Psicoanalisi contro n. 6 – Origine, formazione e significato dell’inconscio

maggio , 1995

Da circa sessant’anni la scienza studia con particolare attenzione quello che avviene durante il periodo della gestazione e come si sviluppa in questi nove mesi il rapporto tra la madre, il bambino e l’ambiente. Da sempre sono fiorite le fantasie popolari intorno a questo particolare momento della vita: ogni società ha costruito a modo suo immagini più o meno probabili su quello che per alcuni versi ancora rimane un mistero. Oggi gli strumenti scientifici, ed in particolare l’ecografia, permettono di conoscere con maggior precisione gli sviluppi della vita dell’embrione e del feto, fino al momento del parto. Quella che sembra essere una prima ed incontrovertibile acquisizione è il crollo di un’antica illusione: il bambino, nel grembo materno, non vive in quello stato di completo isolamento sensoriale, immerso in un “mare tranquillo”, al riparo quindi da ogni aggressione esterna, che si credeva. Anzi embrione e feto sono sottoposti a sollecitazioni anche intense e la vita intrauterina conosce a sua volta stati di angoscia o di felicità, può subire traumi o godere di maggiore o minore benessere, in relazione agli stimoli che provengono dall’ambiente esterno e che sono trasmessi dal corpo e dalla psiche materni. Ad ogni effetto l’essere umano deve essere considerato tale fin dal concepimento, poiché da quel momento ha una sua vita non solo fisiologica, ma anche emozionale.
Noi qui ci occuperemo soprattutto, anche se non esclusivamente, dell’ aspetto psichico della vita di questa diade madre-bambino, nelle sue componenti consce ed inconsce.
La vecchia psicoanalisi, freudiana e non solo, affermò, con geniale intuizione, che l’inconscio individuale si forma fin dal momento della nascita e che soprattutto i primissimi anni della vita post-natale sono fondamentali per la formazione della personalità, sana o malata, dell’individuo adulto e che lo psicoanalista dovrà col suo lavoro risalire proprio a quegli anni precoci per capire meglio la genesi e l’eziologia dei possibili disturbi nevrotici e psicotici dell’adulto che si trova di fronte. Io penso che questa pur audace intuizione sia in effetti riduttiva: sono infatti sempre più convinto che occorra risalire anche alla vita prenatale per conoscere meglio le cause prime degli eventuali disturbi di una personalità, che proprio in quei nove mesi riceve i primi condizionamenti e subisce i primi traumi che continueranno ad agire nel futuro. Non si nasce il giorno del parto, che è poco più che un’occasione burocratica di registrazione anagrafica, ma al momento del concepimento.
Sono consapevole che tutto il mio lavoro e le mie ed altrui ricerche sono per il momento poco più che ipotesi suffragate da poche certezze, ma sono convinto che, come insegna Popper, la scienza debba procedere per ipotesi che pongono problemi più che per acquisizione di risultati certi.
Anche per la madre il periodo della gestazione è molto importante e ciò che sente avvenire dentro di sé attiva, insieme con una serie di reazioni fisiologiche, molte fantasie, angosce, paure e desideri. Inoltre nessuna donna accetta pienamente l’essere che ospita nel proprio ventre da cui si sente in parte espropriata; anche le donne che hanno intensamente desiderato la maternità provano questo rifiuto più o meno inconsapevole ed intenso.
Ogni madre poi proietta i suoi desideri sul bambino e lo immagina con certe caratteristiche ben precise. Questo lavorio fantastico non è molto diminuito neppure oggi che i moderni tipi di indagine permettono di conoscere fin dalle prime settimane alcuni dati certi o quasi, ad incominciare dal sesso del nascituro. Queste aspettative, consce ed inconsce agiscono oltre che sulla madre anche sul bambino. Non c’è donna che non si aspetti un figlio di un determinato sesso piuttosto che dell’altro. Non bisogna credere a quelle gestanti che dicono che è loro indifferente il sesso della creatura che daranno alla luce. Inconsciamente c’è sempre una preferenza, magari indotta dalle aspettative dell’ambiente circostante. Questa scelta è facilmente decifrabile nel lavoro psicoanalitico: tanto più forte è l’affermazione: «A me non importa» tanto maggiore è il desiderio che nasca un maschio o una femmina. Per questo può essere molto utile il sostegno di uno psicoanalista che accompagni la donna dall’inizio della gestazione; anche se, al contrario, può essere controproducente iniziare un’analisi a gravidanza avanzata.
È molto importante il comportamento dell’ ambiente famigliare nei riguardi della gestante, tanto che spesso determina il futuro del rapporto madre-bambino. Il carico di aspettative del padre e degli altri famigliari risulta talora molto pesante per il bambino che si troverà di fronte all’arduo compito di corrispondervi.

Un aspetto che può apparire inconsueto della problematica gestazionale è quello della vita sessuale della coppia in quei nove mesi.
