Psicoanalisi contro n. 6 – Il trauma della nascita

maggio , 1995

Fin da bambini la nostra cultura e la nostra religione ci perseguitano con la frase del Genesi che suonapiù o meno cosi:” E Dio disse alla donna: tu partorirai i tuoi figli nel dolore”. Frase terribile, che è stata letta ed interpretata in tanti modi, e che la diceria popolare ha letto come una sortadi santificazione del dolore del parto, offerto a Dio in riscatto di una colpa antichissima, forse sessuale, collegata addirittura col peccato originale.

La questione strettamente teologica non ci riguarda in questa sede, però già ci riguarda per esempio il rifiuto degli interpreti più integralisti della Bibbia che si oppongono in qualsiasi modo ai tentativi di mitigare i dolori che nel parto affliggono la madre e il bambino, acciocché sia realizzata appieno quella che è letta come una inappellabile e giusta condanna divina alla quale è empio tentare di sottrarsi. Anche Gesù Cristo nell’orto dei Getsemani quando intuì l’immensità dei patimenti della Passione a cui sarebbe andato incontro disse: “Padre, se possibile allontana da me questo calice!” Se è possibile, senza fare male ad altri, è sempre giusto allontanare dall’uomo il dolore. Questo io dico sempre nella mia qualità di terapeuta e di uomo alle donne che vengono da me, diversamente affascinate o spaventate dal dolore del parto. Il dolore umilia sempre l’essere umano, non per nulla nell’Antico Testamento è mandato all’uomo come punizione. Una forma di perversione, nota come “sadomasochismo”, presente in tutti, colpisce però in modo particolare alcuni soggetti che non sembrano purtroppo appagati dalla quantità di dolore esistente dell’universo, ma vanno in cerca di sofferenza credendola, erroneamente, un bene. Solo il piacere è bene, la sofferenza è sempre male anche quando è subita dai martiri o dagli eroi. Purtroppo l’essere umano è contraddittorio anche nei modi in cui va alla ricerca del piacere e della felicità. Credo quindi che sia giusto che il momento del parto sia liberato per quanto possibile dalle sue componenti dolorose.

Il parto, come quasi tutti gli altri momenti significativi della vita umana, è stato ritualizzato nel corso dei secoli, da quasi tutte le culture ed accompagnato ora da riti magici, ora da rituali sociali. Alcune regine del passato, in Inghilterra per esempio, dovevano partorire pubblicamente: per mostrare il loro coraggio e anche per dare la garanzia ai cittadini che non avvenissero scambi di neonato e che il futuro re fosse davvero tale per diritto di nascita. C’era, secondo me, un’altra motivazione: la ritualizzazione eccessiva con la sua conseguente teatralizzazione riusciva forse in qualche misura a ridurre l’ansia e ad abbassare la percezione del dolore. Oggi purtroppo in ospedale si realizza una modalità di parto piuttosto espropriante, con poco rispetto per l’intimità della donna e indifferenza per il dolore suo e del bambino. Per questo si sono largamente diffuse le tecniche di parto “alternativo” o “dolce” che prevedono condizioni ambientali particolari e in alcuni casi anche la presenza dei famigliari.
In opposizione alla paura del parto sono così nate tendenze anche pedagogiche che ne raccomandano la smitizzazione e suggeriscono la famigliarizzazione dei bambini con questo evento fin da piccoli: permettendo loro di toccare la pancia della madre in attesa del fratellino, o facendoli assistere al parto degli animali e fin qui non ci trovo nulla di male. Trovo invece condannabile l’introduzione di quei giocattoli comei bambolotti capaci di riprodurre grottescamente quella funzione, o la tendenza opposta di intontirli con storie sulla nascita sotto il cavolo, sotto un fiore, tramite l’arrivo della cicogna. C’ è un ricco patrimonio acquisito della fantasia infantile che esprime anche l’ambivalenza che ogni bambino sente verso chi è appena venuto oppure sta per venire al mondo. Imporre ai bambini spiegazioni anatomiche, o razionali o anche falsamente poetiche è solo un modo inutile di tentare di espropriarli del loro patrimonio fantastico. Tra l’altro è questo un tentativo velleitario: conosco molti bambini educati da genitori moderni che dovrebbero sapere tutto intorno ai meccanismi della riproduzione e del parto e che continuano invece a nutrire le fantasie del parto anale, proprio come i bambini di cui parlava Jung. In questi casi si realizza addirittura un capovolgimento e i bambini considerano frottole le spiegazioni più o meno fisiologicamente corrette fornite loro dai genitori.

La psicoanalisi ha detto intorno al parto alcune cose anche bizzarre: a partire dalle constatazioni di Helène Deutsch che scoprendo una sorprendente contiguità tra dolore e piacere in molte donne, trovò in alcune sue pazienti attraverso il lavoro analitico una sorta di identificazione tra il dolore del parto ed il piacere dell’orgasmo. Otto Rank in un suo scritto intitolato appunto:”Il trauma della nascita” teorizzò che in ogni momento di grave stress od ansia della vita, l’individuo rivivrebbe l’angoscia causata da quel primo trauma, connotato fra l’altro dall’ansia del distacco dal corpo materno. Sandor Ferenczi dal canto suo suggeriva che il parto non fosse poi così traumatico e che il passaggio dal mare tranquillo della vita intrauterina a quello tempestoso della vita quotidiana fosse un evento fisiologicamente ben preparato. Secondo Freud il parto non ha grande significato per il nascituro che, essendo autisticamente chiuso in se stesso come una monade, non ha percezione di quello che avviene e non patisce del cambiamento di rapporto col corpo della madre perché non è mai stato in relazione con lei.
Un aspetto sottovalutato, messo in luce dalla psicoanalisi, che è una diretta conseguenza della sofferenza provata dalla madre durante il parto è l’odio per il nascituro, le cui tracce si ritrovano nella psiche di tutte le donne che hanno partorito e che in alcuni casi sono responsabili di vere e proprie sindromi post-parto, dissociative, depressive o schizoidi, legate al senso di colpa perché si è desiderata la morte del proprio figlio.

Oggi il parto sembra essere diventato più che altro una questione del ginecologo che ha il sopravvento su di un padre assente ed una madre per lo più poco cosciente e ciò sembra tanto più vero quanto più la tecnica è “dolce”, come avviene nel parto praticato con il R.A.T. (training autogeno respiratorio), un metodo suggestivo che inibisce i centri maggiori del dolore attraverso il rilassamento muscolare ottenuto con respirazione controllata e immaginazione suggestiva guidata. Lo stesso più o meno avviene con la tecnica di Schultz e con l’ipnosi, tutte metodologie che mettono la donna in stato di semi-incoscienza, con l’inconveniente forse di espropriarla in parte e col vantaggio di contenere la sofferenza del parto. Comunque nelle condizioni attuali di grande disorientamento io ritengo giusto che la ricerca prosegua i suoi sforzi con l’obiettivo di rendere il parto sempre meno connotato dal dolore e dalla sofferenza. In ogni modo per me — più che il parto — è carica di significati per il futuro dell’uomo la vita intrauterina nel suo complesso, nel periodo che va dal concepimento alla nascita. Si nasce davvero solo una volta: nel turbamento e nello sconvolgimento tumultuoso del concepimento. Tutto il resto è già parte della vita umana, con tutte le sue peripezie.