Psicoanalisi contro n. 18 – Il diritto di non sapere

marzo , 1997

1. Ho detto altre volte che l’aborto coincide con la forma di plagio più completa ed inaccettabile: in quanto è una decisione di possesso e disponibilità totale di un essere umano, presa senza tenere conto della sua volontà, per il semplice fatto che non è in grado di esprimersi. L’embrione non è soltanto, come si vuol far credere, una completa vita biologica, ma contiene, in atto, tutte le forme di vita psichica che contribuiscono al suo sviluppo, determinandone al tempo stesso le caratteristiche anche future. La storia di ogni uomo inizia con il suo concepimento, quando il suo corredo genetico si attualizza in quello dell’individuo le cui potenzialità incominciano a trovare espressione e ad inter-agire con la realtà ambientale, man mano che si realizza la sua vicenda esistenziale, unica ed irripetibile.

La presunta diversità sostanziale del pre-embrione – fino al quattordicesimo giorno – è una menzogna filosofica e scientifica. Ciò nonostante non si prende in considerazione la voce di quell’individuo, che non riesce a farsi sentire, proprio quando si decide di privarlo della vita stessa. L’interlocutore adulto è il solo che ha voce in capitolo e si avvale di questa sua capacità per difendere i propri interessi, sovrapponendo la propria persona a quella dell’altro.
In realtà si finge di non sentire e di non vedere, preferendo, per comodità, insistere in un oscurantismo metafisico che deliberatamente ignora i documenti che la scienza oggi è in grado di fornire sulla reale consistenza della vita biopsichica del concepito. Là dove i grandi argomenti della fede e della verità possono risultare controversi e contraddittori, può però venire in soccorso la piccola certezza della scienza, e soltanto un fanatismo egoista ed assassino può permettersi di ignorarla deliberatamente. Eppure ci si avvale anche di questo rifiuto di sapere, per compiere quel delitto di plagio che riduce un essere umano all’assoluta mercé di un altro, tanto da sacrificargli, senza volerlo, il proprio diritto alla vita. Il potere che oggi la cultura consumistica e la legge oscurantista mettono in mano esclusivamente alla madre giunge a farle credere di gestire soltanto se stessa o una parte del proprio corpo, mentre invece la sua decisione riguarda la vita di un altro essere umano. Si contraddicono così i principi della morale e i dati della scienza, al fine di permettere che nel ventre della donna sia nuovamente legittimato il potere di vita e di morte dell’uomo sull’uomo, proprio tale e quale a quello che a suo tempo poté essere giustificato solo con il riconoscimento della schiavitù. Plagio e schiavitù sono quindi i fondamenti su cui la società contemporanea continua a basare il diritto all’aborto: l’altro essere umano è ridotto ad oggetto di proprietà e su di lui si esercita il diritto della giustizia sommaria.

Dovrebbe essere chiaro una volta per tutte invece che ogni essere umano è proprietario soltanto di se stesso e che ogni deroga da questo principio è arbitraria. Chi viola questo diritto del concepito, negandogli personalità giuridica o morale, si comporta come si comportarono i conquistadores iberici nel nuovo mondo, quando si appropriarono di interi popoli e li massacrarono, sostenendo che la loro condizione fosse quella di uomini senz’anima, animali più che persone.
Gli abortisti si prodigano nel fissare con burocratica assurdità i limiti temporali dell’acquisizione della piena dignità dell’embrione proprio per le stesse ragioni.
Ogni clinico, ma anche ogni essere umano, sa quanto drammatiche possano essere le ragioni che spingono una donna a rifiutare la vita che ha contribuito a generare, spesso contro la sua stessa volontà. Né il gruppo sociale, né il partner accettano di sostenere con lei il peso di una condizione tanto dolorosa, lasciandola sola anche nel momento in cui decide di scegliere la morte del proprio figlio. Eppure nemmeno questa brutale realtà può giustificare l’impostura con cui le si impone di credere di agire soltanto nei confronti del proprio corpo – che ha ogni diritto alla salute e al benessere – ma non a prezzo di una vita che già esiste. Se non c’è riparo alla violenza, tuttavia non si può permettere la menzogna che la nega: una madre è costretta ad uccidere il figlio per difendere la propria vita e può operare questa scelta – giustificata dalla società e dalla legge – perché il rapporto di forza tra due vite è tutto a vantaggio di quella più adulta. Così allo stupro, alla miseria e alla malattia si aggiunge l’omicidio legalizzato.

