Psicoanalisi contro n. 29 – L’origine della vita psichica

giugno , 1998

1. L’uomo ha sempre fantasticato intorno ai misteri che circondano la vita intrauterina, domandandosi che cosa realmente succeda a quell’essere che per nove mesi si muove in un ambiente sconosciuto e quali siano le sue sensazioni. Le diverse società hanno immaginato l’evoluzione dei rapporti tra il feto, la madre ed il mondo nel periodo della gestazione, formulando ipotesi di tutti i tipi. Negli ultimi sessant’anni poi le scoperte scientifiche e le nuove tecniche di indagine, come l’ecografia e simili, hanno permesso di seguire più da vicino la vita della madre e del bambino nel tempo che va dal concepimento al parto.
Il mio interesse in questa sede è comunque rivolto più che agli aspetti strettamente fisiologici ai processi di formazione della vita psichica di questo essere umano che si prepara ad uscire nel mondo. Non ho detto nascere, perché per me la nascita coincide con il momento del concepimento ed il parto è solo un evento, importante beninteso, tra i molti della vita umana. Mi interessa capire cosa succede al bambino e alla madre ed anche come l’ambiente reagisce ad una gravidanza, nella realtà e nell’immaginario.
Ormai gli studi sulla fisiologia della gestazione ci danno la certezza che il ventre materno in quei nove mesi non è più quella barriera protettiva contro l’esterno, quel mare calmo e felice in cui il bambino si trova in una condizione di isolamento sensoriale, che la tradizione, illudendosi, ha voluto a lungo che fosse. Concetti che noi stessi abbiamo introiettato.
La vita dell’essere umano, embrione o feto, nel ventre della madre non è né più felice, né più infelice che in ogni altro momento successivo; anche qui egli conosce momenti diversi di gioia o dolore, benessere o malessere.

2. La psicoanalisi ha sempre attribuito molta importanza ai primi anni di vita nel processo di formazione della psiche e dell’inconscio. Io vorrei dire esplicitamente che considero fondamentali proprio i mesi di vita intra-uterina, poiché in quel tempo ed in quella sede si verificano eventi fondamentali per la vita psichica di ogni essere umano. In questi nove mesi si forma la psiche e si costituisce l’inconscio.
La mia ipotesi, che mi pare confortata dalle ultime osservazioni scientifiche teoriche e sperimentali, è che il parto sia un evento – di rilievo soprattutto burocratico – che riguarda un essere umano che fin da quando è stato concepito ha avuto una vita autonoma, ricca di avvenimenti: traumi, gratificazioni, conflitti, desideri, fantasie e sofferenze. Per tutto il periodo trascorso nell’utero materno questo individuo ha cercato di stabilire un rapporto con la madre e con il mondo, conoscendo successi ed insuccessi.
La mia è per ora soltanto poco più che un’ ipotesi; ma ogni ricerca scientifica è partita da ipotesi più o meno fondate, per giungere in seguito alle conclusioni e non viceversa. Come dice Popper, la scienza, più che dare risposte certe, formula forse solo un susseguirsi di problemi che sorgono l’uno dall’altro.

