Psicoanalisi contro n. 9 – Nuova psicoanalisi nuova sessualità (II parte)

aprile , 1996

Oggi ci sono, in Europa, Sud-America, Stati Uniti e persino in India, scuole psicoanalitiche che si dichiarano freudiane, che però, indipendentemente dalla serietà delle persone che vi sono coinvolte, non fanno che ripetere i cascami più ovvii del pensiero freudiano, malgrado qualcuno riesca ogni tanto ad imporsi ai mass-media con la pretesa di qualche novità; magari chiamando la sua teoria Conversazionalismo o pretendendo una razionalizzazione assoluta del processo terapeutico come vorrebbe il Cognitivismo. Il mondo intero risulta da costoro imprigionato in quello che Freud teorizzò come il triangolo Edipico, applicato come un cliché, ma senza che dietro si intraveda neppure l’ombra di una metapsicologia applicata all’intervento sul mondo reale. La paura dell’inconscio ha portato la psicoanalisi a cercare di offrirsi come chiacchiera e mero strumento di distrazione invece che di cura.

Oggi la terapia della parola per eccellenza, che è la psicoanalisi, pretende di fondare la sua chiacchiera su di una forma di pensiero filosofico che ha trovato per sé la definizione di “pensiero debole” e che si vuole contrapporre ai grandi sistemi filosofici come quelli di Platone, Kant oppure Hegel (sostenitori della possibilità per l’uomo di ricercare il proprio fondamento nella verità) sostenendo che questa stessa verità non è una possibilità umana, e che la ricerca filosofica deve limitarsi all’interpretazione che non ha bisogno di fondamenti assoluti, o ermeneutica, termine preso dall’esegesi biblica e che ne indica i tentativi di interpretazione. Questi filosofi hanno il loro ispiratore in Martin Heidegger e il loro capo riconosciuto in Hans Georg Gadamer che ha teorizzato l’ermeneutica come fine a se stessa e indipendente da fondamenti assoluti. È vero che la psicoanalisi ha avuto bisogno di liberarsi dal dogmatismo freudiano, ma la rinuncia a trovare un fondamento ha finito con l’inibire quello che era ed è la sua stessa ragion d’essere: lo svelamento dell’inconscio, giungendo addirittura a negarlo. Questo tentativo di sfuggire all’inconscio, esaltando l’uomo ha sempre fantasticato intorno ai misteri che circondano la vita intrauterina, domandandosi che cosa realmente succeda a quell’essere che per nove mesi si muove in un ambiente sconosciuto e l’aspetto “debole” dell’ermeneutica ha creato confusione ed impotenza terapeutica: anche se è vero che, come diceva Eraclito, mai si arriverà a conoscere i confini dell’anima, e che la verità dell’inconscio è solo una fra tante, non si può tuttavia prescindere da essa nella cura.

La “nuova psicoanalisi” deve caratterizzarsi per alcuni requisiti essenziali:

1)    deve rivalutare assolutamente l’inconscio e lavorare su di esso, per capire l’uomo, la società e le loro patologie, anche con meno paura di quanto ne abbia manifestata S.Freud;

2)    deve accettare che la suggestione è parte integrante della terapia e che non è in contrasto con la ricerca della verità; anche attraverso di essa si può giungere alla presa di coscienza;

3)    di conseguenza lo psicoanalista deve accettare di esercitare nella terapia il proprio potere di condizionamento, che indirizza il paziente verso scelte che non sono oggettive, ma sono espressione della propria visione del mondo. Tale condizionamento deve contemplare l’azione dell’inconscio di entrambi gli attori della terapia e tenerne conto;

4)    deve abbandonare l’atteggiamento di rifiuto verso lo psicofarmaco, che proprio all’interno della prospettiva psicoanalitica, perde le valenze distruttive con cui è stato ed è prevalentemente usato in psichiatria, per trasformarsi in un alleato del terapeuta nel processo di avvicinamento all’inconscio. Anzi, capovolgendo i termini della questione quali sono stati finora posti, bisogna oggi dire che la somministrazione dello psicofarmaco, e forse di ogni farmaco, (sempre con dosaggi minimi rispetto a quelli oggi abituali) al di fuori di un’ipotesi di terapia psicoanalitica è un atto di irresponsabilità;