2. Ancora oggi le leggi di qualche parte del mondo stabiliscono la legittimità della schiavitù, in altre parti ancora esistono forme subdole e non codificate di oppressione dell’uomo sul proprio simile, dappertutto infine esiste la tendenza alla prevaricazione ed alla sopraffazione. Le donne subiscono l’aggressione degli stupratori, a volte penosamente giustificati da principi quali la “pulizia etnica”, altre volte per semplice brutalità maschile. Uomini e donne sono vittime di complicati rapporti di forza, bene o male assimilati dalle strutture sociali che permettono agli uni di impone la propria volontà agli altri, per ragioni di classe e di censo, di ideologia e di cultura: persino la democrazia si trasforma spesso in violenza delle maggioranze sulle minoranze. Come già Platone ebbe a dire, infatti, sia i pessimi, sia i migliori costituiscono sempre e soltanto minoranza chi garantirà allora i migliori dai pericoli della mediocrità della legislazione della maggioranza democratica? La violenza dei più forti si perpetra ogni giorno sui più deboli, a volte, anche nelle forme impercettibili della suggestione. Ci sono forme di suggestione ineliminabili che agiscono quotidianamente su individui e masse: il vivere sociale si esprime attraverso forme di reciproca suggestione che sono anche utili. La linea di demarcazione tra suggestione ed autonomia individuale è spesso impercettibile e quello che è importante per il singolo è non accettare mai passivamente che questa linea diventi un automatismo psichico. Bisogna sempre riflettere sul significato delle scelte che si operano e non limitarsi all’acquiescenza ad un pensiero dominante o al senso comune.

Quando si esprime esplicitamente, la suggestione può diventare gioco di prestigio o anche tecnica terapeutica. L’ipnosi ne è la forma più nota e lo stesso Freud provò ad usarla nella cura. Sotto ipnosi, ad esempio, l’individuo assimila alcuni ordini che gli vengono trasmessi e, in un secondo tempo, li esegue, senza rendersene conto, credendo invece di agire di propria iniziativa. In tal modo è possibile realizzare il cosiddetto “condizionamento post-ipnotico”, che permette di controllare il comportamento di una persona, senza apparentemente costringerla, dandole anzi l’illusione di trovare al suo interno le motivazioni del proprio agire: per esempio, chi avrà ricevuto l’ordine di bere, proverà, a giustificazione del suo gesto, una grande sensazione di sete, e così via. La psicoanalisi ha trovato, per designare questi meccanismi, il termine “razionalizzazione”, che non si applica soltanto nel caso dell’ipnosi, ma ogni qualvolta l’individuo fornisce, a posteriori, le giustificazioni di un comportamento o di scelte apparentemente in contrasto con la sua volontà consapevole o con i suoi interessi, o semplicemente di cui non conosce l’origine inconscia. Inoltre, l’ipnosi ha notevoli qualità analgesiche. E questo comunque è un caso in cui la suggestione viene applicata esplicitamente, senza inganno, e da cui ci si può difendere facilmente.

3. Da sempre chi ha la funzione di guaritore, sia il medico, lo stregone, il sacerdote o , in alcune culture, il re stesso, riveste anche il ruolo di mediatore tra l’uomo e la divinità e per questo ne incarna agli occhi del popolo alcune delle prerogative e da questo trae parte del suo potere. Colui che cura lo fa anche attraverso il carisma della sua figura: ancora oggi l’inconscio sociale riconosce ai medici un’autorità e certe capacità di indiscussa suggestione a cui è dovuta, almeno in parte, l’efficacia della cura, anche se questo aspetto è per lo più negato dalla moderna medicina. In realtà, il medico che rifiuta questo tipo di investimento da parte del paziente è meno libero di quanto si creda dal pregiudizio: infatti così facendo pretende di dare alla sua medicina un valore oggettivo assoluto. L’effetto “placebo” è un analogo fenomeno di suggestione applicato a quello che comunemente è ritenuto il campo dell’oggettività assoluta: la farmacologia. Molti farmaci agiscono esclusivamente perché il paziente è convinto che la sostanza che assume sia efficace contro il suo male. Insieme dunque, il medico e il farmaco applicano, almeno in parte, alla cura, la tecnica della suggestione che rende più efficace il loro intervento. Si tratta in questo caso però di una forma di suggestione che agisce sull’inconscio e non deve essere troppo esplicitata se si vuole che mantenga il suo potere.

