Psicoanalisi contro n. 25 – Avventura del desiderio

dicembre , 1997

1. Desiderio e fantasia sono due termini che ritroviamo spesso nel lavoro di riflessione sulla salute psichica. A queste due parole la nostra cultura associa un colorito positivo e negativo allo stesso tempo, che le rende cariche di ambiguità.
Il desiderio è un principio vitale, al venir meno del quale si rischia di cadere nel gorgo della malattia: così quando manca il desiderio del cibo si può cadere vittime dell’anoressia; quando si perde il desiderio sessuale incombe il pericolo della depressione e così via. C’è qualcuno che, razionalizzando, può far coincidere la perdita del desiderio con un senso di liberazione dal bisogno, ma è questa, appunto, una razionalizzazione che non corrisponde a verità. La perdita del desiderio sessuale, per esempio, può essere già un sintomo, magari di decadimento psicofisico provocato dallo stress e dall’ansia del vivere quotidiano.

La fantasia non solo è una componente fondamentale della creazione artistica, ma interviene nell’esistenza umana colorandola di sentimenti sempre cangianti, capaci di stimolare attività di ogni genere e ogni tipo di produttività. “Potere alla fantasia” oppure ” Fantasia al potere” non sono solo due slogan ormai desueti: essi sottolineano anche le potenzialità che attraverso la fantasia possono esprimersi. Per questo nei suoi confronti si percepisce anche un sentimento di inquietudine, in quanto si pensa allo scatenamento delle emozioni che ad essa si lega e che possono essere positive o negative: la fantasia, può sconfinare nella stranezza, nella trasgressione e nella perversione. Allora ci si richiama al mito platonico dell’auriga e dei suoi due cavalli, e della necessità dell’intervento della ragione, intesa come principio regolatore, che preserva dall’eccesso. (cfr. Platone, Fedro )

2. Filosofi e mistici hanno guardato con sospetto il desiderio. I santi della cristianità hanno spesso lottato con energia contro la forza dei desideri, ricorrendo anche a forme severe di autopunizione e di penitenza. La storia dell’arte figurativa e la letteratura sono piene di figure di santi e sante impegnati in un combattimento senza tregua contro la tentazione di desideri di ogni tipo, e lo stesso Gesù dovette, nel deserto, lottare duramente contro di essi. Senza arrivare a tanto, da più parti, in ogni epoca, si è espresso il bisogno di tenere il desiderio sempre sotto controllo, per evitare di restarne vittime o di pagare ad esso prezzi troppo cari: dalla perdita dell’anima alla perdita del senno. Si suole ripetere ai bambini una frase gravemente diseducativa: “prima il dovere e poi il piacere”.

Il sadismo e l’ invidia degli adulti tentano così di inibire il desiderio, l’impulso verso il piacere che i giovani mostrano – spesso senza remore – di provare. Inoltre si tenta così di inculcare loro il messaggio che il principio del piacere sia in antagonismo con quello del dovere. Per reazione, si è imposta la falsa convinzione che la virtù, coincidendo col dovere, sia solo noia e fatica, mentre il piacere stia soltanto nella leggerezza che diverte. Così che si premia chi si è impegnato per raggiungere un obiettivo, come se non potesse esserci proprio nella meta raggiunta la gioia del desiderio soddisfatto e della fantasia realizzata, confermando la dicotomia piacere-dovere.

Il piacere può anche derivare dal soddisfacimento di un desiderio ignobile; ovvero essere l’espressione realizzata di un narcisismo o di un sadomasochismo che si compiacciono di sé. L’utopia di un mondo in cui piacere e dovere, gioia e lavoro fossero tutt’uno e la realizzazione della vita comune dei cittadini coincidesse col soddisfacimento dei legittimi desideri di tutti è comunque stata coltivata da pensatori ed educatori di ogni tempo: e questi sono esempi della fantasia applicata alla filosofia e alla politica. Purtroppo è prevalsa la rassegnazione alla noia del dovere; la nozione del lavoro come condanna, in ambienti sgradevoli e tra compagni che sono concepiti solo come ostili rivali. Il tempo coatto del dovere è stato strettamente circoscritto e contrapposto al tempo libero del piacere e da uno si scappa al più presto verso l’altro. Quando la fatica è troppa e la fantasia non ha più spazio c’è allora la risorsa dell’alcol o della droga, che procurano allucinatoriamente, ma subito, il soddisfacimento del desiderio.