3. Le nuove acquisizioni scientifiche però finora non sono riuscite a modificare l’immaginario sociale. Malgrado oggi sia possibile con analisi di ogni tipo conoscere molto sulle condizioni reali del feto, restano nella donna le fantasie che l’inconscio ha maturato attraverso i secoli passati. La madre in attesa è piena di desideri, paure, sogni verso quell’essere che sente che è dentro di sé e che in parte accetta, ma anche in parte rifiuta. Ogni donna immagina il figlio che deve venire alla luce, attribuendogli caratteristiche precise, a cominciare dal sesso. Non si creda mai a quella madre che dice: «Non mi importa di che sesso sarà; per me è lo stesso». Non è vero! Queste aspettative in parte determinano l’atteggiamento verso l’embrione ed il feto, come determineranno in seguito quello verso il figlio partorito.
Alle fantasie ed aspettative della madre, vanno poi aggiunte quelle del padre e della famiglia: tutti si aspettano qualcosa da questo essere che deve venire alla luce e questo carica la madre – e di conseguenza il bambino – di grosse tensioni. Io penso che sarebbe molto utile che tutte le gestanti si impegnassero in un rapporto psicoanalitico che le aiuti a chiarire tutto quanto c’è di inconsapevole e di inespresso intorno al bambino ed alla gravidanza, ma se non lo si è fatto subito so che è rischioso iniziare l’analisi durante la gestazione.
La mia esperienza clinica mi ha però permesso di formulare per ora alcune ipotesi di massima. Gli atteggiamenti principali che caratterizzano il rapporto tra i genitori e il nascituro risultano essere di quattro tipi.
Il primo è quello del «bambino troppo voluto» la cui forma esasperata è quella che si manifesta con la cosiddetta «gravidanza isterica». Comunque, anche quando non si giunga a tanto, avviene che il desiderio troppo intenso del figlio che sta per essere partorito finisce con l’avere su di esso effetti ben precisi e talvolta negativi. I figli troppo voluti tradiscono generalmente tutta una gamma di sintomi, che riflette l’ansia parentale: sono insicuri, tracotanti e paurosi, incapaci di abbandonarsi con fiducia agli altri; nei rapporti famigliari sono imperiosi, impongono ai genitori la loro presenza anche nel letto coniugale, di notte piangono troppo oppure ostentano un ricattatorio silenzio.
Il secondo tipo è il « bambino non voluto». In genere il suo arrivo è stato rifiutato, magari anche attraverso progetti di aborto più o meno consapevoli, che però sono stati da lui chiaramente percepiti. Diventa con facilità un bambino violento, ansioso, aggressivo e facilmente preda della depressione. Il suo gesto di entrare nel letto dei genitori esprime bisogno di rassicurazione sulla propria stessa esistenza; i suoi pianti sono inconsolabili.
Il terzo tipo è il «bambino non pensato». I genitori sono distratti, non fanno su di esso fantasie coscienti, rinviano il rapporto con lui a parto avvenuto. Il pericolo più grave in questo caso è l’autismo; più spesso si notano apatia, tristezza, noia e lo sviluppo di considerevoli problemi di deperimento somatico. Piange troppo poco, anche di notte e non desidera entrare nel letto dei genitori.
Il quarto tipo è quello del bambino «troppo pensato». Fin dall’inizio della gestazione i genitori hanno fatto continuamente ipotesi e progetti, immaginandoselo con dovizia di dettagli, spesso contrastanti; gli si è chiesto immediatamente di corrispondere a troppe aspettative. Sarà questo un figlio dal carattere dubbioso, esibizionista, con tendenza allo scacco continuo e poco capace di gestire il proprio corpo. Cercherà il letto del padre e della madre soprattutto per spiarne l’intimità.

4. Il gruppo sociale dovrebbe comunque avere più considerazione della delicatezza della situazione in cui si trovano madre e bambino e cercare di alleggerire il carico emozionale che talvolta diviene nei loro confronti davvero troppo pesante. Vorrei qui subito esplicitare che tra le fantasie malate – che si presentano alla mente dei genitori nella donna in modo speciale -, significative sono quelle di possesso. È bene che chiarisca subito dicendo che nessuno può esercitare sul figlio alcuna forma di proprietà. Il bambino è un essere umano con tutta la pienezza delle sue prerogative fin dal concepimento e da quel momento la madre perde ogni diritto di proprietà anche sull’utero. La frase: «L’utero è mio e lo gestisco io» non può essere pronunciata da una donna incinta. Il suo unico dovere è di fare il possibile per garantire la sopravvivenza di quell’essere che sta «ospitando». È questa una realtà che può essere percepita come espropriazione, ma che ha tutto il valore di una legge che giustamente proibisce ogni attentato alla vita umana ed ogni esercizio di proprietà di un uomo su di un altro.
Sono consapevole che spesso il figlio è rifiutato perché non è frutto di un atto di amore, ma di uno stupro, perché ci sono fondate ragioni che la sua salute sia già compromessa, perché sono cambiate le condizioni rispetto al momento del concepimento; ma in ogni caso non è più lecito «liberarsi del problema». Il bambino è proprietà di se stesso e nessuno può disporne, neanche il padre e la madre che lo considerano carne della propria carne, sangue del proprio sangue. Tutti però hanno il dovere di aiutarlo a stare il meglio possibile: è questo un dovere sociale che esclude ogni ipotesi di possesso.
Con ciò mi pare di avere sufficientemente chiarito come io consideri l’embrione ed il feto: un essere umano con una vita organica e psichica completa, fatta quindi anche di coscienza ed inconscio.