Il comportamentismo degli anni passati di Watson e dei suoi allievi che prescinde dall’ipotesi dell’inconscio e pretende di agire direttamente sui meccanismi quotidiani, sta oggi tornando massicciamente nella pratica psicoterapeutica, forte dell’efficacia dimostrata nella eliminazione dei sintomi e nel condizionamento dei comportamenti, da cui riesce ad eliminare ciò che procura sofferenza o fastidio, disturbando la qualità della vita. I modi di intervento sono di due tipi: un primo tipo è di condizionamento meccanico esplicito, con stimolazioni dolorose di vario genere somministrate al paziente nel momento in cui indulge a comportamenti o a pensieri considerati “patologici”, con l’intento di inibirli, insieme con i sintomi. Il secondo tipo di intervento è – paradossalmente – basato proprio sull’inconscio che si vorrebbe operativamente negare: il terapeuta manda messaggi trasversali o addirittura di segno opposto all’obiettivo che propone al paziente, la cui elaborazione inconsapevole ottiene il risultato voluto. A parte i problemi etici, c’è da dire che un tale tipo di terapia incentrato sulla lotta al sintomo finisce in genere per avere come risultato lo “slittamento” dei sintomi stessi che si spostano e si trasformano più di quanto non scompaiano davvero. In questo caso, senza la forza dell’azione suggestiva inconsapevolmente assorbita dal paziente, non c’è comunque risultato terapeutico possibile.

4. Il consenso informato e documentato è uno dei principi ai quali, secondo la bioetica contemporanea, deve uniformarsi sempre l’intervento terapeutico. La suggestione, l’effetto placebo, il comportamentismo sarebbero vanificati dall’applicazione di questa regola. Quali sono i modi corretti di informare la persona sul tipo di intervento che si opera nei suoi confronti senza vanificare parte dell’efficacia del trattamento stesso di cui necessariamente anche la suggestione fa parte? Se sapere può sembrare preferibile, d’altra parte imporre sempre ad ogni costo la conoscenza può risultare dannoso per il paziente. Si corre così il rischio di trasformare un principio di coerenza in un fanatismo che si accanisce inutilmente sul soggetto che vuole salvaguardare. Un caso a parte è costituito dalle terapie su basi psicodinamiche e dalla psicoanalisi in particolare, che hanno come principio basilare proprio l’azione su meccanismi che non debbono e non possono essere rivelati al paziente; e come obiettivo finale la presa di coscienza, da parte del medesimo, del materiale rimosso e la sua partecipazione alla gestione della fase finale della cura. In questo caso bisogna aver chiaro che, anzitutto, per la psicoanalisi l’origine prima, la fonte del disturbo, è destinata a rimanere un mistero nascosto nella struttura della materia stessa; in secondo luogo, che l’etiologia e la patogenesi del disturbo e dei sintomi sono nella fase iniziale del trattamento ignoti allo stesso terapeuta che su di esse può solo fare ipotesi; in terzo luogo che le supposte “verità” che possono affiorare nel corso della cura non possono e non debbono essere rivelate comunque e sempre al paziente, pena l’inefficacia del lavoro terapeutico ed eventuali danni alla psiche che si cerca di liberare dalla sofferenza. Bisogna dire che la psicoanalisi è incompatibile con il principio del consenso informato sostenuto dalla bioetica e che quindi è una terapia immorale?
L’incontro tra le due discipline: la bioetica e la psicoanalisi impone una riflessione critica sul principio stesso di consenso informato e motivato, magari prospettando un eventuale “diritto di non sapere” del malato.