Psicanalisi contro n. 37 – Ma questo è un uomo

aprile , 1999

1. Proprio in questi giorni, ad un passo da noi, c’è in atto una guerra tremenda e mostruosa. Non voglio qui dare giudizi su chi ha torto e chi ha ragione; ma comunque anche questa è una guerra piena di gesti che fanno orrore a ogni essere umano ben nato e di buona volontà.
Forse non è giusto essere più coinvolti in una guerra perché ci è vicina che in un’altra, ad esempio, in atto nel centro dell’Africa, però gli esseri umani sono fatti in questo modo. Anch’io combatto la mia guerra: una guerra senza tregua e senza esclusione di colpi contro l’aborto volontario, che s’inserisce, a sua volta, nella guerra che io, piccolo uomo, vorrei fare contro tutte le morti, nessuna esclusa e soprattutto contro quelle procurate da un uomo ad un altro uomo, arrogandosi un diritto di vita e di morte sull’altro che nessuno ha.

Le mie argomentazioni contro l’aborto non sono dettate da un sentimento o da motivazioni religiose, anche se rispetto tutte le religioni e tutte le persone che sono convinte di qualcosa in cui credono; ma sono frutto del mio impegno di essere umano e di scienziato che ama il progresso, la civiltà e la buona qualità della vita. Io sono diventato antiabortista, dopo essere stato abortista, perché la mia scienza mi ha insegnato che abortire significa uccidere esseri umani che sono tali e vivi già nel ventre materno. Io insegno Psicoanalisi della gestazione all’Università, a Perugia e alla Sapienza di Roma, in due scuole di specializzazione in Ginecologia e Ostetricia, della Facoltà di Medicina. Questo mi ha permesso, grazie a un duro e lungo lavoro di studio e di sperimentazione, di avere una onesta e documentata preparazione in materia, benché sia consapevole che tutto è contestabile. Per queste ragioni, il fondamento della mia posizione contro l’aborto è laico e non è religioso. Io sono dal canto mio una persona religiosa, ma sono del parere che tutti gli esseri umani (religiosi o atei, cattolici, luterani, greco-ortodossi, musulmani, scintoisti, animisti) se rispettano l’umanità, in sé e negli altri, come diceva Kant, non possono che lottare contro l’aborto volontario. Ripeto ancora che non dico questo perché sono cattolico o religioso (con tutta la consapevolezza di fare una negazione), ma in quanto sono convinto che anche se fossi ateo sarei antiabortista, perché questo è il dovere di ogni essere civile. Per le stesse ragioni, sono favorevole a tutti gli anticoncezionali (tranne quelli, ovviamente, che sono degli aborti «travestiti») in quanto possono liberare la donna prima di tutto, e poi l’uomo, dalla condanna di essere responsabili di una vita (che non ha chiesto di venire al mondo) non voluta, magari perché frutto di violenza, stupro, negligenza o ignoranza. L’ignoranza intorno alla contraccezione, sia quella chimica e meccanica, sia quella cosiddetta naturale, approvata dalla Chiesa Cattolica, è, purtroppo, ancora molta. Bisogna però che le donne imparino ad evitare di rimanere incinte, se non lo desiderano, poiché oggi questo è possibile. Piuttosto che ipotizzare la sola eventualità di collaborare ad un assassinio, è certo preferibile scegliere di inibire il concepimento. Non ci sono più scuse per chi, oggi, in Occidente, compie un aborto volontario. Per quel che riguarda quelle gravidanze che sono vere e proprie disgrazie, perché frutto di una violenza o di uno stupro, è sufficiente dire che bisogna comunque escludere che l’aborto possa essere un atto di riparazione, in quanto non si può mai sperare di risolvere una violenza commettendo un’altra violenza.