Prevalgono due atteggiamenti molto decisi e tra loro opposti: uno di condanna e l’altro molto favorevole al rapporto stesso. Vi sono civiltà, tra cui alcune popolazioni australi studiate da Malinowski, che vietano rigorosamente il rapporto sessuale con la donna incinta, attribuendogli la capacità di danneggiare il feto, procurando gli serie lesioni. Lo stesso valeva per alcune aree europee: una ricerca degli anni ottanta svolta nel Poitou, una regione della vicinissima Francia, ha trovato le tracce di una credenza popolare che attribuisce allo sperma maschile un potere corrosivo capace di danneggiare gli occhi e le orecchie del nascituro. Altre leggende profetizzano la nascita di un figlio peloso alla donna che ha avuto rapporti sessuali durante la gravidanza.
In altri ambiti culturali il rapporto sessuale in gravidanza è invece auspicato per il benessere della donna e del bambino. Alcune tribù indiane dell’Arizona attribuiscono allo sperma un alto valore nutritivo per il feto. In Europa, dopo un periodo del secolo scorso e dell’inizio di questo secolo, in cui risultò dominante l’inibizione della sessualità per le gestanti, prevale oggi l’assenso per una sessualità di coppia che risulti soddisfacente per i due partners, salvo diverse prescrizioni legate a particolari patologie.
Inconsciamente agisce sulla decisione del divieto in proposito anche la fantasia dell’incesto, dovuto alla penetrazione del pene paterno nel corpo della madre e lì supposto venire a contatto con il feto, come appare riportato nella tradizione di alcune aree rurali della Cina.
Tornando alla gestazione vera e propria e al rapporto madre-bambino mi affretto a precisare subito il mio punto di vista sulla natura dell’essere umano che io considero tale nella pienezza dei suoi diritti fin dall’istante del concepimento: la donna durante la gravidanza non è più proprietaria del suo utero, ma ha il dovere di proteggere la vita che ospita fino al momento del parto. Solo dopo questo evento, se vuole, potrà tornare a dire. “L’utero è mio e lo gestisco io.” So che spesso il figlio non è frutto di un gesto d’amore, ma di violenza, ma ugualmente nessuna donna ha il diritto di sopprimere una vita e la società ha il dovere di assistere madre e bambino fin dall’ inizio della gestazione, alleviando il disagio della donna e garantendo la salute fisica e psichica di entrambi. Giustificare l’aborto per ragioni di benessere sociale od individuale della donna equivale ad approvare lo sterminio che le squadre della morte brasiliane operano dei bambini di strada che, raggruppati in branchi minacciano l’incolumità e la tranquillità dei cittadini: le ragioni di sicurezza sociale sembrerebbero esserci, ma ciò non toglie che si tratti di sterminio di vite umane che vanno invece salvaguardate ad ogni costo.
Il bambino, il feto e l’embrione non sono proprietà di nessuno, neppure del padre e della madre; come ogni altro essere umano appartengono solo a se stessi. Questo è il solo punto di partenza per un corretto approccio con la vita di chi, per una ragione o per l’altra, è stato un giorno concepito, senza che lo abbia chiesto. Accettare come ipotesi il diritto di abortire pregiudica non solo la vita dell’eventuale vittima dell’aborto, ma anche un corretto rapporto col figlio in eventuali gravidanze successive, perché gli trasmetterebbe comunque un’esperienza di morte. Ciò non significa che il figlio di una donna che ha abortito una volta non possa crescere felice, ma semplicemente che dovrà lottare contro un fantasma in più, gettato gli addosso dall’inconscio materno. Di amore e non di possesso è dunque l’atteggiamento che si deve avere in ogni caso verso il frutto di un concepimento per quanto poco felici siano state le condizioni in cui esso è, senza sua colpa, avvenuto.
La psicoanalisi si interessa dell’inconscio, ma non esclusivamente, infatti sono oggetti del suo studio anche tutti gli altri aspetti, coscienti e no, della vita psichica. La psiche nel suo complesso è una unità inscindibile di conscio ed inconscio. Coscienza ed inconscio stanno tra loro in un rapporto molto intricato e solo per convenzione si può dire che quest’ultimo sia l’oggetto specifico della psicoanalisi; in ogni caso però oggi non c’è la possibilità di affrontare qualunque ipotesi scientifica senza tenere conto del dato culturale determinante che è stato la scoperta dell’inconscio e la nascita della psicologia dinamica. Si possono elaborare teorie che ne negano l’importanza o che non ne tengono conto, ma non se ne può negare l’esistenza, senza correre il rischio di essere dei ciarlatani. Del resto non c’è bisogno di conoscere la psicoanalisi per vedere affermata costantemente dall’ arte la presenza e l’influenza dell’inconscio sulla vita degli uomini: dalla tragedia greca in avanti ed all’indietro, fino al Genesi. Lo stesso tipo di testimonianza si ritrova negli atti più semplici della vita quotidiana, attraverso lapsus, atti mancati, negazioni e così via.
