Psicoanalisi contro n. 7 – L’ambivalenza

novembre , 1995

La negazione è comprensibile, ma non risolve il problema della responsabilità individuale e di gruppo. È triste per me constatare come, volendo parlare della gesta­zione, mi trovi a parlare così tanto di aborto: ma il fatto è che la gestazione è un periodo della vita della donna che esalta al massimo grado le due alternative di esercitare il suo potere sulla vita e sulla morte.

In ogni caso, anche la gravidanza è sempre in parte voluta e non voluta, più o meno in­consciamente. Se una donna rimane incinta, quasi sempre lo ha voluto, perché l’organi­smo ha a disposizione tantissimi strumenti psicosomatici di difesa dalla gravidanza non voluta: dal prolasso vaginale, all’incremento del ph, alle affezioni ovariche e la medicina psicosomatica e la ginecologia ben conosco­no queste risposte femminili alla gravidanza indesiderata e all’ambivalenza sempre pre­sente nelle intenzioni umane. Talvolta sono proprio le ambivalenze che squassano la per­sona.

Una mia paziente, che posso ora definire: “felicemente guarita”, viveva paralizzata dall’ambivalenza nei confronti di ogni picco­la o grande scelta: anche per un capo di ab­bigliamento o un accessorio non le riusciva di prendere una decisione senza rimpiangere l’alternativa rifiutata. La sua vita era una sofferenza e divenne un tormento quando si trattò di decidere di “comprare” un bambino ( in Piemonte si dice comunemente “comprare un bambino” per “partorire”). Mozart nel Don Giovanni ha co­struito sulle parole di Da Ponte, un capola­voro sull’aria di Zerlina “Vorrei e non vor­rei…” e poi ancora nelle Nozze di Figaro con Cherubino che esprime la sua esitazione: “Non so più cosa son, cosa faccio”, preso tra la voglia di conquistare le donne e la voglia di essere donna a sua volta.

Interessanti sono le osservazioni a questo proposito della psicoanalista argentina Raquel Soifer (1986): l’ipersomnia, che coglie la donna quando l’organismo ha già percepi­to, senza che se ne sia acquisita la consape­volezza, lo stato di gravidanza, esprime la di­fesa dall’ansia troppo forte; il vomito che si manifesta quando ancora non c’è la perce­zione cosciente della gravidanza esprimereb­be il rifiuto e il desiderio di espellere l’esse­re annidato nel ventre.

Sono osservazioni solo parziali perché sia il sonno sia il vomito hanno anche altri signifi­cati psichici inconsci.

In realtà il sonno è anche un mezzo per ca­larsi in sé stessi, per vedere meglio cosa c’è dentro di noi, anche aiutati dall’ipersen­sibilità percettiva che lo stato di dor­miveglia sviluppa.

Insieme desiderio di fuga e desiderio di vedere inducono un sonno che non è sano, ma depressogeno e che è meglio contrastare con attività disintossicanti, come lo sport o il divertimento, o l’attività intellettuale. Non è vero inoltre che nel sonno si abolisce il mon­do, spesso è proprio nel sonno che, come Don Chisciotte oppure Orlando, cadiamo vittime dei fantasmi.

Per quel che riguarda il vomito il suo signi­ficato non si esaurisce in quello di rifiuto in­conscio, che spesso è solo un aspetto di una costellazione psichica molto complessa che riguarda il gruppo affettivo e sociale.

Un’altra ragazza di diciassette anni colpita da crisi depressiva dopo l’avvenuto aborto aveva rifiutato il bambino dopo che il suo partner l’aveva esortata a tenerlo, per timo­re di dover rivelare la verità alla madre. La ragazza tra l’altro continuava a vomitare come aveva iniziato a fare durante la gravi­danza. L’analisi permise di leggere diversi li­velli del significato della depressione e del vomito. Un livello riguardava il rifiuto di ac­cettare che il matrimonio le venise offerto “a causa della sua gravidanza”; un altro era l’identificazione eccessiva con la madre, donna autoritaria e castratrice, che la ragaz­za ha inteso anche superare rifiutando un “buon partito” ben più appetibile che quell’ometto castrato del padre. Un caso dove la strumentalizzazione da più parti del bambino balzava evidente in modo impres­sionante e dove il vomito esprimeva rifiuto non tanto del bambino quanto di una serie di figure, reali e fantastiche che solo l’analisi poté mettere e fuoco, permettendo il supera­mento della depressione e la scomparsa dei sintomi.