È analisi dei sogni della donna durante il periodo della gestazione permette, insieme ad altri accorgimenti e ricerche, di rilevare come avvenga in lei una sorta di regressione a stadi molto remoti, e come si riattualizzino conflitti e fantasie nei riguardi della propria madre, come dice anche la psicoanalisi classica. Io direi che il cammino a ritroso va oltre la stessa vita individuale per riportare la donna alle origini di quelle tracce che nell’inconscio sociale hanno lasciato le antiche Dee-Madri con le quali la donna si identifica e sulle quali proietta paure e desideri.
Il mito di queste antiche dee, madri e amanti, risale alle culture mesopotamiche successivamente trasmigrate nell’area del Mediterraneo. Secondo gli antropologi e gli archeologi erano venerate dapprima come dee telluriche ( della terra) e poi anche celesti. Avevano una connotazione paurosa ed i loro nomi sono Istar oppure Manna, successivamente identificate con Afrodite, dispensatrici dell’amore, della vita ed anche della morte: loro vittime o amanti erano altri dei od eroi come Gilgamesh, o Adone. Dee che uccidevano i loro compagni dopo averne goduto ed essere state da loro fecondate. La loro tenebrosità ha fatto sì che venisse diffuso il culto di una Dea nera di cui si trovano le tracce dal medio oriente, fino al Palatino, in Roma, dove in un tempio a lei dedicato i sacerdoti si eviravano nel corso di speciali riti iniziatici. La stessa religione cristiana pare averne raccolto l’eredità, trasformandole nelle Madonne nere venerate in santuari di tutto il mondo: in Italia ad Oropa e a Loreto, in Polonia a Tchestokowa, in Spagna a Montserrat, in Messico a Guadalupe ed in moltissime regioni della Francia, dove i simulacri sono per lo più rimasti gli stessi dell’antichità pagana. Queste dee e Madonne testimoniano quanto sia forte nell’inconscio sociale l’immagine della creatura femminile capace di dare la vita, il piacere e la morte. Le donne la recano in sé anche quando sono incinte e questo stimola fantasie di onnipotenza e di distruzione che agiscono, consapevolmente ed ancor più inconsapevolmente, sul loro rapporto col bambino durante la gestazione. Rapporto che determinerà in parte la qualità della vita di entrambi anche dopo il parto.
Dopo circa tre mesi e mezzo di vita gestazionale la vita del feto si manifesta in modo evidente soprattutto attraverso una modalità che le gestanti interpretano come uno scalciare: ” Il bambino scalcia!” È l’espressione più diffusa per segnalare che si percepiscono i movimenti del feto all’interno dell’utero. È interessante domandarsi perché le madri percepiscano questa motilità come un gesto aggressivo: di qualcuno che tira calci contro le pareti del ventre. Il calcio nella concezione più comune è considerato un gesto di aggressione e non può non avere alcun significato che la madre percepisca il figlio come un aggressore.
Una mia paziente era reduce da un intervento di inseminazione artificiale in Svizzera, dove come generalmente avviene si mantiene la più totale segretezza sull’identità del donatore. L’esito era stato positivo e lei si era sentita felicemente incinta finché non aveva percepito appunto i primi “calci”. Quell’aggressione inaspettata l’aveva fatta andare fuori di senno: elaborando una diceria popolare per cui i donatori svizzeri sono scelti tra i soldati in età di leva, aveva incominciato ad avere incubi che la scuotevano ogni notte dei quali era protagonista un giovane soldato biondo, che lei chiamava “lo svizzero” che l’ aggrediva e la dilaniava. Poco per volta aveva persino dimenticato l’esperienza dell’inseminazione e semplicemente sentiva dentro di sé uno “svizzero” che la minacciava. Nonostante gli aspetti così clamorosi il caso mi permise una prognosi abbastanza favorevole e lavorando insieme riuscimmo a far rientrare quel delirio addirittura prima del tempo del parto, che avvenne felicemente. Un’altra donna in cura da me aveva scelto deliberatamente, per ragioni ideologiche, di ignorare quale sarebbe stato il padre del proprio figlio e per questo aveva avuto un’intensissima attività sessuale con rapporti completi in uno stesso breve arco di tempo, con partner estranei al suo ambiente abituale. Anche in quel caso però l’inizio della percezione dei “calci ” del bambino scatenò un delirio persecutorio da parte di un non meglio identificato “straniero”.
Un’altra mia paziente che era a conoscenza delle mie teorie contrarie alla pratica delle punizioni corporali dei figli, che considero solo come sadico gesto di vendetta su individui fisicamente più deboli, mi confessò con grande sforzo che lei rispondeva ai “calci” del bambino colpendo il proprio ventre con pugni, per punirlo. Fortunatamente in quel caso riuscimmo insieme a trovare una chiave ironica ed umoristica di quello che minacciava di diventare un problema psichico serio per lei e di salute per il bambino e decidemmo di registrare invece i calci che riceveva per farglieli “pagare” dopo il parto.
Sono tre esempi che riflettono bene come anche nelle gravidanze volute l’attività autonoma del feto venga percepito come un meccanismo di aggressione.
Una considerazione a parte merita il fatto che abitualmente la cultura popolare consigli alle donne incinte di non guardare immagini “brutte”, ma di fermare l’attenzione solo su immagini che possano essere definite “belle”, perché le immagini brutte potrebbero impressionare il bambino facendolo diventare – si direbbe per analogia – un mostro. La paura di dare alla luce un mostro riconduce facilmente al pensiero di avere dentro di sè un mostro di cui liberarsi con il parto: fantasia questa di un’aggressione subita ed agita ad un tempo.
Si possono isolare due atteggiamenti maniacali tipici del periodo precoce della gravidanza: 1) quello delle donne che percepiscono il bambino intensamente, ma che hanno bisogno di negarlo per non cedere allo spavento ed allora ostentano un’imperturbabilità eccessiva, conducono una vita assolutamente “normale” come se la particolare condizione in cui si trovano non le riguardasse; 2) quelle che si concentrano totalmente sul loro ventre e su tutto quello che credono di percepire vi avvenga all’interno, ogni movimento, rumore, cambiamento ed assillano l’ambiente famigliare pretendendo un’attenzione e una protezione immotivate ed eccessive. Sono due modi di reagire ad un’ansia esagerata che danneggia la gestante e che possono esternarsi anche con sintomi di tipo psicosomatico, come la bulimia, l’ipertensione o l’ipotensione, varici, stasi venosa ed altro.