L’inconscio deve essere considerato una realtà nell’elaborazione di qualsiasi ipotesi scientifica. Inoltre possiamo dire che l’ottanta per cento circa dei contenuti della cosiddetta coscienza non sono davvero completamente consci.
Secondo una mia elaborazione, l’inconscio è costituito di tre parti: l’inconscio istintuale, l’inconscio individuale e l’inconscio sociale.
L’inconscio istintuale travalica l’individuo ed è costituito da un bagaglio di meccanismi stereotipi (anche se ciò non è proprio vero) appresi ereditariamente, che certa vecchia psicologia riteneva immutabili nel corso dei secoli e chiamava “istinti” e che io ritengo già essere meccanismi, almeno in parte, psichici.
L’inconscio individuale appartiene strettamente al vissuto dell’individuo, nasce con lui, al momento del concepimento, e si forma nell’inter-azione tra la persona e gli altri, mediata nel ventre materno dalla madre stessa.
L’inconscio sociale è la somma dei contenuti, valori, divieti, che l’ambiente sociale trasmette comunque all’individuo, ed al feto, attraverso la madre.
Ho detto più volte che io credo che abbiano contenuti psichici anche i primi riflessi istintuali che quindi non sono privi già di una certa consapevolezza. Non credo alla teoria di Piaget che vuole il bambino all’inizio della vita solo capace di riflessi e non ancora dotato di possibilità di apprendimento, che si svilupperebbe solo in un secondo tempo. Già nella capacità di coordinare i riflessi (capacità riconosciuta anche da Piaget) io vedo l’attuazione di un vero e proprio meccanismo di apprendimento che caratterizza l’individuo fin dalla vita intra-uterina. Ritengo a questo proposito maggiormente aderente alla realtà, pur nei suoi limiti, l’ipotesi freudiana che attribuiva all’individuo pulsioni e desideri, anche sessuali, fin dal momento della nascita.
Cosa è l’inconscio, quale è la sua natura essenziale?
Una prima risposta potrebbe essere che l’inconscio è memoria, anche se questa è un’affermazione riduttiva nella sua schematicità, come vedremo in seguito. L’individuo registra tutte le sue esperienze che però non potendo, sotto forma di ricordo, essere tutte contemporaneamente presenti alla coscienza, rimangono in gran parte custodite nell’inconscio, dove però non si comportano come materia inerte, ma agiscono.
Avvenimenti, traumi, pensieri, nozioni sono ricordi in movimento che la coscienza seleziona di volta in volta, ma che rimangono in gran parte inconsci e talvolta addirittura in una zona così profonda dell’inconscio che non è possibile, in condizioni normali, richiamarli al livello cosciente.
Vivere è ricordare. L’uomo incomincia a ricordare fin dal momento del concepimento, l’azione conscia ed inconscia dei ricordi condiziona i suoi desideri, ricordare significa subito anche desiderare. Vivere allora è ricordare e desiderare: l’inconscio racchiude in sé ricordi e desideri e condiziona il loro recupero da parte della coscienza.
Una domanda si pone a questo punto: se l’inconscio è ricordo e l’inconscio si forma fin dal concepimento, come mai non ricordiamo nulla della vita intrauterina? Perché l’adulto ricorda solo da un certo punto in avanti e comunque pochissimo dei primissimi anni di vita?
La risposta è che il bambino acquisisce solo in tempi successivi alla nascita la piena nozione del tempo. Per il feto e per il bambino piccolissimo le tre strutture in cui si articola la percezione del tempo: passato, presente e futuro sono solo parzialmente intuite ma ad esse si sovrappone la percezione di un unicum continuo. Solo con l’acquisizione della nozione di tempo e di quella interdipendente di spazio il bambino riuscirà a collocare i ricordi in una prospettiva che possiamo definire appunto spazio-temporale. Il feto e il neonato, immersi nel proprio presente, faticano a mettere in atto il meccanismo della memoria.
Si conoscono comunque tecniche che permettono il recupero di ricordi molto precoci i ed in qualche caso anche della vita intra-uterina. Ovviamente sono ancora molte le cautele su quanto sia effettivo questo recupero di memoria, ma è questo un problema che la ricerca scientifica può risolvere. Del resto persino l’antica psicoanalisi riteneva di trovare, per esempio nei sogni, tracce mnestiche che non potevano risalire all’ esperienza strettamente individuale.
L’inconscio non solo si forma già nella fase di vita intra-uterina, ma probabilmente è anche ricco di contenuti trasmessi geneticamente, attraverso l’eredità dei due genitori.
Freud con la teoria delle Urphantasien e Jung con la sua teoria dell’inconscio collettivo avevano già in parte avuto le medesime intuizioni. Oggi quello che fino a ieri sembrava favola trova buoni supporti scientifici.
Del resto io credo che il velo del mistero possa solo parzialmente essere tolto. Come dice Eraclito:
“Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo logos”. (Cfr. Diels, fr. 45)