5) la nuova psicoanalisi deve spostare i confini dell’inizio della vita psichica conscia ed inconscia a tempi precedenti l’evento della nascita; riconoscendo che l’inconscio si forma nell’individuo fin dal momento effettivo dell’inizio della vita umana, cioè nel momento stesso del concepimento.

quali siano le sue sensazioni. Le diverse società hanno immaginato l’evoluzione dei rapporti tra il feto, la madre ed il mondo nel periodo della gestazione, formulando ipotesi di tutti i tipi. Negli ultimi anni poi le scoperte scientifiche e le nuove tecniche di indagine, come l’ecografia e simili hanno permesso di seguire più da vicino la vita della madre e del bambino nel tempo che va dal concepimento al parto.

Il mio interesse in questa sede è comunque rivolto più che agli aspetti strettamente fisiologici ai processi di formazione della vita psichica di questo essere umano che si prepara ad uscire nel mondo. Non ho detto nascere, perché per me la nascita coincide con il momento del concepimento ed il parto è solo un evento,tra i molti, importante beninteso, della vita umana.

Mi interessa capire cosa succede al bambino e alla madre ed anche come l’ambiente reagisce ad una gravidanza, nella realtà e nell’immaginario. Ormai gli studi sulla fisiologia della gestazione ci danno la certezza che il ventre materno in quei nove mesi non è più quella barriera protettiva contro l’esterno, quel mare calmo e felice in cui il bambino si trova in una condizione di isolamento sensoriale, che la tradizione, illudendosi, ha voluto a lungo che fosse. Concetti che noi stessi abbiamo introiettato.

La vita dell’essere umano, pre-embrione, embrione o feto, nel ventre della madre non è né più felice, né più infelice che in ogni altro momento successivo; anche qui egli conosce momenti diversi di gioia o dolore, benessere o malessere.

La psicoanalisi ha sempre attribuito molta importanza ai primi anni di vita nel processo di formazione della psiche e dell’inconscio; io vorrei dire esplicitamente che considero fondamentali proprio i mesi di vita intra-uterina, poiché in quel tempo ed in quella sede si verificano eventi fondamentali per la vita psichica di ogni essere umano. In questi nove mesi si forma la psiche e si costituisce l’inconscio.

La mia ipotesi, che mi pare confortata dalle ultime osservazioni scientifiche teoriche e sperimentali, è che il parto sia un evento — di rilievo soprattutto burocratico- che riguarda un essere umano che fin da quando è stato concepito ha avuto una vita autonoma, ricca di avvenimenti: traumi, gratificazioni, conflitti, desideri, fantasie e sofferenze. Per tutto il periodo trascorso nell’ utero materno questo individuo ha cercato di stabilire un rapporto con la madre e con il mondo, conoscendo successi ed insuccessi.

Io considero il pre-embrione l’embrione ed il feto, un essere umano con una vita organica e psichica completa, fatta quindi anche di coscienza ed inconscio.

È ugualmente difficile comprendere tanto i meccanismi della coscienza quanto quelli dell’inconscio, poiché il rapporto tra di essi è intricatissimo. Nell’inconscio esistono passioni e desideri rimossi; alcuni mai espressi, che sono soltanto “spinte”. I conflitti dell’inconscio sono quanto mai articolati e complessi; la tecnica psicoanalitica — come il buon senso comune — cerca spesso di far pervenire alla coscienza realtà, pensieri, fantasie e desideri nascosti. Allora questi desideri affiorano alla coscienza, ma camuffati e contorti. Sono stratificazioni di pensieri apparentemente assai lontane dalla realtà che sottintendono. La coscienza quindi è il luogo in cui si esprime e si manifesta, in un certo senso, la menzogna, per cui — paradossalmente — potremmo dire che il punto della massima consapevolezza coincide con il punto massimo dell’inconsapevolezza: si riconosce un contenuto di coscienza come vero, mentre in realtà non è che un inganno.

