38 – Maggio ‘99

maggio , 1999

Poco spostato dal porto e vicino alla Croisette, all’ angolo tra la rue Faure e la rue Blanc, il locale di ASTOUX & BRUN si nota per il gran via vai dei camerieri, con maglietta alla marinara, che si muovono per le molteplici sale, su e giù per due piani, e i tavolini fittissimi della terrasse, lungo il profondo marciapiedi. È forse il ristorante di pesce più affollato di Cannes, sempre alla moda, fintamente “democratico” per la sua clientela in cui vengono a trovarsi gomito a gomito ricchi borghesi in smoking, provincialotti in cerca di emozioni, turisti per caso e – nei giorni giusti – moltissimi divi e dive del cinema: tutti fanno finta di niente, anche se non tutti ci riescono benissimo e tutti apprezzano o fanno finta di apprezzare la cucina di pesce, solidamente ancorata alla tradizione e prodigiosamente dignitosa, nonostante il successo e i ritmi infernali.
Ovviamente il piatto più popolare è il plateau di frutti di mare crudi, servito in vari ordini di grandezza fino ad essere una smisurata montagna di ostriche, granchi, lumache, gamberi, cozze, cicale etc. inerpicate su chili di ghiaccio tritato: dato il gran smercio, i prodotti sono tutti freschi, la qualità è soddisfacente e la grande varietà rende anche l’impresa divertente. Per chi non s’accontenta dei frutti di mare crudi ci sono piatti come la padellata di St. Jacques sul letto di insalata e asparagi, cucinata con piglio un po’ troppo rustico, ma resa gustosa dal buon olio di Provenza. Il branzino al vapore è un’alternativa delicata per gli inappetenti, se pure non di altissimo livello, mentre sono decisamente più aggressivi i gambas, carnosi e profumati, alla griglia o al pernod. Qualche dolce serve a spegnere l’eccessivo gusto di pesce, oltre alle tradizionali mousse di cioccolato, gelati, e crème brulée, abbiamo trovato gradevole la framboisière, di lamponi e chantilly.
La carta dei vini non è specialmente curata: meglio evitare il bianco della casa, un innocuo, ma acquoso Cótes de Provence, mentre il rosato Bandol è più saporito e salmastro. Meglio ancora lo Chablis, Domaine Clotilde, 1 ° cru, del 1997 che si fa apprezzare per la sua struttura solida e il profumo di limonaria.
Il prezzo di tanta allegra confusione non è eccessivo neppure considerando un cambio disastroso come quello della lira col franco.

Vorremmo consigliare una visita ad un ristorante un po’ anomalo, al di fuori del quadro festivaliero, che non pare essere notato dalle guide, ma che serve un pesce di inarrivabile freschezza, cucinato con sapiente intelligenza. FRED L’ECAILLER è anche una rivendita di pesce, fatta sul banco, in Place de l’Etang alla Pointe Croisette, verso il limite ovest della penisola. La sala del ristorante è genericamente allestita alla “marinara”, ma si avvale di un servizio cordiale e di provata serietà professionale (non sperate di avere la bouillabaisse se quel giorno non si sono pescati i pesci giusti). Noi abbiamo goduto di una sosta che è incominciata con un fresco e profumato kir che ci ha ben disposto a gustare una fragrante frittura di lattarini e calamari, semplicemente perfetta, e lo diciamo non per caso: il pesce sembrava aver appena sfiorato l’olio bollente di cui aveva fatto in tempo ad assorbire solo il profumo con cui arricchire il proprio sapore. La delicata carne del san Pietro e dell’orata al forno, non era mortificata ma esaltata dal connubio con le patate al leggero profumo di zafferano. La tradizione della mousse al cioccolato ci è stata offerta in una versione di inusitata e succulenta sontuosità e leggerezza. Persino il buon bianco secco della casa, servito in caraffa, eccelleva per l’equilibrio dei profumi di pesca-noce e di fragola con la vena salmastra. Il conto è rimasto nei limiti di una accettabile correttezza nel rapporto con la qualità.

Cannes è una città bellissima per il clima, per la sua splendida posizione, per un entroterra raggiungibilissimo ed ancora godibile, nonostante l’affollamento residenziale, per qualche pezzo di architettura di inizio secolo e per quel piccolo gioiello circoscritto rappresentato dal Suquet. Il villaggio di origine medioevale, è arrampicato sul Mont Chevalier in cima al quale sorgono una chiesa del XVI secolo e una torre risalente all’XI. Ora il Suquet è un’area privilegiata che si tenta di preservare, anche con lo stratagemma dell’isola pedonale che ha però lo svantaggio di ridurlo a mercatino turistico, un po’ come è successo a Montmartre, di cui evoca, in piccolo, l’atmosfera. In un tale contesto poche sembrerebbero essere le speranze che nei ristorantini civettuoli e “tipici” che affollano la via principale si possa mangiare in modo dignitoso, eppure il miracolo accade, almeno a LE RELAIS DES SEMAILLES, al numero 9 della rue St. Antoine. Il locale si articola in una serie di salette e stretti corridoi ricavati tra mura di pietra viva, arredati con ingenua pretenziosità, con qualche tocco di classe e qualche banalità pseudofolcloristica, ma con un risultato complessivamente gradevole; i tavoli sono apparecchiati con cura e il servizio è estremamente cortese e professionale. La cucina è d’impostazione provenzale, con concessioni alle novità e alla fantasia del cuoco. Noi abbiamo apprezzato in apertura gli asparagi verdi con la razza “sfilacciata”, legati tra loro da un fondo bianco di pollo, inaspettatamente appropriato; il roti de foie gras de canard ci è parso una puntuale e gustosa esecuzione di un classico. Una scoperta è stata quella del pagre (un pesce locale parente umile dell’orata) accompagnato dalle cipolle e dai piccoli carciofi viola: un abbinamento ideale della cucina di mare con quella dell’orto. La volaille de Challans è una pollastrella arrosto ruspante dalle carni sode che il cuoco ha saputo esaltare con una vivace salsa a base di tartufo estivo; il magret di anatra con miele al rosmarino era appetitoso e profumato. Anche se la carne di vitello della Costa Azzurra non è eccelsa, pure il filetto di bue accompagnato da una perfetta salsa béarnaise, era sufficientemente morbido e ricco di succhi. Con i dolci la cucina non ha perso il suo smalto: perfetto il nougat ghiacciato al miele, esaltante il fondant al cioccolato caldo, appena una scivolata sullo zabaglione troppo liquido che accompagnava le saporite fragole!
Abbiamo voluto ancora una volta mettere a prova i vini locali di Provenza di cui sempre diffidiamo, ma abbiamo avuto motivo di ricrederci con il Chateau St. Roseline riserva speciale che abbiamo provato sia nella versione in bianco, piacevolmente salmastro e profumato di salvia, sia in rosso dal bouquet vivace e morbido al palato. Il prezzo è risultato prevedibilmente elevato, ma ne è valsa la pena.