Psicanalisi contro n. 38 – I diritti dell’uomo sono universali?

maggio , 1999

1. Abbiamo visto come non sia più accettabile, dal punto di vista strettamente scientifico e non soltanto religioso, negare la continuità della vita umana, dal concepimento alla morte, che è provata dalla continuità delle funzioni psicofisiche dell’embrione, del feto e del neonato, rilevabile grazie alle moderne tecniche di monitoraggio e all’ecografia in particolare. Da questa constatazione scaturiscono alcune inevitabili considerazioni di ordine morale.

L’aborto volontario legalizzato, consentendo nell’impunità la soppressione di un essere umano esente da ogni colpa verso lo stato e verso la società, contraddice profondamente e gravemente almeno quattro principi fondamentali formalizzati nella “Carta dei diritti universali dell’uomo” proclamata nel dicembre del 1948 e approvata da tutti gli stati membri delle Nazioni Unite.

“Art. I Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali per dignità e diritti. Sono dotati di ragione e coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in uno spirito di fratellanza”

“Art. 2 Ciascuno può avvalersi di tutti i diritti e di tutte le libertà proclamati nella presente dichiarazione, senza alcuna distinzione di alcun genere, di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di credo politico o di opinione, dell’origine sociale o nazionale, dei beni di nascita o di ogni altra condizione”

“Art. 3 Ogni uomo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”

“Art. 4 Nessun uomo può essere tenuto in schiavitù o in servitù; la schiavitù e il traffico degli schiavi sono proibiti sotto tutte le loro forme”

“Art. 5 Nessun uomo può essere sottoposto a tortura o a punizioni o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”

“Art. 6 Ogni uomo ha il diritto di essere riconosciuto ovunque come persona giuridica”

L’aborto, in primo luogo, nega la validità del principio stabilito dall’articolo tre, per cui ogni essere umano ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza: come viene garantita la sicurezza di un individuo che può essere soppresso, per legge, in alcuni Paesi, nei suoi primi tre mesi di vita. in altri a cinque mesi dal concepimento e in altri ancora fin quasi al termine della vita gestazionale?
Non solo l’aborto sopprime la vita di un innocente, ma c’è la prova che l’embrione e il feto risentono di tutti gli attentati che vengono messi in opera contro la loro incolumità e il loro benessere. In quanto psicoanalista posso dire che molte malattie psichiche, soprattutto ansie depressive e alcune psicosi, apparentemente inspiegabili pur risalendo ai primissimi giorni di vita, si presentano in adulti che, nel ventre materno, hanno avuto l’esperienza di tentativi di aborto. Il numero di queste persone che vivono oppresse dall’angoscia di morte è, da un punto di vista statistico, così alto che non si può più dire che si tratti solamente di un caso: la verità è che il bambino nel ventre materno percepisce molto bene se lo si vuole uccidere.

In secondo luogo l’aborto volontario si oppone al quarto articolo della Carta dei diritti universali dell’uomo, che afferma che nessuno può essere ridotto in schiavitù. Non è forse uno schiavo un essere la cui vita può venire soppressa dalla volontà di altri, per esempio della madre, con o senza il consenso del padre, esattamente come avveniva nelle società che consideravano diversi i cittadini coi pieni diritti civili dagli schiavi, con diritti ridotti o addirittura senza diritti?

In terzo luogo l’aborto è in contrasto col quinto articolo, in cui è detto che nessun essere umano deve essere sottoposto a tortura: se si prendono in considerazione le modalità di attuazione dell’aborto si vede come, prima di essere uccisi, i bambini vengono torturati nel ventre materno, dal momento che la pratica abortiva non prevede nessun tipo di anestesia per i] feto, quale che sia la tecnica, spesso molto cruenta, come abbiamo visto, messa in atto per eliminarlo.

Infine, nella Carta si afferma anche che ogni essere umano, in ogni luogo e tempo, ha diritto ad essere trattato con tutta la sua dignità di persona: forse che il tempo della gestazione è un tempo che non esiste e il luogo del ventre materno non è un luogo fra tutti i luoghi possibili? Del resto la Carta dei diritti universali dell’uomo non prevede limitazioni in proposito, non c’è scritto che il principio non debba valere nel periodo di tempo dei nove mesi di gestazione o in quel particolare luogo che è l’utero materno. Questa contraddizione è ancora più evidente se si pensa alla grande quantità di preoccupazioni di salvaguardare il benessere della donna e del feto previste dalle leggi e dalle norme sanitarie di molti Paesi socialmente avanzati, rivendicate in modo particolare dalle donne a difesa della loro gravidanza
Se si decide di ammettere per legge la possibilità di compiere aborti volontari, perché allora accusare di omicidio una madre che butta un bambino nel cassonetto poco dopo averlo partorito, oppure quando il bambino ha sei mesi, o magari ad un anno, se improvvisamente si dovessero presentare speciali difficoltà per la madre o patologie gravi per il bambino? Oggi in Brasile “squadroni della morte” eliminano in nome del benessere sociale gruppi di bambini accattoni e criminali, ma sono condannati dalla morale e dal diritto.