5. E’ ugualmente difficile comprendere tanto i meccanismi della coscienza quanto quelli dell’inconscio, poiché il rapporto tra di essi è intricatissimo. Nell’inconscio esistono passioni e desideri rimossi; alcuni mai espressi, che sono soltanto «spinte». I conflitti dell’inconscio sono quanto mai articolati e complessi; la tecnica psicoanalitica – come il buon senso comune – cerca spesso di far pervenire alla coscienza realtà, pensieri, fantasie e desideri nascosti. Allora questi desideri affiorano alla coscienza, ma camuffati e contorti. Sono stratificazioni di pensieri apparentemente assai lontane dalla realtà che sottintendono. La coscienza quindi è il luogo in cui si esprime e si manifesta, in un certo senso, la menzogna, per cui – paradossalmente – potremmo dire che il punto della massima consapevolezza coincide con il punto massimo dell’inconsapevolezza: si riconosce un contenuto di coscienza come vero, mentre in realtà non è che un inganno.

Potremmo dire che se nell’inconscio pur esistono turbolenze, ambiguità e contraddizioni, in qualche modo esse sono tuttavia concrete e reali, mentre quello che viene alla coscienza è soltanto un compromesso più o meno attendibile: sapere di sentire e di pensare non significa sentire e pensare il vero. Se nell’inconscio c’è l’inconsapevolezza, allora nella coscienza c’è la menzogna. La verità sta oltre. Questo oltre è raggiungibile? Per raggiungerlo bisognerebbe essere in grado di separare il grano dal loglio, la verità dalla menzogna. Se la coscienza è però dominata dall’inconscio, bisogna accettare che ci troviamo davanti ad un circolo vizioso.

