud parla, certo, della famiglia piccolo borghese della Vienna del primo novecento; per questo motivo io preferisco parlare di complesso di Hans anziché di complesso di Edipo, dal nome di quel bambinetto che Freud curò psicoanaliticamente (ma solo attraverso i racconti del padre) nel quale indubbiamente si manifestava un complesso di Edipo molto classico, con sentimenti ambivalenti verso il padre e innamoramento e desiderio sessuale verso la madre.

Storicamente, il modello freudiano di famiglia del piccolo Hans non corrispondeva nemmeno a quello allora dominante in Europa, poiché la struttura della famiglia era, in realtà, quasi sempre molto più articolata. Freud, inoltre, era così affascinato dalla mitologia che, elaborando a suo modo il complesso di Edipo, tratto dal mito greco, non si era reso conto che quella mitologia non conosceva proprio i due divieti dell’incesto e della omosessualità, che per lui erano così fondamentali.
In una lettura alternativa a quella freudiana, appare evidente che Edipo ha ucciso il padre Laio senza sapere quel che faceva e soprattutto ignorando il rapporto di sangue che lo legava a lui. Laio è in realtà punito da Era perché si era preso per amante un bellissimo giovinetto che aveva rapito alla dea. Il mito non sancisce alcun divieto dell’omosessualità, ma evidenzia come l’omosessualità fosse una delle tante forme di sessualità che destava gelosia. Nella stessa mitologia sono infinite le storie che dimostrano come Era, ad esempio, fosse furibonda per i tradimenti sessuali di Zeus con maschi e femmine di origine divina oppure umana. Neppure gli incesti erano moralmente condannati in sé. Leggendo la mitologia si trovano fratelli che fan l’amore con sorelle, padri con figlie e via dicendo.

Le nostre radici più antiche non hanno, quindi, contrariamente a quanto ha voluto credere Freud, i tabù dell’omosessualità e dell’incesto. Il bambino e la bambina, specialmente quando sono molto piccoli, non sentono assolutamente il tabù dell’incesto e desiderano avere rapporti sessuali con il padre e con la madre – i bambini sono adultorasti (per usare un termine demistificante e che fa un po’ ridere) e chi ha figli o figlie lo sa benissimo. Certo, questo non toglie nulla alle responsabilità di pederasti e pedofili. Sta di fatto che ci sono genitori che debbono difendersi fisicamente dai figli o dalle figlie e questo lo si riscontra spesso in analisi: l’imbarazzo è tutto da parte del genitore, non del figlio o della figlia. Ciò vale anche per l’omosessualità: un bambino piccolo non ha turbe ad avere rapporti sessuali con persone del proprio sesso, nei confronti delle quali ha la stessa disinibizione che si ritrova nell’antica mitologia. Solo in seguito, l’educazione e i messaggi che il gruppo sociale manda strutturano questi divieti e i tabù sessuali.
L’incesto, forse, è più rimosso rispetto all’omosessualità e sarebbe interessante capirne la ragione. Nella nostra cultura inoltre la pulsione omosessuale è più a fior di pelle nel maschio che non nella femmina; ma soltanto per ragioni culturali; questo non significa che la femmina non abbia le pulsioni omosessuali.

3. Nel 1949, G.P. Murdock usò un termine che ebbe molta fortuna: famiglia nucleare, per parlare di un gruppo composto da padre, madre e figli, tanto che ormai adesso quando si dice famiglia nucleare s’intende una coppia di genitori con eventuali figli, la quale costituisce il modello familiare dell’occidente. Talvolta è contemplata l’aggiunta di qualche altro componente (nonni o parenti molto stretti), ma in genere la struttura è questa, anche se nelle famiglie contadine (esistenti ancora oggi) e, fino a poco tempo fa, nelle famiglie aristocratiche erano presenti strutture più allargate.
La famiglia nucleare si è costituita in questo modo anche per ragioni economiche, condizionata fra l’altro dalla struttura abitativa tipica delle nostre città, e che adesso si sta diffondendo anche nelle campagne: l’ appartamento.
Forse è vero anche il contrario: la famiglia nucleare impone agli architetti di costruire le case in un determinato modo; oltre l’ ingresso, che sostituisce l’antico cortile, si affacciano le camere necessarie alle funzioni del piccolo gruppo che vi abita: anzi tutto la cucina e le camere da letto dei genitori e dei figli, eventualmente ci possono essere camere aggiuntive per funzioni accessorie, come la sala da pranzo, lo studio, il soggiorno etc., secondo la posizione sociale della famiglia stessa. Comunque, quella nucleare non è la sola struttura famigliare oggi esistente. Sopravvivono ancora in oriente famiglie che prevedono l’unione di molte mogli con un solo uomo, sull’antico modello dell’harem; a cui si contrappone la famiglia poliandrica, se pure meno diffusa, in cui c’è una donna che ha molti mariti, e via dicendo.
Ci sono stati e tuttora sopravvivono molti altri modelli familiari, che — per quanto stravaganti possano sembrare — tuttavia non sono da considerare meno “naturali”, anche perché hanno origini che si perdono nella notte dei tempi I Batak di Sumatra impongono l’omosessualità ai giovani maschi come esercizio propedeutico alla vita sessuale matrimoniale che — per contro — è rigidamente monogamica. Presso gli Anim della Nuova Guinea sussiste ancora un regime di separatismo, per cui in ogni villaggio esiste una casa dei maschi e una delle femmine. Gli uni e le altre, anche dopo il matrimonio, continuano ad abitare in case diverse: inoltre è provato che nella casa dei maschi si intrattengono rapporti omosessuali. Meno conosciute sono le pratiche sessuali femminili, per la maggior riservatezza delle donne che, generalmente, si sottraggono alla curiosità degli antropologi.