2. Molti studiosi avrebbero la pretesa di differenziare, qualitativamente e sostanzialmente, i diversi momenti della vita dell’embrione e del feto. Io sostengo che questa è una scelta arbitraria ed ingiustificata.
Si dice che alla fine del secondo mese di gestazione si concluda la vita embrionale e cominci quella fetale, perché solo allora sarebbero presenti gli elementi fondamentali di tutti gli apparati del bambino.
La mia osservazione mi ha invece dimostrato che, fin dal primo istante in cui i due gameti s’incontrano, comincia a pulsare la vita di un essere umano. È vero che a questo esserino appena concepito può succedere di tutto: può duplicarsi e diventare gemello, o avere gravi deformazioni, o seguire invece un felice sviluppo intrauterino, però non succederà mai che l’embrione iniziale appena concepito diventi, per esempio, dopo cinque mesi, una pianta di rose o un cane; infatti sarà sempre e soltanto un uomo fino alla fine, con tutte le sue caratteristiche specifiche dei diversi momenti della vita, proprio perché è già uomo fin dall’inizio. È un ragionamento molto semplice, che però è scomodo, perché vuol dire che siamo sempre davanti ad esseri umani fin da subito: nessuno diventa qualcos’ altro, magari può diventare un poveraccio, un essere malformato, un disperato, però si tratterà sempre di un essere umano, con tutte le caratteristiche genetiche della specie, del quale vanno rispettate la vita e la dignità. Pare che finalmente nel 2004 sarà completata la «mappatura» del genoma umano e da quel giorno potremo anche sapere su base genetica chi è e che cos’è l’uomo ed essere certi che tutti gli individui identificati in quel genoma sono esseri umani.

Non sono io un esaltatore della scienza, ma so che anche la mia piccola scienza, la psicoanalisi, si associa in una comune lotta per il benessere dell’uomo, ad altre piccole scienze come la medicina, la genetica, la biologia, tutte ambigue, claudicanti, ingannevoli, fatte di tanti errori e di poche verità, che però non bisogna rifiutare, se non si vuole correre il rischio di cadere prede della demagogia, della magia, o di chissà che altro.
In passato, fino a non molto tempo fa, sulla generazione e sulla vita gestazionale si sapeva molto poco e ci si basava quasi soltanto su intuizioni.
Nell’antichità classica, nel quarto secolo a.C., Aristotele, nel libro «Sulla generazione degli animali», affermava che a generare era soltanto il maschio, il cui seme aveva la forza vitale, mentre la donna non aveva seme o comunque aveva un seme senz’anima; il mestruo era il terreno, l’humus che poi nutriva il seme del maschio. Questo sebbene, cent’anni prima, Ippocrate avesse già detto che erano tutti e due elementi importanti della procreazione. Questa teoria di Aristotele, se pur era anche frutto di un certo maschilismo, rispecchiava comunque l’ignoranza dovuta all’impossibilità di vedere o di sapere, tuttavia non per questo noi diciamo che Aristotele fosse folle, proprio perché aveva a disposizione conoscenze e strumenti molto limitati. Il mondo è andato però avanti: nel 1600 si è scoperto il cannocchiale e qualche tempo dopo il microscopio, il quale è stato sempre più perfezionato nel tempo. Così nell’800 si è individuato l’uovo femminile e quasi contemporaneamente il processo di spermatogenesi del maschio, elementi che hanno dato la prova di quanto e in che modo gli agenti seminali del maschio e della femmina contribuiscano alla generazione. Se oggi qualcuno ritornasse alla teoria di Aristotele, dicendo che è solo il maschio capace di generare, mentre alla donna spetterebbe soltanto di mettere a disposizione il proprio sangue mestruale per nutrire il seme, secondo me, non lo si dovrebbe accusare soltanto di maschilismo o rimproverarlo di commettere un errore scientifico, ma anche di essere un folle delirante.
Allo stesso modo, oggi, dopo più di vent’anni di ecografia e di altri monitoraggi, nei quali si vede che fin dal concepimento quell’essere è un uomo che vuole vivere, che si sviluppa, sia pur lentamente, se qualcuno dicesse che quello non è un essere umano e quindi, come facevano gli antichi conquistadores con gli indios, lo possiamo uccidere, allora è un pazzo criminale.

Secondo me gli abortisti o sono in malafede come gli antichi conquistadores o sono pazzi come un ipotetico moderno scienziato che sostenga attualmente quello che aveva affermato secoli fa Aristotele.
La scienza è ambigua, contraddittoria, oscura, conosce tante sconfitte, però, pur non deificandola come si è fatto nel 1800, non dobbiamo rinunciare al suo contributo. La scienza dunque ci fa vedere che il concepito è già un bambino e la biogenetica ci dimostra perché è un essere umano.