6. La psicoanalisi attribuisce comunque un valore fondamentale all’inconscio per il suo potere di condizionamento sul comportamento umano che risulta evidente in ogni sfera, come ha ben intuito per primo S. Freud. Oggi uno scienziato che voglia essere considerato tale non può prescindere dall’ipotesi dell’inconscio; se lo facesse negherebbe la realtà di un elemento fondamentale della vita come dimostrano, nel quotidiano, lapsus ed atti mancati. L’arte ha capito questa profonda verità prima ancora della scienza, valendosene in modo esemplare per spiegare i complicati meccanismi dell’animo umano, come avviene, ad esempio, in tutta la tragedia greca.
L’inconscio è un dato ineliminabile: chi sceglie di intervenire senza volerne tenere conto, sia nel campo della terapia psicologica sia in qualunque genere di cura, lo fa a proprio rischio e pericolo e chi ne nega l’esistenza è un ciarlatano. Certo, è oggi il caso di rivedere anche il concetto di inconscio, che come è stato concepito da Freud e Jung risulta ormai inadeguato a spiegare tutta la complessa realtà delle vicende umane. L’inconscio come io lo intendo risulta costituito di tre parti: una istintuale, la seconda individuale e la terza sociale.
L’inconscio istintuale è quel complesso di messaggi genetici che ci inducono a rispondere in un determinato modo agli stimoli ed a comportarci secondo criteri precisi in situazioni schematicamente prefissate, che però viene modificandosi col divenire storico.
Ogni rondine costruisce il proprio nido diversamente da quello di ogni altra rondine, modificando in parte il proprio comportamento istintuale per adattarlo alla necessità ambientale in cui viene a trovarsi. Anche il meccanismo considerato più istintivo è tuttavia dotato di una forma di psichismo costituita di consapevolezza e di inconscio. Tracce della cosiddetta psiche si possono trovare in tutta la realtà vivente, vegetale ed animale.
Se la nostra stessa consapevolezza è così intrisa di inconscio, tanto che sappiamo e non sappiamo le motivazioni dei nostri comportamenti, così che non è più possibile distinguere nettamente tra coscienza, autocoscienza ed inconscio, come possiamo affermare che il movimento istintuale di un roditore, di un uccello o di un rettile, modificatosi nel tempo, adattato ai nuovi bisogni, sia totalmente inconsapevole? I movimenti di adattamento, osservati diacronicamente e sincronicamente, presentano una struttura teleologica, che sarebbe rozzo ed ingenuo ridurre a puri meccanismi: è preferibile credere che anche gli esseri viventi cosiddetti inferiori siano guidati da un barlume di coscienza, se pure difficilmente definibile. Lo psichismo è prerogativa intrinseca di ogni istintualità, non soltanto a livello di puro e semplice riflesso, meccanicamente trasmesso ed appreso, ma piuttosto come espressione di una unione di elementi consci ed inconsci che è attribuibile ad ogni essere vivente ed a maggior ragione all’essere umano.
La seconda parte è l’inconscio individuale, composto da tutte le esperienze personali ed i ricordi di ciascuno. Non è il caso di profondersi in troppe precisazioni, basterà dire che è il luogo, del resto non ben determinato, in cui si colloca tutto il materiale rimosso da cui sorgono le pulsioni dell’individuo, che io preferisco chiamare desideri, come mi riservo di precisare meglio tra poco.
La storia di ogni persona è unica ed irripetibile, perciò ogni uomo è diverso da tutti gli altri. Nell’indagare sui contenuti dell’inconscio individuale, lo psicoanalista deve sempre tenere conto che ha di fronte una realtà unica che nel suo specifico non si è mai presentata e non potrà mai più ripresentarsi identica. Questa certezza ha un significato scientifico, filosofico e morale.
La terza istanza è l’inconscio sociale, il quale veicola i messaggi, i contenuti e i valori che sovrastano la realtà individuale, ma che nello stesso tempo la formano, in un continuo scambio tra l’io e gli altri. L’inconscio sociale non è dato una volta per tutte: i suoi contenuti divengono con la storia e nello stesso tempo la costruiscono. Ogni epoca ha i suoi concetti di bello e di brutto, di maschio e di femmina, di giusto e d’ingiusto. Questi sono valori che mutano continuamente, talvolta fino a capovolgersi.

7. Ci potremmo allora domandare se il genere umano vaghi in un divenire senza fondamento. Io rispondo che, se per un verso questo è vero, per l’altro, un fondamento deve essere sempre ricercato e costruito. Soltanto pochi però si adoprano perché ciò avvenga: per lo più le società si abbandonano acriticamente al flusso dei significati e dei valori. L’inconscio sociale li costruisce e però a sua volta ne è condizionato. Quando politici, filosofi, mass-media e gente comune pretendono di essere consapevoli di questi contenuti sono spesso in cattiva coscienza. Allo psicoanalista tocca il compito di smascherare tali inganni, affrontando il rischio di essere a sua volta in mala fede.

