Psicoanalisi contro n. 7 – Il rifiuto

novembre , 1995

È  analisi dei sogni della donna durante il periodo della gestazione permette, insieme ad altri accorgimenti e ricerche, di rilevare come avvenga in lei una sor­ta di regressione a stadi molto remoti, e come si riattualizzino conflitti e fantasie nei ri­guardi della propria madre, come dice anche la psicoanalisi classica. Io direi che il cam­mino a ritroso va oltre la stessa vita indivi­duale per riportare la donna alle origini di quelle tracce che nell’inconscio sociale han­no lasciato le antiche Dee-Madri con le qua­li la donna si identifica e sulle quali proietta paure e desideri.

Il mito di queste antiche dee, madri e aman­ti, risale alle culture mesopotamiche succes­sivamente trasmigrate nell’area del Mediter­raneo. Secondo gli antropologi e gli archeo­logi erano venerate dapprima come dee tel­luriche ( della terra) e poi anche celesti. Ave­vano una connotazione paurosa ed i loro nomi sono Istar oppure Manna, successiva­mente identificate con Afrodite, dispensatri­ci dell’amore, della vita ed anche della mor­te: loro vittime o amanti erano altri dei od eroi come Gilgamesh, o Adone. Dee che uc­cidevano i loro compagni dopo averne godu­to ed essere state da loro fecondate. La loro tenebrosità ha fatto sì che ve­nisse diffuso il culto di una Dea nera di cui si trovano le tracce dal medio oriente, fino al Palatino, in Roma, dove in un tempio a lei dedicato i sacerdoti si eviravano nel corso di speciali riti iniziatici. La stessa religione cristiana pare averne raccolto l’ere­dità, trasformandole nelle Madonne nere ve­nerate in santuari di tutto il mondo: in Italia ad Oropa e a Loreto, in Polonia a Tche­stokowa, in Spagna a Montserrat, in Messico a Guadalupe ed in moltissime regioni della Francia, dove i simulacri sono per lo più ri­masti gli stessi dell’antichità pagana. Queste dee e Madonne testimoniano quanto sia for­te nell’inconscio sociale l’immagine della creatura femminile capace di dare la vita, il piacere e la morte. Le donne la recano in sé anche quando sono incinte e questo stimola fantasie di onnipotenza e di distruzione che agiscono, consapevolmente ed ancor più in­consapevolmente, sul loro rapporto col bam­bino durante la gestazione. Rapporto che de­terminerà in parte la qualità della vita di en­trambi anche dopo il parto.

Dopo circa tre mesi e mezzo di vita gestazionale la vita del feto si manifesta in modo evidente soprattutto attraverso una modalità che le gestanti interpretano come uno scalciare: ” Il bambino scalcia!” È l’espressione più diffusa per segnalare che si percepiscono i movimenti del feto all’interno dell’utero. È interessante domandarsi perché le madri percepiscano questa motilità come un gesto aggressivo: di qual­cuno che tira calci contro le pareti del ventre. Il calcio nella concezione più comune è con­siderato un gesto di aggressione e non può non avere alcun significato che la madre per­cepisca il figlio come un aggressore.

Una mia paziente era reduce da un interven­to di inseminazione artificiale in Svizzera, dove come generalmente avviene si mantie­ne la più totale segretezza sull’identità del donatore. L’esito era stato positivo e lei si era sentita felicemente incinta finché non aveva percepito appunto i primi “calci”. Quell’ag­gressione inaspettata l’aveva fatta andare fuori di senno: elaborando una diceria popo­lare per cui i donatori svizzeri sono scelti tra i soldati in età di leva, aveva incominciato ad avere incubi che la scuotevano ogni notte dei quali era protagonista un giovane soldato biondo, che lei chiamava “lo svizzero” che l’ aggrediva e la dilaniava. Poco per volta aveva persino dimenticato l’esperienza dell’inseminazione e semplicemente sentiva dentro di sé uno “svizzero” che la minaccia­va. Nonostante gli aspetti così clamorosi il caso mi permise una prognosi abbastanza fa­vorevole e lavorando insieme riuscimmo a far rientrare quel delirio addirittura prima del tempo del parto, che avvenne felicemente. Un’altra donna in cura da me aveva scelto de­liberatamente, per ragioni ideologiche, di ignorare quale sarebbe stato il padre del pro­prio figlio e per questo aveva avuto un’in­tensissima attività sessuale con rapporti com­pleti in uno stesso breve arco di tempo, con partner estranei al suo ambiente abituale. An­che in quel caso però l’inizio della percezio­ne dei “calci ” del bambino scatenò un deli­rio persecutorio da parte di un non meglio identificato “straniero”.

Un’altra mia paziente che era a conoscenza delle mie teorie contrarie alla pratica delle punizioni corporali dei figli, che considero solo come sadico gesto di vendetta su indivi­dui fisicamente più deboli, mi confessò con grande sforzo che lei rispondeva ai “calci” del bambino colpendo il proprio ventre con pugni, per punirlo. Fortunatamente in quel caso riuscimmo insieme a trovare una chiave ironica ed umoristica di quello che minaccia­va di diventare un problema psichico serio per lei e di salute per il bambino e decidem­mo di registrare invece i calci che riceveva per farglieli “pagare” dopo il parto.

Sono tre esempi che riflettono bene come an­che nelle gravidanze volute l’attività autono­ma del feto venga percepito come un mecca­nismo di aggressione.

Una considerazione a parte merita il fatto che abitualmente la cultura popolare consigli alle donne incinte di non guardare immagini “brutte”, ma di fermare l’attenzione solo su immagini che possano essere definite “belle”, perché le immagini brutte potrebbero im­pressionare il bambino facendolo diventare – si direbbe per analogia – un mostro. La pau­ra di dare alla luce un mostro riconduce fa­cilmente al pensiero di avere dentro di sè un mostro di cui liberarsi con il parto: fantasia questa di un’aggressione subita ed agita ad un tempo.

Si possono isolare due atteggiamenti mania­cali tipici del periodo precoce della gravi­danza: 1) quello delle donne che percepi­scono il bambino intensamente, ma che han­no bisogno di negarlo per non cedere allo spavento ed allora ostentano un’imperturba­bilità eccessiva, conducono una vita assolu­tamente “normale” come se la particolare condizione in cui si trovano non le riguar­dasse; 2) quelle che si concentrano total­mente sul loro ventre e su tutto quello che credono di percepire vi avvenga all’interno, ogni movimento, rumore, cambiamento ed assillano l’ambiente famigliare pretendendo un’attenzione e una protezione immotivate ed eccessive. Sono due modi di reagire ad un’ansia esagerata che danneggia la gestan­te e che possono esternarsi anche con sinto­mi di tipo psicosomatico, come la bulimia, l’ipertensione o l’ipotensione, varici, stasi venosa ed altro.