Potremmo dire che se nell’inconscio pur esistono turbolenze, ambiguità e contraddizioni, in qualche modo esse sono tuttavia concrete e reali, mentre quello che viene alla coscienza è soltanto un compromesso più o meno attendibile: sapere di sentire e di pensare non significa sentire e pensare il vero. Se nell’inconscio c’è l’inconsapevolezza, allora nella coscienza c’è la menzogna. La verità sta oltre. Questo oltre è raggiungibile? Per raggiungerlo bisognerebbe essere in grado di separare il grano dal loglio, la verità dalla menzogna. Se la coscienza è però dominata dall’inconscio bisogna accettare che ci troviamo davanti ad un circolo vizioso. La psicoanalisi attribuisce comunque un valore fondamentale all’inconscio per il suo potere di condizionamento sul comportamento umano che risulta evidente in ogni sfera, come ha ben intuito per primo S.Freud. Oggi uno scienziato che voglia essere considerato tale non può prescindere dall’ipotesi dell’inconscio; se lo facesse negherebbe la realtà di un elemento fondamentale della vita, come dimostrano nel quotidiano lapsus ed atti mancati. L’arte ha capito questa profonda verità prima ancora della scienza, valendosene in modo esemplare per spiegare i complicati meccanismi dell’animo umano, come avviene, ad esempio, in tutta la tragedia greca.

L’inconscio è un dato ineliminabile, chi sceglie di intervenire senza voler tenerne conto, sia nel campo della terapia psicologica, sia in qualunque genere di cura, lo fa a proprio rischio e pericolo e chi ne nega l’esistenza è un ciarlatano.

Certo è oggi il caso di rivedere anche il concetto di inconscio, che come è stato concepito da Freud e Jung risulta ormai inadeguato a spiegare tutta la complessa realtà delle vicende umane.

L’inconscio come io lo intendo risulta costituito di tre parti: una istintuale, la seconda individuale e la terza sociale.

L’inconscio istintuale è quel complesso di messaggi genetici che ci inducono a rispondere in un determinato modo agli stimoli ed a comportarci secondo criteri precisi in situazioni schematicamente prefissate, che però viene modificandosi col divenire storico.

Ogni rondine costruisce il proprio nido, diversamente da quello di ogni altra rondine, modificando in parte il proprio comportamento istintuale per adattarlo alla necessità ambientale in cui viene a trovarsi. Anche il meccanismo considerato più istintivo è tuttavia dotato di una forma di psichismo costituita di consapevolezza e di inconscio. Tracce della cosiddetta psiche si possono trovare in tutta la realtà vivente, vegetale ed animale. Se la nostra stessa consapevolezza è così intrisa di inconscio, tanto che sappiamo e non sappiamo le motivazioni dei nostri comportamenti, così che non è più possibile distinguere nettamente tra coscienza, autocoscienza ed inconscio, come possiamo affermare che il movimento istintuale di un roditore, di un uccello o di un rettile, modificatosi nel tempo, adattato ai nuovi bisogni, sia totalmente inconsapevole? I movimenti di adattamento, osservati diacronicamente e sincronicamente presentano una struttura teleologica, che sarebbe rozzo ed ingenuo ridurre a puri meccanismi: è preferibile credere che anche gli esseri viventi cosiddetti inferiori siano guidati da un barlume di coscienza, se pure difficilmente definibile. Lo psichismo è prerogativa intrinseca di ogni istintualità, non soltanto a livello di puro e semplice riflesso, meccanicamente trasmesso ed appreso, ma piuttosto come espressione di una unione di elementi consci ed inconsci che è attribuibile ad ogni essere vivente ed a maggior ragione all’essere umano.

La seconda parte è l’inconscio individuale, composto da tutte le esperienze personali ed i ricordi di ciascuno.

Non è il caso di profondersi in troppe precisazioni, basterà dire che è il luogo, del resto non ben determinato, in cui si colloca tutto il materiale rimosso da cui sorgono le pulsioni dell’individuo, che io preferisco chiamare desideri, come mi riservo di precisare meglio tra poco. La storia di ogni persona è unica ed irripetibile, perciò ogni uomo è diverso da tutti gli altri. Nell’indagare sui contenuti dell’inconscio individuale, lo psicoanalista deve sempre tenere conto che ha di fronte una realtà unica che nel suo specifico non si è mai presentata e non potrà mai più ripresentarsi identica. Questa certezza ha un significato scientifico, filosofico e morale. L’inconscio sociale veicola i messaggi, contenuti e valori che sovrastano la realtà individuale, ma che nello stesso tempo la formano, in un continuo scambio tra l’Io e gli Altri.