Ci sono poi strutture familiari in cui sono addirittura imposti rapporti prematrimoniali, come in molte società del Sud America; altre in cui la fedeltà della sposa è un principio che viene contraddetto in alcune situazioni rituali in cui sono imposti alla moglie rapporti sessuali con un uomo che non è il marito.
Certo è che se la famiglia nucleare è messa in crisi da una serie di cause che ora vedremo, queste strutture, a loro volta, sono in crisi per la diffusione del cristianesimo (non solo del cattolicesimo) e dei media — specialmente della televisione — che adesso raggiungono quasi tutto il mondo.

Inoltre l’Occidente non soltanto esporta il suo tipo di famiglia, ma anche il suo modo di vivere e di lavorare e la famiglia nucleare è ovviamente più funzionale al processo produttivo ormai globalmente industrializzato. Tuttavia per quanto si cerchi di imporlo universalmente, come abbiamo detto, lo stesso modello della famiglia nucleare è in crisi, tanto che viene da domandarsi se non sia tanto questa o quella specifica forma di famiglia ad essere in crisi, quanto sia invece in atto una crisi generalizzata di quella figura sociale chiamata famiglia. Oggi sembrerebbe che la tendenza sia di intendere per famiglia ogni gruppo ristretto di persone dalla coppia in su, che manifesti il desiderio di vivere insieme. Potremmo quindi dire che oggi la famiglia è la voglia di stare insieme di qualcuno che avendo rapporti sessuali con individui del proprio o altrui sesso, può desiderare, ma non necessariamente, di avere figli di cui prendersi cura. La cosa non è poi così nuova: abbiamo avuto già negli anni ‘70 le esperienze delle Comuni in cui c’era la promiscuità sessuale e i bambini erano educati dal gruppo. I kibbuzim in Israele sono forme di famiglia allargata in cui ci sono il padre e la madre, ma poi tutti si prendono cura di tutti i bambini.
Tutte queste forme collettive di famiglia sono andate in crisi, anche se ne sopravvive qualcuna in qualche parte del mondo.

Non è andata in crisi, però, l’esigenza del rapporto familiare, della struttura familiare, che è presente anche in una coppia omosessuale o in un ménage di tre o più persone.
Non è detto infatti che il rapporto familiare debba necessariamente essere ristretto a due persone e agli eventuali figli.
Si è partiti da una famiglia nucleare composta da un maschio e una femmina, ed ora sembra che non ci sia intenzione di fermarsi più e lo stesso discorso vale per il diritto di procreare o adottare figli.

