Subito dopo il concepimento, l’embrione è già un individuo capace di percepire, attraverso i propri organi recettori, le qualità della vita e dell’ambiente di cui ha esperienza e di operare le scelte che ritiene più adeguate a garantirgli la sopravvivenza. Al secondo mese di gravidanza è già possibile vedere abbozzati gli organi principali, al terzo mese gli organi di senso entrano in funzione: prima l’odorato, il gusto e poi il tatto, l’udito ed infine, poco dopo, la vista. Usando questi sensi il bambino mette in funzione anche le sue capacità di apprendimento, ben prima di quanto vorrebbe la teoria di Piaget. I cosiddetti movimenti automatici od istintivi sono in verità veri e propri processi di apprendimento che sono programmati al raggiungimento di un fine attraverso modalità ben precise.
Fu proprio un nipote di Sigmund Freud, di nome William che a Toronto portò gli esiti di una approfondita ricerca fatta da lui e dalla sua équipe su un campione di diecimila gravidanze per cui era possibile dimostrare come fosse spiccata l’intenzionalità dei movimenti del feto e quanto fosse ricca la sua vita intrauterina: non solo infatti si era potuto accertare che sogna, grazie alla rilevazione dei due tipi di sonno REM e non REM, ma anche si erano visti due gemelli interagire con una specie di gioco-lotta, feti farsi schermo contro luci violente e reagire a rumori, tutti gesti che provano l’alto grado di evoluzione dello psichismo fetale e se ne può dedurre quindi, malgrado il parere contrario di Freud, anche della formazione pre-natale di uno psichismo inconscio.
Per questo, la gestante è responsabile nei confronti del figlio della qualità della vita che sceglie per sé: non solo fumare e bere e non seguire ordinate regole alimentari nuoce al bambino, ma anche fargli sentire musica violenta (le gestanti che ascoltano troppa musica rock danno alla luce bambini ansiosi, mentre pare che la musica classica e di Mozart in specie giovino alla tranquillità psichica del feto e del bambino). Certo, ipotizzare sulle origine della vita psichica è difficile come lo fu fare ipotesi sulle origini del Nilo nel secolo scorso; ma ciò non toglie che quelle sorgenti ci fossero; proprio come è indubbio che lo psichismo del bambino inizi col concepimento.
“Tu partorirai nel dolore!” Suona la condanna della donna nell’Antico Testamento e l’eco ancora perdura nell’inconscio sociale di uomini e donne, influenzando anche il modo in cui la donna si prepara al travaglio e al parto. Su ogni donna pesa poi in particolare il ricordo del modo in cui è stata a sua volta partorita.
In genere, il travaglio inizia quando la donna è ancora nella propria casa, in condizioni di relativa normalità; dopo le prime contrazioni viene in genere trasferita in ospedale, dove sarà portata nella sala parto pochi minuti o poche ore prima di sgravare. È questo tempo un continuum fatto di attacchi di contrazioni e sospensioni, ripresa e nuova scomparsa, in un ritmo che diventa sempre più intenso fino all’acme finale in cui il corpo della donna subisce sommovimenti che la sconvolgono finendo con l’avere pure grosse valenze psichiche oltre che fisiologiche, e questo avviene anche quando il travaglio ha un andamento considerato “normale”.
È importante che coloro i quali partecipano al parto abbiano considerazione anche di quello che emotivamente esso significa per la partoriente.
Anzitutto quella del parto è un’esperienza di separazione: la donna avverte questa realtà come traumatica, perché la cultura e il senso comune hanno da sempre enfatizzato questo aspetto che ora si verifica e la riempie di ansia. Legata al senso di separazione c’è poi la fantasia di castrazione: avverte fin dalle prime contrazioni dolorose che le verrà strappato quel bambino-pene che ha tra le gambe.
Quando quest’ansia prevale, la partoriente può reagire in due modi: 1) bloccando le contrazioni, almeno quel tanto che le permette di elaborare l’ansia e di affrontare con più consapevolezza il parto; se questo recupero non avviene però il rischio è grave per la madre che potrebbe negare il parto anche quando questo sarà avvenuto; 2) oppure negando coscientemente le contrazioni, ma non riuscendo ad impedirle, col risultato di rischiare una sindrome schizogena che può avere conseguenze serie sulla creatura partorita oltre che sulla dinamica del parto che in genere si svolge con una grande drammaticità che coinvolge i famigliari e l’équipe di ostetricia. Non sono pochi gli schizofrenici che nel delirio ripetono alla madre: “Tu non sei mia madre, lei è morta durante il parto, tu chi sei?”
