Psicoanalisi contro n. 7 – Il tabù del sangue

novembre , 1995

Protagonista della gestazione, insieme con l’embrione, è la donna in grado di procreare. C’è un momento culminante che, nell’inconscio sociale ed individuale, rende la fanciulla investita a pieno diritto del ruolo di donna: la comparsa del menarca, ovvero delle prime mestruazioni Intorno a questo momento la cultura e la società hanno costruito fantasie ed aspettative di diverso genere.

Il menarca è un fenomeno alla cui base stanno ragioni fisiologiche che presto però si sono caricate di significati psichici, culturali, sociali e storici che hanno assunto modalità diverse secondo le epoche e le differenti parti del globo. Il modo in cui il gruppo sociale valuta le mestruazioni condiziona significativamente il modo in cui la donna stessa le percepisce.

La letteratura antropologica ritiene che nel mondo ci siano in linea di massima tre diversi tipi di atteggiamento nei riguardi delle mestruazioni:

I)                   di indifferenza per cui non rivestono significato particolare;

II)                 di rispetto sacrale, come segno esplicito dell’ acquisizione di un potere in parte misterioso;

III)               di orrore per un avvenimento segnato in modo così clamoroso dal sangue.

È probabile che l’indifferenza non sia davvero un atteggiamento degli uomini di fronte ad un fenomeno che ha acquisito nell’inconscio e nella cultura universali un valore simbolico così accentuato: il sangue è simbolicamente significativo, sempre e per tutti. Le mestruazioni per il loro rapporto col sangue, un sangue che non coagula, sono presenti nell’immaginario collettivo, per lo più con connotazioni negative.

La sociologia e l’antropologia hanno studiato il problema da diversi punti di vista e con ricerche “sul campo”; ma ancor prima se ne erano occupati gli antichi naturalisti.

Plinio, nella sua Naturalis Historia, dice che ai suoi tempi era diffusa la convinzione che le donne durante il periodo mestruale non dovessero toccare le anfore ripiene di vino, le piante dell’orto, gli alberi da frutto e le sementi perché le une si trasformavano in aceto, e le altre si inaridivano; in quei giorni le donne erano tenute lontane dalle bestie domestiche pregne, perché non si corresse il rischio di farle abortire; era loro proibito guardarsi negli specchi che sarebbero diventati opachi; persino i rasoi si diceva che si smussassero se toccati dalla mano di una donna in quelle particolari condizioni.

Queste convinzioni o superstizioni che dir si voglia sono tuttora presenti nelle più diverse aree geografiche: in molte popolazioni australi il tabù della donna con le mestruazioni giunge a proibirle di giacere sulle stesse coperte usate dai maschi. In molte zone dell’Africa si proibisce alle donne durante il periodo mestruale di camminare sui sentieri percorsi dai maschi, di toccare le lance e gli altri strumenti di caccia; è loro proibito persino di toccare il latte, perché si caglierebbe. I piatti e le posate di cui si è servita una donna mestruata debbono essere distrutti. In alcune popolazioni indios dell’America del sud e presso alcune tribù indiane dell’America del Nord le bambine alla prima mestruazione debbono vivere in isolamento e girare a volto coperto; in alcuni casi non possono esse stesse toccare il cibo, per cui vengono nutrite da altre persone per mezzo di bastoncini.

Per restare in Europa, in Germania, per esempio, la credenza popolare vuole che se una donna mestruata tocca una pinta di birra questa vada a male. Nella Francia del sud si crede che se una donna durante il ciclo mestruale tocca le carni della macellazione queste imputridiscano. In Italia si crede che la donna durante le mestruazioni abbia il potere di far seccare le piante che tocca, di far impazzire la maionese, di far inacidire la marmellata e via dicendo. Sono credenze che rimangono fissate nell’inconscio sociale anche di coloro che le hanno razionalmente superate ed hanno radici comuni con la persistente fede nella magia che caratterizza ancora l’epoca contemporanea; tuttora il sangue mestruale entra nella composizione di molti filtri e pozioni “magiche”. L’orrore per le mestruazioni nasce forse dal fatto che sono il segnale che la donna per quel periodo non diventerà di certo madre; ma allo stesso tempo ne rendono evidente la potenziale capacità di esserlo. Il menarca è anche considerato come rito di passaggio (termine introdotto da Van Gennep): si tratterebbe infatti per la ragazza del punto di passaggio alla nuova condizione di donna, caratterizzata dalla fecondità. Di fatto la società registra nella vita individuale e di gruppo molti momenti di “passaggio”: dall’infanzia alla pubertà, da questa alla matu­rità ed infine alla vecchiaia e alla morte, ma anche il matrimonio, il servizio militare, i cicli scolastici, la laurea e il primo impiego sono tutti considerati come momenti di passaggio da una condizione ad un’altra. Il menarca ha acquistato però un valore particolare, proprio per le sue implicazioni con la possibilità di procreare e quin­di col potere che la donna acquista, di vita e di morte, su di un altro essere.