Eppure non si può più negare che il concepito è fin da subito una persona con tutte le caratteristiche individuali che poi si troveranno anche nella vita extrauterina. Inoltre abbiamo ormai la prova che il patrimonio psichico incomincia a formarsi nella vita intrauterina, e così la capacità di apprendimento che continuerà con le stesse modalità fondamentali in tutta la vita successiva.

2. A sostegno della legalizzazione dell’aborto, alcuni dicono che, se così non fosse, ci sarebbero complicazioni sociali ancora più gravi. Un eventuale regime di penalizzazione dell’aborto potrebbe favorire il ritorno alle “mammane”, ovvero a quelle pratiche illecite ed insicure dal punto di vista igienico e sanitario alle quali le donne ricorrerebbero comunque a rischio della pelle, e così via. Come se si dovesse legittimare l’omicidio da parte di professionisti pagati dallo stato, per evitare che venga compiuto da rozzi ed inesperti delinquenti senza il rispetto delle norme igieniche o del buon gusto. A questo punto tanto varrebbe fare la proposta assai meno insensata di abolire la penalizzazione dell’omicidio di qualunque specie, riservando tutt’al più alle coscienze il diritto all’eventuale condanna morale: così che ognuno possa decidere personalmente se vuole uccidere.

Io non chiedo quindi di penalizzare l’aborto, ma chiedo, se si lascia impunito l’aborto, di depenalizzare allo stesso modo qualunque omicidio. Si lasci l’uomo alle prese con i rimproveri e le punizioni della sua morale, con il suo Super Io, come direbbe la psicoanalisi tradizionale. In ogni caso, è preferibile che la società permetta di ammazzare chiunque e non solo qualcuno e soprattutto non soltanto i più deboli. E il bambino nel ventre materno è il più debole di tutti ed anche il più innocente, perché non ha avuto ancora il tempo di commettere nessun delitto. Questo mio discorso è un po’ provocatorio, ma è anche un’esigenza di coerenza. C’è invece un altro discorso, meno provocatorio, che io continuo a ripetere, ma che paradossalmente non trova ascolto in una cultura che preferisce scegliere la morte piuttosto che affrontare con franchezza le problematiche sessuali. Bisogna che la scuola si faccia carico davvero dell’educazione sessuale, che insegni davvero quali sono le tecniche contraccettive, compreso l’uso del preservativo e che dia ai ragazzi e alle ragazze una informazione adeguata sulle modalità dell’aborto, in modo che siano preparati ed in grado di esprimere un’opinione frutto di un consenso o di un dissenso veramente informati.

3. In Questi mesi di guerra, sono stati uccisi, con l’aborto, più bambini in Italia di quanti non ne siano morti in Kosovo e in Jugoslavia. Ritengo importante, in questi tempi, parlare anche della morte nascosta che ogni giorno viene a svuotare di nuove vite il ventre delle nostre donne.

Il consenso informato deve permettere ad ogni donna di sapere cosa succede nel suo ventre, dal momento che una vita è stata concepita, e che cosa significa abortire; nessuna ragazza deve essere costretta ad impararlo a sue spese e per proprio conto, ma è la scuola che deve insegnarglielo, proprio come insegna Dante, per la stessa esigenza, molto concreta e presente, di cultura e di civiltà. Finché non sarà così, assisteremo allo scempio di società che ammazzano, allo stesso modo in tutta tranquillità di coscienza attraverso l’aborto oppure attraverso il bombardamento di ospedali o di case civili. Società in cui si lascia indifferentemente la gente morire al freddo sotto teloni di plastica o i bambini contorcersi nella soluzione salina con cui li si uccide. È la stessa cultura di morte: quella che ha prodotto i lager nazisti, i genocidi e gli aborti, tutti aspetti dello stesso male.

Allora viene in mente quella tremenda frase di Primo Levi:

“Dite voi se questo è un uomo!”