Sempre è grande, durante i momenti di maggior eccitazione del parto, la confusione della donna tra se stessa, il figlio, la propria madre, il pene e le feci.
La ricorrente fantasia del parto anale che si riscontra sia nei maschi sia nelle femmine, soprattutto nell’infanzia, torna qui con grande vividezza influenzando la percezione che la partoriente ha del parto, al quale tra l’altro, si accompgnano in genere fenomeni di evacuazione delle feci.
La scissione, la separazione, la castrazione, il parto anale, la paura della morte sono contenuti psichici sconvolgenti concentrati in uno stesso spazio temporale ed emotivo ed inducono un altro terribile sentimento: l’odio per il figlio che si sta portando alla luce. La partoriente dice: basta! a questo figlio assassino che pare volerla punire anche per aver provato il piacere sessuale. È vero che sempre nel parto si raggiunge un punto di odio e di aggressività tale che si desidera far morire colui che sta nascendo. Questi sono però i corollari inevitabili di una situazione storico- culturale che è stata condizionata in modo negativo dall’opinione che l’inconscio sociale ha sviluppato del ruolo del maschio della femmina e della loro sessualità.
Non si può neanche però tacere che nel parto stesso molti hanno fantasticato di ritrovare le tracce di un intenso piacere sessuale; questo pur senza voler fare proprie le teorie un po’ deliranti di Groddeck (1961) che addirittura pretenderebbe che per la donna quello del parto sia il momento dell’esperienza del massimo piacere sessuale.
La psicoanalisi purtroppo non ha fatto finora quanto potrebbe fare, non solo per il puritanesimo e il fallo-centrismo di Freud, ma anche perché ha avuto paura di andare a cercare le vere origini di quei movimenti psicodinamici che spingono l’individuo e le società ad operare le loro scelte.
È importante con una vera. e propria rivoluzione copernicana capovolgere alcuni concetti finora considerati fondamentali. Per prima cosa bisogna considerare il parto solo come l’atto finale della gestazione e non il momento della nascita dell’individuo. L’uomo nasce nell’istante del concepimento, quando cioè lo spermatozoo penetra nell’ovulo e lo feconda. Tutto comincia di qui e persino gli astrologi che vogliono predire il destino umano dovrebbero consultare la posizione degli astri al concepimento e non al momento della nascita anagrafica. Poi bisogna che la donna accetti che il frutto del concepimento che ospita nell’utero sia un essere autonomo con la pienezza dei diritti individuali, che in quanto madre ha il dovere di assicurare ad ogni costo, persino accettando di perdere il diritto di proprietà sull’utero stesso. ” Il corpo è mio e lo gestisco io” vale solo in assenza di gravidanza, quando invece il diritto alla vita del feto deve prevalere su ogni altra considerazione. Per banalizzare il concetto si potrebbe dire che vale per la gestante quello che vale per un padrone di casa che l’abbia ceduta in affitto: non ne perde la proprietà, ma il diritto alla vita, all’indipendenza ed autonomia dell’inquilino gli impedisce di disporne finché vige il rapporto di locazione. Lo stupro è la più sciagurata delle circostanze in cui un figlio può essere concepito, ma se la madre ha il diritto di non amarlo e non accudirlo dopo la nascita, la società ha il dovere di assisterla perché porti a termine il più felicemente possibile la gravidanza, proteggendolo anche dall’odio ed assicurandogli le condizioni migliori di vita, con o senza la madre naturale, dopo il parto. “Tu partorirai nel dolore” resta vero perché la vita è anche dolore, ma l’accettazione della vita nella pienezza dei suoi diritti fin dal concepimento è il solo modo di alleviare questo dolore, accompagnando un essere umano fino alla soglia di luce oltre la quale avrà prima o poi la possibilità di percorrere da solo il resto del suo cammino. È importante che il bambino non sia lasciato solo e la prima che ha il dovere di assistenza e compagnia è la madre, poi toccherà alla società assumersi le inevitabili responsabilità: finora purtroppo non l’ha fatto, nemmeno dopo le conquiste della psicoanalisi, che ha fatto l’errore di ignorare che il concepimento di un nuovo essere umano è, prima di tutto, un atto sacro.