3. Solo alla fine del diciannovesimo secolo si ebbero accenni di interesse per la vita fetale da parte di alcuni scienziati, ma, ovviamente, i monitoraggi erano difficili e le osservazioni dirette quasi impossibili, quindi si potevano studiare soltanto i bambini nati prematuri o immaturi o morti al momento del parto. Solo da pochi decenni – da poco più di vent’anni in Italia – l’ecografia, invece, permette, come ho detto, di vedere direttamente cosa accade, dal concepimento in avanti, a quella vita che in precedenza sembrava nascosta e oscura. L’essere umano, nel grembo della madre, ha una vita estremamente ricca: i suoi organi sono tutti funzionanti, ha le mani, gli occhi, le orecchie; al quarantesimo giorno di gestazione possiamo già registrare le prime onde cerebrali attraverso l’elettroencefalogramma; poco dopo, lentamente si formeranno gli organi del gusto, dell’udito, della vista. Se al feto, attraverso la parete del ventre materno, è fatta sentire una musica molto forte, lo si può vedere reagire col gesto di chi si tappa le orecchie con le mani, se una luce violenta lo aggredisce passando attraverso l’addome della madre, il bambino si difende, coprendosi gli occhi; inoltre è capace di fare gesti di approvazione o di disapprovazione, sia con la lingua, sia con le smorfie del volto, se la madre ha ingoiato cibi che non gli piacciono. Il bambino subisce le conseguenze di tutti gli eventuali comportamenti anomali e disturbanti da parte della madre. Sempre osservando le onde magnetiche, si può «vedere» come il bambino impari a nuotare, a muoversi, a ruotare su se stesso, come sorrida o faccia il viso triste. Adesso si può anche percepire, quando il bambino dorme, se sogna o non sogna• nell’adulto, quando i sogni sono più intensi, è possibile registrare il movimento rapido degli occhi sotto le palpebre abbassate ( fase REM ), mentre invece quando non sogna, sprofonda in quello che è stato definito «sonno non REM», dal momento che i bulbi oculari rimangono fermi. Anche nel bambino « in utero» si è visto che sono presenti sia il sonno REM sia il sonno non REM, quindi è molto probabile che anch’ egli sogni, altrimenti non si capirebbe perché abbia questi movimenti oculari che nell’adulto hanno un significato preciso. Nella mia esperienza di psicoanalista, mi sono accorto che non è difficile, con un po’ di buona volontà e di attenzione, far raccontare a bambini molto piccoli sogni fatti od esperienze avute nel ventre materno. Certo non si può essere sicuri che il bambino stia raccontando effettivamente i sogni di quel periodo e precisamente come li ha avuti, però, visto che usando quei sogni nella terapia, basandosi sull’ipotesi che risalgano alla vita intra uterina, si sortiscono effetti di grande efficacia terapeutica, possiamo pensare che, probabilmente, quei sogni sono stati realmente fatti quando il bambino era nel ventre materno. D’altra parte anche la fisica moderna si è mossa così. Io ho un grande amore per la fisica, una scienza che è esplosa durante lo stesso periodo della psicoanalisi, in questi ultimi cento anni. Entrambe hanno usato la stessa tecnica: visti gli effetti prodotti, si ipotizzano determinate cause, oppure viste certe reazioni se ne deducono i meccanismi che le hanno provocate.

Non è detto che sia assolutamente vero, però sta di fatto che in questo modo si riescono a sviluppare settori come quello delle ricerche spaziali e anche a costruire le bombe atomiche, purtroppo. Si deve, quindi, ricorrere anche alle ipotesi, se si vuole correttamente impostare un problema scientifico.