Le donne reagiscono a questo miscuglio di disprezzo e di timore con atteggiamenti psichici e fisici particolari, che sono in parte indotti e in parte invece dovuti alle modificazioni endocrine ed ai sommovimenti ormonali. Nel periodo mestruale e premestruale si registrano stati di esasperazione della situazione caratteriale: avarizia o prodigalità si accentuano, così l’aggressività o l’euforia. Particolarmente rischiose sono le situazioni depressive che si aggravano e portano spesso a fantasie di morte o a veri e propri tentativi di suicidio. Si presentano facilmente crisi patofobiche in concomitanza con sensazioni dolorose accentuate al collo, alla testa, alla schiena, al ventre. Pare strano che si abbassi così tanto il senso critico, che molte donne non si accorgano, per esempio, che il timore del cancro o dell’infarto si ripresenta loro in maniera così massiccia ogni ventotto giorni, ma è inutile farglielo presente. Questo avviene anche nelle donne più controllate e psi­chicamente solide, pertanto non è infondato pensare che ci siano cause che stanno in messaggi collegati al valore che le mestruazioni hanno al livello inconscio.

Una ragazza anoressica venne al mio studio accompagnata dai genitori spaventati da quel rifiuto del cibo così radicale e violento, che l’aveva ridotta quasi in fin di vita. Nel mettere a fuoco il caso che, come spesso avviene, aveva registrato tra l’altro l’arresto delle mestruazioni, fu possibile individuare una nevrosi ossessiva che si rivelò ben più pericolosa ed ostinata della stessa anoressia, che, come sintomo, fu relativamente facile far rientrare; ricomparvero le mestruazioni, ma il caso restava grave, nonostante la paziente e i familiari considerassero questi fatti un successo terapeutico, sufficiente ad interrompere l’analisi. Venni in seguito a sapere che la ragazza non riuscì mai più a liberarsi da una serie di rituali ossessivi che proprio nel periodo premestruale si ripresentavano con la stessa violenza che nel periodo acuto della malattia. Non fu possibile approfondire la ricerca, ma sono convinto che molto interessante sarebbe stato riuscire a scoprire l’origine di quei messaggi che all’approssimarsi del periodo mestruale paralizzavano a tal punto la vita di quella giovane donna. La paura delle mestruazioni, colorita di un sentimento di orrore, è una caratteristica maschile molto generalizzata: non solo infatti molti uomini evitano l’accoppiamento con la propria donna in quei giorni, ma cercano di evitarne la compagnia e non tollerano che se ne parli.

La psicoanalisi ha collegato l’avversione per il ciclo mestruale con il complesso di castrazione. La donna trova nella presenza del sangue la conferma dell’avvenuta evirazione ed il maschio davanti ad esso riattualizza il timore di essere a sua volta castrato. La donna sente rancore e vergogna per la mutilazione subita, l’uomo ne ha paura. Nell’inconscio femminile prevalgono allora rabbia, desiderio di rivalsa e bisogno di vendetta, soprattutto verso i genitori; in quello maschile predominano il ribrezzo e la paura verso la donna, che a volte mascherano l’invidia per l’utero e la vagina.

La donna compensa la svalutazione di cui si sente fatta oggetto per la castrazione subita, con il sentimento di onnipotenza per il potere procreativo acquisito: “Io non posseggo il fallo, ma posso avere in me un bambino.” Non è solo un meccanico volere un figlio per compensare il pene perduto, ma è anche il desiderio di recuperare un potere che si teme scomparso: quello delle antiche Dee Madri che credevano di avere da sole la capacità di generare la vita, senza il contributo del maschio.

Le donne tradiscono spesso la scelta inconscia che fa loro percepire il figlio come sostituto del pene, o come strumento di potere, ma nessuna si libera mai completamente dalle fantasie sulla castrazione.