L’inconscio sociale non è universale, si struttura in modo diverso secondo le realtà che lo esprimono, cioè gruppi etnici, culturali, religiosi, economici o politici. La sua stabilità è direttamente in rapporto con la capacità di coesione di questi stessi gruppi e sottogruppi. In ogni caso, le diverse forme dell’inconscio sociale sono in reciproco rapporto, sfumano le une nelle altre, si stratificano, si disgregano e si rinnovano.
Ma un’analisi comparativa sufficientemente approfondita permette, però, quasi sempre, di orientarsi e distinguerle.
Nel rivendicare l’originalità di questa mia concezione di «inconscio sociale», voglio riconoscere esplicitamente quanto debbo al concetto junghiano di «inconscio collettivo», e anche alle formulazioni fatte da Fromm, mentre giudico affatto diversa la teoria di Castel, il quale opera più che altro una stigmatizzazione dell’uso strumentale che la psicoanalisi e la società hanno fatto dell’inconscio.
Nell’uomo, il corpo e la psiche, il conscio e l’inconscio – nelle sue componenti istintuale, individuale e sociale – compongono comunque un tutto unico, che io ho forse, proditoriamente, smembrato in modo eccessivo.

Nel momento stesso del concepimento si attiva una vita psichica già completa. Abbiamo visto come sia un’astrazione distinguere tra vita cosciente, autocosciente ed inconscia: la psiche e l’organismo sono un tutto, che non si può far iniziare arbitrariamente ad un determinato punto o momento del divenire della persona. L’individuo nasce quando i due gameti si uniscono e da quel momento egli è un essere umano in atto e non più soltanto in potenza; questa è una scelta filosofica e morale che io ritengo necessaria, anche perché convalidata dalle acquisizioni della scienza che studia la vita prenatale.
Se pur sono consapevole che una teorizzazione psicologica in proposito non possa al momento trovare riscontri diretti, al di fuori di quelli reperiti dallo studio della psiche nelle età successive, tuttavia – procedendo con lo stesso metodo che all’inizio fu alla base di una teoria poi risultata per la fisica moderna quanto mai utile e funzionale nei suoi sviluppi come quella atomica, che partendo dagli effetti sperimentali seppe risalire alle cause – mi sento in grado di affermare qui che, fin dal concepimento, nella psiche è presente la bipolarità: logica e buon senso ci dicono che già in questo momento si registra una sia pur lieve differenziazione tra vita conscia ed inconscia, pur nell’unità psichica e fisica.

8. Non credo che sia valida la tesi di Piaget, il quale distingue tra una fase in cui il bambino sarebbe capace soltanto di riflessi, ed altre successive che nell’incontro con il mondo lo metterebbero in grado di coordinarli attraverso un apprendimento progressivo sempre più sofisticato e consapevole. Ci sono prove sufficienti che nel ventre materno l’individuo entra in rapporto con il mondo, anche attraverso i valori che la madre accetta o respinge; ma contemporaneamente è strutturato dal patrimonio genetico che gli trasmette codici di risposta e di comportamento. Questo patrimonio è già, a partire dalla vita fetale e perinatale, l’attivazione di un meccanismo psichico che interviene per operare le modificazioni ritenute necessarie.
Mi pare al confronto più adeguato il discorso freudiano che parla subito di pulsione, desiderio e sessualità. Persino l’ipotesi freudiana della chiusura autoerotica iniziale del bambino è un’ammissione di una percezione di se stessi squisitamente psichica.

9. La vita psichica, conscia ed inconscia, allora in che cosa consiste? La prima risposta potrebbe essere che in origine essa sia soprattutto memoria. La psiche però non trattiene tutti i ricordi allo stesso modo: alcuni sono presenti alla coscienza, mentre altri rimangono chiusi nell’inconscio, che sarebbe quindi anch’esso essenzialmente memoria. La memoria dell’inconscio non è però un elemento psichico inerte. Traumi, pensieri, desideri e fantasie del passato si trasformano in ricordi in movimento, che vanno verso una direzione, e posseggono un’intenzionalità. È impossibile vivere senza il ricordo, d’altra parte è impossibile avere in atto presenti tutti gli elementi che costituiscono il nostro passato e il contenuto della nostra psiche. La coscienza ha quindi una funzione selettiva di ricordi in qualche modo utili nel presente di una situazione determinata, ma quelli che restano, come materiale rimosso, nell’inconscio, svolgono ugualmente una loro funzione nel determinare le scelte ed il comportamento. Per questo possiamo dire che l’inconscio non è solo memoria, ma anche desiderio. Senza la spinta del desiderio i ricordi rimarrebbero inerti ed un tale ricordo non sarebbe nemmeno un ricordo, poiché non potrebbe diventare attuale. I ricordi si collegano e persino si oppongono tra di loro, originando una vera e propria forma di energia psichica. Ecco perché il vecchio concetto freudiano di pulsione è da considerare come la somma di due elementi, cioè memoria e desiderio. Certo, so che esistono anche meccanismi fisiologici della memoria, come il circuito di Papez; ho presenti gli studi di Eccles e so che cosa significano espressioni come « memoria evocativa» o «memoria ritentiva». Quello che però voglio mettere qui in evidenza è che vivere significa ricordare: qualunque gesto noi compiamo lo facciamo perché sfruttiamo un ricordo, magari istintuale.

