8 – Marzo ‘96

marzo , 1996

Roma è una città che accoglie con poco entusiasmo i tentativi di proporre all’interno del suo territorio la cucina di altri Paesi, se si fa eccezione per quella cinese, il cui insediamento è però un fatto universale dovuto alla tenacia, non sempre limpida, di chi opera in quel settore. A Roma noi abbiamo ormai chiuso con la cucina del celeste impero: in tutti i ristoranti da noi frequentati, e sono molti, ormai troviamo soltanto cibi precotti e surgelati più o meno mal fritti; ciò che non cambia e rimane tale e quale è l’insistenza della proposta ovunque di disgustosi vini bianchi.
La cucina indiana ha conosciuto in città momenti di varia popolarità col fiorire e sfiorire di molti locali piccoli e grandi. Anche in questa materia, come spesso avviene per le cucine “esotiche” le conoscenze sono approssimative, si dà infatti per unitaria sotto il nome di “indiana” una vasta gamma di cucine regionali. Non ci siamo addentrati più di tanta sull’argomento neppure noi quando siamo stati ospiti del ristorante Il Guru, di via Cimarra 6, nell’antica Suburra, quasi all’angolo con via dei Serpenti. Aperto fino a tardi la sera, il locale ha un’aria accogliente e pulita, coi locali ampi e i tavoli sufficientemente distanziati fra loro, un servizio se non impeccabile certo molto gentile, svolto da due sorridenti signore in sari e un titolare cortese e paziente, generoso di consigli e disposto alla conversazione senza cadere nell’invadenza. Ci ha spiegato che il suo obiettivo è di rispettare la tradizione autentica dei piatti indiani che propone, anche se è disposto a conciliare talvolta questa esigenza con quella dei clienti indigeni che mal sopportano pietanze e salse eccessivamente piccanti per il loro palato. Noi abbiamo optato per la cucina autentica, senza mediazioni e ne siamo rimasti più che soddisfatti. La cucina è strutturata in modo da rispondere più che alla scelta di piatti à la carte, a quella di prestabiliti menu: di carne, di pesce, vegetariano etc: cosicché si abbreviano le attese ed i piatti possono essere molti per ogni portata. Del nostro menu di carne ricordiamo il fagottino di verdure profumato samosa, il croccante foglio di farina di riso e ceci pappadam, la coscia di pollo tandoori gradevolmente marinata nelle spezie e fatta al carbone, il curioso maialino tikka ugualmente speziato, le verdure assortite come i ceci in salsa masala e le lenticchie indiane dhal e il cavolfiore al curry gobi, accompagnate da un fragrante riso pilaf kashmiri.
Graditissimo dopo tanto ardore il gelato al pistacchio artigianalissimo e singolare. Il locale ha anche una piccola cantina di vini italiani, il cui abbinamento con gli speziatissimi piatti è però quasi impossibile. Il conto è molto contenuto e vale senz’altro la gradevole esperienza.