L’inconscio sociale non è dato una volta per tutte: i suoi contenuti divengono con la storia e nello stesso tempo la costruiscono. Ogni epoca ha i suoi concetti di bello e di brutto, di maschio e di femmina, di giusto e d’ingiusto. Questi sono valori che mutano continuamente, talvolta fino a capovolgersi. Ci potremmo allora domandare se il genere umano vaghi in un divenire senza fondamento. Io rispondo che, se per un verso questo è vero, per l’altro, un fondamento deve essere sempre ricercato e costruito. Soltanto pochi però si adoprano perché ciò avvenga: per lo più le società si abbandonano acriticamente al flusso dei significati e dei valori.

L’inconscio sociale li costruisce, però a sua volta ne è condizionato. Quando politici, filosofi, mass-media e gente comune pretendono di essere consapevoli di questi contenuti sono spesso in cattiva coscienza. Allo psicoanalista tocca il compito di smascherare tali inganni, affrontando il rischio di essere a sua volta in mala fede.

L’inconscio sociale non è universale, si struttura in modo diverso secondo le realtà che lo esprimono, cioè gruppi etnici, culturali, religiosi, economici o politici. La sua stabilità è direttamente in rapporto con la capacità di coesione di questi stessi gruppi e sottogruppi. In ogni caso, le diverse forme dell’inconscio sociale sono in reciproco rapporto, sfumano le une nelle altre, si stratificano, si disgregano e si rinnovano; ma un’analisi comparativa sufficientemente approfondita permette, quasi sempre, di orientarsi e distinguerle.

Nell’uomo, il corpo e la psiche, il conscio e l’inconscio, nelle sue componenti istintuale, individuale e sociale, compongono comunque un tutto unico, che io ho, forse proditoriamente smembrato in modo eccessivo.*

Nel momento stesso del concepimento si attiva una j vita psichica già completa. Abbiamo visto come sia un’astrazione distinguere tra vita cosciente, autocosciente ed inconscia: la psiche e l’organismo sono un tutto, che non si può far iniziare arbitrariamente ad un determinato punto o momento del divenire della persona. L’individuo nasce quando i due gameti si uniscono e da quel momento egli è un essere umano in atto e non più soltanto in potenza; questa è una scelta filosofica e morale che io ritengo necessaria, anche perché convalidata dalle acquisizioni della scienza che studia la vita prenatale. Se pur sono consapevole che una teorizzazione psicologica in proposito non possa al momento trovare riscontri diretti, al di fuori di quelli reperiti dallo studio della psiche nelle età successive, tuttavia — procedendo con lo stesso metodo che all’inizio fu alla base di una teoria poi risultata per la fisica moderna quanto mai utile e funzionale nei suoi sviluppi come quella atomica, che partendo dagli effetti sperimentali seppe risalire alle cause — mi sento in grado di affermare qui che, fin dal concepimento nella psiche è presente la bipolarità: logica e buon senso ci dicono che già in questo momento si registra una sia pur lieve differenziazione tra vita conscia ed inconscia, pur nell’unità psichica e fisica.

Piaget distingue tra una fase in cui il bambino sarebbe capace soltanto di riflessi ed altre successive che nell’incontro con il mondo lo metterebbero in grado di coordinarli attraverso un apprendimento progressivo sempre più sofisticato e consapevole. Mi pare al confronto più adeguato il discorso freudiano che parla subito di pulsione, desiderio e sessualità. Persino l’ipotesi freudiana della chiusura autoerotica iniziale del bambino è un’ammissione di una percezione di se stessi squisitamente psichica.

La vita psichica, conscia ed inconscia, allora in che cosa consiste? La prima risposta potrebbe essere che in origine essa sia soprattutto memoria. La psiche però non trattiene tutti i ricordi allo stesso modo: alcuni sono presenti alla coscienza, mentre altri rimangono chiusi nell’inconscio, che sarebbe quindi anch’esso essenzialmente memoria. La memoria dell’inconscio non è però un elemento psichico inerte. I traumi, pensieri, desideri e fantasie del passato si trasformano in ricordi in movimento, che vanno verso una direzione, e posseggono un’intenzionalità. È impossibile vivere senza il ricordo, d’altra parte è impossibile avere in atto presenti tutti gli elementi che costituiscono il nostro passato e il contenuto della nostra psiche. La coscienza ha quindi una funzione selettiva di ricordi in qualche modo utili nel presente di una situazione determinata, ma quelli che restano, come materiale rimosso, nell’inconscio, svolgono ugualmente una loro funzione nel determinare le scelte ed il comportamento. Per questo possiamo dire che l’inconscio non è solo memoria, ma anche desiderio. Senza la spinta del desiderio i ricordi rimarrebbero inerti ed un tale ricordo non sarebbe nemmeno un ricordo, poiché non potrebbe diventare attuale. I ricordi si collegano e persino si oppongono tra di loro, originando una vera e propria forma di energia psichica. Ecco perché il vecchio concetto freudiano di pulsione è da considerare come la somma di due elementi, cioè memoria e desiderio.