4. Oggi, non solo abbiamo una migliore conoscenza della vita intrauterina, ma siamo anche capaci di inter-agire con il bambino, di comunicare e giocare con lui nel ventre materno. Il bambino, a sua volta, dimostra di avere molta voglia di giocare e di comunicare non soltanto con la mamma, ma anche con chi sta al di là dell’ambiente in cui è racchiuso. Tutti i nove mesi di gestazione sono un continuo tentativo del bambino di diventare il più autonomo possibile, tanto che, come dicono le ultime scoperte, è lui che decide quando deve nascere, mandando alla madre messaggi ormonali. Non solo il bambino, nel periodo gestazionale, ha una sua autonomia molto marcata, e la sua non è una vita simbiotica come si credeva, ma oggi sappiamo che la sua non è una vita soltanto felice, come affermavano persino alcuni psicoanalisti fino a qualche decennio fa, parlando del mare calmo e felice del ventre materno in cui sarebbe stato totalmente protetto. Non è vero. Il bambino è pochissimo protetto dalle stimolazioni dell’ambiente e dai traumi che la madre subisce. La teoria che il bambino nel ventre materno fosse protetto e sicuro, qualunque cosa capitasse alla madre, era indubbiamente frutto dell’ignoranza scientifica, però aveva anche un significato sociale: se infatti il bambino è tranquillo e protetto nel ventre, allora la madre può continuare ad essere sfruttata sul posto di lavoro.

Anche gli eccessi dello stile di vita della madre possono compromettere una buona gestazione. Una madre che, nonostante i miei avvertimenti, fumava in modo inverosimile, e in più assumeva anche sostanze psicotrope come hashish e marijuana, ebbe la sgradevole sorpresa, ad una ecografia, di scoprire che il feto era malformato a causa dell’intossicazione da fumo e lei, per questo, decise di abortire, scegliendo quindi di commettere un delitto. Questa è una storia terribile, ma ce ne sono tantissime di simili.
La donna non può fare tutto quello che vuole durante la gestazione: essa ha il dovere, anzi, di proteggere il bambino finché è nel suo ventre, finché nascerà; solo dopo il parto potrà anche decidere di affidarne la cura ad altri. Il gruppo sociale, dal canto suo, ha il dovere di proteggere la gestante e di non farla mai sentire sola.
Ai bambini si può insegnare a riconoscere la voce dei genitori, determinati suoni e ritmi, anche poesiole che poi riconoscerà quando sarà fuori dal ventre materno. C’è tutta una branca della scienza intrauterina che parla proprio dell’apprendimento in questo periodo della vita. Si possono ovviamente insegnare cose adeguate al momento di sviluppo del bambino, come ad esempio ad un bimbetto di un anno non s’insegneranno complicatissime formule di trigonometria, ma non per questo un bambino di un anno non è un essere umano a tutti gli effetti, come lo è il feto che impara a riconoscere la voce della mamma e del papà, ritmi e persino parole.

Queste cose noi le sappiamo da vent’anni a questa parte e proprio vent’anni fa la legge italiana permetteva l’aborto, dicendo che quello che era nel ventre materno fino al terzo mese, non era un essere umano, e tuttora gli abortisti continuano a dirlo: lo possiamo ammazzare perché è un essere imperfetto.
È ridicolo e grottesco pensare che a ottantanove giorni non è un uomo e a novanta lo è, mentre in Inghilterra diventa un uomo a cinque mesi e un giorno, mentre non lo è a cinque mesi meno un giorno; eppure l’Italia e l’Inghilterra sono due popoli non lontani per storia e tradizioni, hanno la stessa cultura e la stessa religione, anche se un po’ diversa, ma pur sempre cristiana.

5. Oggi che siamo nell’epoca della bioetica e del consenso informato ancora pochi e neppure le donne, sanno come avviene l’aborto. Quando andavo nelle scuole a parlare ai ragazzi di gestazione, dello sviluppo fetale e anche dell’aborto, come mi pareva doveroso, visto che siamo in uno stato in cui questo è lecito, ho scoperto con stupore che nessun ragazzo o ragazza sapeva davvero in cosa esso consistesse, nemmeno coloro che, che dopo la mia chiacchierata, mi prendevano da parte in lacrime dicendo di averlo fatto. Sconvolti ripetevano che, se avessero saputo di cosa si trattava, non avrebbero preso mai una simile decisione. Che ne è allora del consenso informato? L’informazione dovrebbe essere obbligatoria, anche per l’aborto volontario, eppure le donne e i loro partners non sono davvero informati di come viene praticato l’aborto. La scuola che sbandiera l’importanza dell’educazione sessuale deve andare fino in fondo ed insegnare ai giovani cosa significa abortire, se si vuole che le donne e gli uomini siano davvero liberi di scegliere, in piena scienza e coscienza, se ricorrere oppure o no ad una pratica che, pure, lo stato ha reso lecita. Invece avviene addirittura che in alcuni Paesi, nelle sale dove si pratica l’aborto, non ci possa essere nemmeno un fonendoscopio perché non accada che la donna, sentendo battere il cuore del figlio, rinunci ad abortire.