3. L’ atarassia è stata l’alternativa all’imposizione della coppia piacere-dovere: i filosofi hanno caldeggiato il sopravvenire di uno stato d’animo in cui il desiderio fosse trattenuto e la fantasia frenata dall’indifferenza che risparmia dal dolore possibile della frustrazione. Una condizione di vita considerata assolutamente morale nell’esercizio di una virtù che acquista così i connotati dello stoicismo austero o quelli disincantati degli scettici. Anche Sigmund Freud ha sentito il fascino di questa condizione di indifferenza emotiva assolutamente morale ed ha teorizzato a suo modo un principio del nirvana .

Un vecchio psicoanalista didatta era solito raccontare una parabola: una signora aveva sognato di camminare lungo una strada deserta: procedeva frettolosamente perché si sentiva a disagio. Ad un certo punto, un ragazzo l’aveva raggiunta ed aveva incominciato ad aggredirla, prima con domande a cui lei non rispondeva, poi con apprezzamenti lusinghieri e meno lusinghieri sulla sua figura fisica. Finché, in un crescendo in cui la donna accelerava il passo e quello i suoi attacchi, si era sentita costretta a reagire aspramente ingiungendogli di smetterla subito con tanta indecenza. A quel punto con suo grande stupore la signora aveva sentito il giovanotto risponderle: ” Signora, guardi che il sogno lo sta facendo lei ! ”

La storiella dice molto sugli esseri umani e sui loro desideri. Spesso amici e pazienti raccontano sogni sentendosi responsabili solo di quella parte che nel sogno agiscono in prima persona e rinnegando che possa loro appartenere alcunché di quello che gli “altri” personaggi dicono o compiono.
Nel sogno, il “copione” intero esprime fantasie e desideri di chi sogna e che di un tal genere di film è allo stesso tempo autore, regista e personaggi. Credo che, sempre, il sogno esprima esclusivamente desideri, contrariamente a chi ha detto in proposito che anche la pulsione di morte o alcuni effetti traumatici ne costituiscano parte importante.
I desideri dichiarati dal sogno sono contraddittori ed ambigui, risalgono ad epoche lontane, hanno subìto nella coscienza processi di allontanamento, negazione e rimozione, ma nel sogno tornano a farsi sentire.

4. Dal punto di vista clinico, quale atteggiamento è opportuno assumere verso i desideri? Lo psicoanalista dovrebbe avere presente che il desiderio non è il risultato di una scelta, ma è un dato.
1) Ci sono desideri di natura istintuale: nutrirsi, respirare, stare bene e provare piacere.
2) Ci sono desideri rifiutati dalla coscienza per ragioni morali o per altri fattori che li inibiscono.
3) Ci sono desideri consapevolmente scelti.
Le radici degli uni come degli altri affondano comunque nell’inconscio e la loro accettazione o il loro rifiuto dipendono da cause che non è facile individuare: sta di fatto che vivere significa desiderare ed ogni individuo ed ogni gruppo si trovano immersi in situazioni desideranti che non dipendono direttamente dalla loro esplicita e consapevole volontà. Prima del desiderio c’è solo un altro desiderio. Le razionalizzazioni sono unmeschino tentativo di giustificare quello che non deve essere giustificato: se l’essere umano non desiderasse non riuscirebbe a sopravvivere. Con la realtà del desiderio bisogna sempre fare i conti. Il desiderio è il “dato” ineliminabile della vita. Questo dato deve essere riconosciuto, senza cercare fughe in distinzioni o catalogazioni: sia malato o sano. A ciascuno accade di sentirsi preda di desideri che non accetta, di fantasie che lo spaventano, ma neppure questi debbono essere negati. Il desiderio può essere educato e non necessariamente subito: qualcuno c’è riuscito con la preghiera, ma ci sono anche altre strade che possono essere percorse. L’uomo può condizionare i propri desideri e non farsi condizionare da questi. Nel meccanismo desiderante il desiderio trascende se stesso e si fonda altrove. Con questo altrove si può stabilire un rapporto dialettico.