10. Se quello che fin qui ho detto ha un fondamento, come si spiega allora il fatto che l’uomo non conserva alcuna memoria, consapevole almeno, della vita intrauterina e dei primissimi mesi dopo il parto? Perché solo da un certo periodo in poi siamo in grado di avere ricordi? Non è solo una questione di aver dimenticato nell’età adulta per la distanza di tempo con il passato remoto: anche i bambini appena grandicelli non ricordano quasi nulla dei loro primi giorni, mesi e persino anni di vita. La risposta che mi sono dato è che il meccanismo temporale, strutturato in passato, presente e futuro è molto poco elastico nella vita pre-natale e nei primi anni di vita. Il tempo struttura ogni gesto, ogni pulsione e ogni movimento, e l’essere umano è sempre in movimento. Un’osservazione attenta dell’embrione, del feto e del neonato riesce a evidenziare fin da molto presto la presenza di memoria, sia ritentiva, sia evocativa.
Piccoli accorgimenti sperimentali possono dare le prove di ciò; il che significa che l’essere umano nasce già strutturato in funzione di una dimensione temporale, costituita di presente, passato e futuro. Lentamente il tempo che all’inizio sembra essere contratto, si distende nella sua dimensione, acquisendo anche lo spazio. Il concetto di spazio è fondamentale per il ricordo, poiché collocare nello spazio significa ricordare nel tempo il qui di prima e quello di dopo. Il feto e forse addirittura l’embrione sono capaci di andare con il ricordo da un prima ad un dopo, percorrendo anche uno spazio che va da un punto all’altro.
Qualcuno potrebbe obiettare che si potrebbe partire dallo spazio e non dal tempo; ma ciò significherebbe pensare come se lo spazio non fosse una funzione del tempo e viceversa. La questione del punto di partenza, spaziale o temporale, non mi pare rilevante: ho scelto il tempo, ma avrei potuto fare lo stesso partendo dal concetto di spazio.
Le indagini più accorte, sui bambini, ma anche sugli adulti, paiono confermare che esiste anche un ricordo della vita intra-uterina, a dispetto di ciò che ho appena detto, sul fatto che ad impedirlo sarebbero in parte le oscillazioni minime di spazio e di tempo dell’età precoce. La psichiatria fetale ha già trovato l’espressione «apprendimento intrauterino» per definire l’attività psichica e conseguentemente anche mnestica del feto, che risulta capace di ricordare melodie, suoni, voci, odori, sapori. Se così è, perché escludere che ricordi anche altro? Soprattutto attraverso i sogni bambini ed adulti paiono ricordare situazioni della vita prenatale. Certo resta il dubbio se il parto, per esempio, possa essere ricordato davvero o se il ricordo piuttosto non sia per così dire «ricostruito» sulla scorta dei racconti che intorno ad esso sono stati uditi poi; ma noi sappiamo bene che nell’inconscio degli adulti si trovano tracce abbastanza evidenti di tali avvenimenti precedenti o contemporanei al tempo del parto, che è possibile far riaffiorare.
È questo un campo di indagine ancora estremamente pieno di incertezze ed ambiguità, ed anche per questo affascinante.