6. Ci sono varie tecniche abortive: una che può essere praticata solo nelle primissime settimane di vita del bambino – tanto che è anche definita eufemisticamente come operazione di «svuotamento mestruale» – consiste nell’introduzione in utero, dal basso, di una cannula aspirante che provoca lo «scivolamento» all’esterno del bambino.

Un secondo tipo di aborto, che si pratica all’interno dei tre mesi previsti dalla legge dello stato italiano, è invece più complicato: si provoca con l’anestesia la dilatazione del collo dell’utero; s’introduce una cannula di plastica che smembra, maciulla ed infine aspira il bambino che finisce in una sacca (esattamente come fa l’aspirapolvere con i sudiciumi di casa). Un altro metodo permesso in Italia all’interno dei tre mesi di gestazione, è quello noto col nome di «raschiamento»: viene introdotto dal basso, insieme con una pinza, un cucchiaio di acciaio concavo e tagliente e il bambino viene fatto a pezzi, asportato e tagliuzzato, raschiando le pareti dell’utero. In tutti questi interventi viene asportata anche la placenta.

Un’altra forma di aborto che è permessa senza limitazioni in Inghilterra fino al quinto mese – mentre in Italia è praticabile solo in casi
eccezionali anche oltre il terzo mese – è quella in cui il medico introduce una pinza nell’utero, prende un arto, per esempio una gambetta, la torce fino a staccarla, poi la butta fuori e così fa con gli altri arti e le altre parti del corpo; invece la spina dorsale e il cranio, che ormai sono precalcificati, bisogna frantumarli per poterli tirare fuori; a questo punto l’ostetrica deve ricomporre il corpicino perché il medico si renda conto che non sia rimasto niente del bambino dentro il ventre materno.

Altre tecniche di intervento abortivo fanno ricorso a particolari sostanze venefiche. Un procedimento che viene usato quando il bambino è abbastanza avanti nello sviluppo, consiste nell’usare iniezioni di soluzione salina molto concentrata, che si inietta nel liquido amniotico passando dal ventre materno:
il bambino si contorce, ha sussulti, viene decorticato, tanto che ironicamente alcuni ostetrici dicono che viene fuori un bambino «candito» e indubbiamente è un bambino che è stato cotto dal sale, avvelenato, e sembra un candito. Un’altra tecnica consiste nell’iniettare prostaglandine, cioè sostanze che producono le contrazioni, e se il bambino è sufficientemente piccolo non sopravvive, ma intorno ai quattro e ai cinque mesi può venire fuori vivo e, dal momento che la donna è lì per essere liberata da quel fardello, il medico deve avere poi il coraggio di ucciderlo.
Esiste anche quella che viene chiamata la «pillola del giorno dopo», una sostanza che si può assumere soltanto dopo le primissime settimane dal concepimento, la quale crea una situazione per
cui l’embrione, appena impiantato, non trova nutrimento e allora muore per inedia: Io si uccide facendolo morire di fame; automaticamente poi l’ utero espelle il bambino morto.

Oltre a questi interventi ce ne sono altri: in fase di gestazione avanzata, si pratica un taglio cesareo, così che il bambino, ancora vivo, viene estratto e soffocato oppure immerso nell’acqua, cioè annegato; o ancora, con un metodo, che è definito più soft, più dolce e umano, si recide il cordone ombelicale e il bambino muore asfissiato.
Queste sono le tecniche principali con cui si uccide l’essere umano nel ventre materno. Oggi si uccidono così non soltanto gli albanesi in Kosovo, gli Hutu e i Tutsii in Africa, i curdi in Asia ma anche i bambini nel ventre materno.