Certo, so che esistono anche meccanismi fisiologici della memoria, come il circuito di Papez; ho presenti gli studi di Eccles e so che cosa significano espressioni come “memoria evocativa” o “memoria ritentiva” Quello che però voglio mettere qui in evidenza è che vivere significa ricordare: qualunque gesto noi compiamo lo facciamo perché sfruttiamo un ricordo, magari istintuale.

Se quello che fin qui ho detto ha un fondamento, come si spiega allora il fatto che l’uomo non conserva alcuna memoria, consapevole almeno, della vita intrauterina e dei primissimi mesi dopo il parto? Perché solo da un certo periodo in poi siamo in grado di avere ricordi? Non è solo una questione di aver dimenticato nell’età adulta per la distanza di tempo con il passato remoto: anche i bambini appena grandicelli non ricordano quasi nulla dei loro primi giorni, mesi e persino anni di vita.

La risposta che mi sono dato è che il meccanismo temporale. strutturato in passato, presente e futuro è molto poco elastico nella vita pre-natale e nei primi anni di vita. Il tempo struttura ogni gesto, ogni pulsione e ogni movimento, e l’essere umano è sempre in movimento. Un’osservazione attenta dell’embrione, del feto e del neonato riesce a evidenziare fin da molto presto la presenza di memoria, sia ritentiva, sia evocativa.

Piccoli accorgimenti sperimentali possono dare le prove di ciò; il che significa che l’essere umano nasce già strutturato in funzione di una dimensione temporale, costituita di presente, passato e futuro. Lentamente il tempo, che all’inizio sembra essere contratto, si distende nella sua dimensione, acquisendo anche lo spazio.

Il concetto di spazio è fondamentale per il ricordo, poiché collocare nello spazio significa ricordare nel tempo il qui di prima e quello di dopo. Il feto e forse addirittura l’embrione sono capaci di andare con il ricordo da un prima ad un dopo, percorrendo anche uno spazio che va da un punto all’altro. Qualcuno potrebbe obiettare che si potrebbe partire dallo spazio e non dal tempo; ma ciò significherebbe pensare come se lo spazio non fosse una funzione del tempo e viceversa. La questione del punto di partenza, spaziale o temporale, non mi pare rilevante: ho scelto il tempo, ma avrei potuto fare lo stesso partendo dal concetto di spazio.

Le indagini più accorte, sui bambini, ma anche sugli adulti, paiono confermare che esiste anche un ricordo della vita intra-uterina, a dispetto di ciò che ho appena detto, sul fatto che ad impedirlo sarebbero in parte le oscillazioni minime di spazio e di tempo dell’età precoce. La psichiatria fetale ha già trovato l’espressione “apprendimento intrauterino” per definire l’attività psichica e conseguentemente anche mnestica del feto; che risulta capace di ricordare melodie, suoni, voci, odori, sapori. Se così è, perché escludere che ricordi anche altro? Soprattutto attraverso i sogni bambini ed adulti paiono ricordare situazioni della vita prenatale. Certo resta il dubbio se il parto, per esempio, possa essere ricordato davvero o se il ricordo piuttosto non sia per così dire “ricostruito” sulla scorta dei racconti che intorno ad esso sono stati uditi poi; ma noi sappiamo bene che nell’inconscio degli adulti si trovano tracce abbastanza evidenti di tali avvenimenti precedenti o contemporanei al tempo del parto, che è possibile far riaffiorare.

È questo un campo di indagine ancora estremamente pieno di incertezze ed ambiguità, ed anche per questo affascinante.

Vorrei, a questo punto, riaffermare la mia convinzione, che ritengo sufficientemente motivata, che la vita psichica — conscia ed inconscia — inizia con il concepimento.