4. La famiglia nucleare occidentale moderna ha tentato in tempi relativamente recenti di aprire la propria struttura — che la cultura del cristianesimo aveva rigidamente chiuso — istituendo la pratica del divorzio.
L’istituto del divorzio e la possibilità conseguente per gli ex-coniugi di contrarre altri matrimoni ha portato a nuove forme di famiglia estesa; anzi, si tratta di famiglie in rapida trasformazione che ristrutturano continuamente la loro gestalt e che richiedono ai loro membri un continuo corrispondente riassestamento del campo affettivo ed organizzativo: nuovi figli e nuovi genitori, nuovi fratelli, altri nonni, con la pletora delle relazioni parafamigliari che tutto questo comporta, insieme al non sempre felice intervento della legge che impone domicili, decide affidamenti, proibisce rapporti diretti e così via.
Dal punto di vista psicodinamico risulta così stravolto anche quel complesso di Hans che la psicoanalisi moderna aveva teorizzato per adeguare alla famiglia borghese l’arcaico complesso di Edipo, con il fiorire di inedite patologie psichiche, soprattutto infantili. Antonio era un bambino di quattro anni che aveva assistito dapprima alle liti e poi alla separazione dei genitori, i quali subito si erano formati un’altra famiglia: la madre aveva sposato un altro uomo e il padre un’altra donna. Il bambino, dopo un iniziale disorientamento, si era quasi abituato ad avere i suoi giocattolini in parte nella sua camera nella casa della mamma e in parte in un’altra camera nella casa del padre; seguendo le regole che si erano dati i suoi genitori, un po’ andava dal padre, un po’ dalla madre e si era infine abituato a questa vita, non certo simpatica e che qualunque pedagogista sa quanto sia terribile, quanto male faccia ai bambini che sono trattati come pacchi dai genitori: un po’ lo tengo io, un po’ lo tieni tu. Ad un certo punto accadde che questo bambino si affezionasse intensamente alla moglie del padre, manifestando disinteresse nei confronti della madre biologica, che, ovviamente, si infuriò e cercò di riconquistare l’affetto del figlio. La nuova moglie del padre si era affettivamente legata a sua volta a questo bambino, che le si era buttato proprio addosso. A complicare ulteriormente la situazione subentrarono poi anche i nonni- quelli naturali che avrebbero voluto riprendersi il nipotino e i genitori della nuova moglie, per i quali il bambino manifestava una evidente predilezione. La lotta si scatenò, le contese e le continue scenate reciproche furono terribili. Antonio cominciò progressivamente a regredire a una fase di incontinenza notturna e disturbi del linguaggio: riprese infatti a parlare esattamente come quando aveva due anni. Quel che riusciva a dire attraverso i disegni e pochissime parole allo psicologo che lo aveva preso in cura era in sintesi questo: “Io non so più dove voglio stare. Io non capisco più.”

Il secondo caso, anch’esso di una certa gravità, è quello di un’altra bimbetta un po’ più grandicella, che chiameremo Chiara. I genitori si erano separati, il padre era rimasto temporaneamente solo, mentre la madre si era fatta subito un’altra famiglia. La bambina aveva sempre fatto credere di rifiutare il padre, per il suo carattere violento, però in realtà subiva il fascino di quella violenza ed era attaccatissima a lui e soffriva moltissimo per il suo evidente disinteresse per lei.
Il padre, in effetti, dopo la separazione non si era interessato quasi più della bambina la quale nella nuova famiglia aveva sviluppato un odio furibondo verso il nuovo marito della madre. Aveva però scelto come oggetto d’amore il padre di quell’uomo, il nuovo nonno, tanto che aveva voluto andare a vivere in casa sua e della nuova nonna, rifiutando così entrambe le famiglie dei genitori naturali. Nello sforzo di adattamento alla nuova situazione era entrata però in conflitto con tutti: prima erano stati capricci tremendi, poi era sopraggiunta la perdita dell’appetito fino all’anoressia, finché erano subentrate allucinazioni e crisi di angoscia tipiche di una vera e propria schizofrenia.
Alla psicologa ripete in continuazione una sola frase: “Io non voglio”. Che cosa non vuole non lo dice, perché non parla quasi più.
Il disastro provocato in casi come questi dal divorzio è stato indubbiamente grande e forse irreparabile e impone una riflessione.
Se è vero che due persone sono libere di fare quello che vogliono, di unirsi e separarsi come e quando credono, è però altrettanto vero che perdono questa libertà assoluta quando hanno uno o più figli: nella vita tutto può succedere: può morire uno dei genitori, può essere inevitabile una separazione, però deve essere chiaro che i genitori sono responsabili verso i loro figli finché questi saranno autosufficienti anche psichicamente. Questo è il problema: il divorzio, che in sé è stato concepito come una soluzione a situazioni di disagio, diventa un male se non è affrontato con senso di responsabilità. Questo principio non lo può impone la legge, ma deve essere una questione di coscienza di entrambi i componenti della coppia i quali non dovrebbero volersi o potersi separare, per una scelta soltanto loro personale, finché i figli non siano anche psicologicamente adulti.

Oggi il divorzio è diventato una comoda scorciatoia verso la soluzione di intolleranze personali e molto di rado si trovano persone veramente consapevoli della necessità di rimanere unite, a qualunque costo, almeno finché il figlio o i figli avranno raggiunto una loro maturità, un equilibrio sufficiente e una propria autonomia.

L’impossibilità di riuscire a definire, una volta per tutte, il concetto di famiglia, non deve distrarci però dal compito di impegnarci per la felicità di tutti i suoi componenti e questo non può essere imposto dalla legge, ma deve nascere dal senso di responsabilità, unito al rispetto per la vita e la dignità della persona, in particolare rispettando chi è nato senza averlo chiesto ed è il più debole.