5. Come può lo psicoanalista essere uno strumento di questo meccanismo dialettico? Molti anni or sono si presentò in studio un giovane che era stato da poco sconvolto dalla visione di un film di successo: L’esorcista. Assolutamente disorientato il ragazzo si sentiva preda di una forza malefica capace di fargli compiere atti inconsulti ed in particolare temeva di poter nuocere gravemente alla propria sorella minore, alla quale era per altro molto affezionato. Passava ore chiuso in bagno, di cui gettava all’esterno la chiave, per il timore di passare ad atti di violenza. Si era infine deciso a trasferirsi dai nonni che abitavano lontano dalla famiglia paterna, ma anche lì la situazione si era degradata, tanto che si era rinchiuso in casa evitando di uscire persino per andare a scuola. Provava impulsi coatti a compiere gesti osceni tra la gente, urlare parolacce, insultare chi si trovava in sua presenza. Per fortuna dimostrava una certa fiducia nell’analisi e così fu possibile, abbastanza rapidamente rintracciare alcuni filoni esplicativi, come l’inconscia attrazione sessuale per la sorella e la rimozione di impulsi omosessuali verso i compagni. Rendere questi elementi consapevoli ebbe un effetto liberatorio. Raggiunto questo obiettivo, il ragazzo lasciò l’analisi e si fece rivedere solo dopo molti anni, ormai uomo sano e sicuro di sé, tormentato però da un desiderio di fronte al quale non sapeva come reagire. Disse che si era sistemato in un impiego soddisfacente; ma da qualche tempo, aveva incominciato a provare il desiderio di cambiare settore e diventare psicoterapeuta. Dopo alcuni altri colloqui venne fuori che questo progetto era maturato dopo che aveva preso l’abitudine di guardare, in compagnia della moglie, filmetti pornografici in cassetta. Emerse poi anche che provava un particolare interesse per gli organi genitali maschili, sulle cui dimensioni concentrava la propria attenzione, fingendo di voler attirare quella di lei. Non essendo però del tutto inconsapevole, si era chiesto se non fosse il caso di rivolgersi allo psicoanalista per capire le ragioni di quella pulsione; ed in una fase immediatamente successiva aveva pensato che poteva usare quella sua necessità anche come base di partenza per un progetto di cambiamento della propria vita professionale, occupandosi per mestiere di una materia che lo interessava tanto da vicino.

Lo psicoanalista aveva a quel punto due elementi da prendere in considerazione: il primo era di valutare l’opportunità di rendere quell’uomo consapevole del fatto che cercava in quel modo di realizzare i propri desideri omosessuali e poi fargli prendere atto che la nuova scelta professionale nasceva dal desiderio di portare gli eventuali futuri pazienti alla scoperta della loro omosessualità. Diventava inoltre importante rendergli esplicito che i suoi desideri dovevano essere consapevolmente accettati e soddisfatti oppure altrettanto consapevolmente rifiutati ed che il suo interesse clinico per l’omosessualità maschile non era una ragione sufficiente per una scelta professionale. L’analisi può di qui in avanti diventare “interminabile” per usare la terminologia freudiana soprattutto se si propone di interpretare e portare al loro significato originario tutti i desideri e le fantasie di un essere umano.