Psicoanalisi contro n. 6 – Il rapporto con l’ambiente nella vita pre-natale e nei primi anni

maggio , 1995

Ho già detto che per me la vita dell’individuo incomincia nel momento stesso del concepimento e per questo mi interessa studiare con la maggior precisione possibile quello che succede all’essere umano in quei nove mesi che precedono la sua venuta alla luce e come questi avvenimenti, insieme con quelli della vita immediatamente successiva all’evento del parto, possono influire sulla vita futura dell’uomo. Oggi che l’embrione e il feto sono studiati da vicino grazie alla raffinatezza degli strumenti di cui l’osservazione dispone, sappiamo con certezza che reagiscono agli stimoli dell’ambiente esterno, che percepiscono filtrato dal corpo materno, e che dimostrano anche una vita emozionale. Mi rendo conto che in questo campo è necessario usare il metodo scientifico di ricerca fatto proprio negli ultimi tempi dalla fisica atomica e sub-atomica. Come fanno i fisici, siamo infatti costretti ad immaginare strutture che non riusciamo davvero a vedere anche con gli strumenti più precisi. Se però è vero che nessun fisico ha mai visto l’atomo e che il monumento che fa bella mostra di sé a Bruxelles è poco più che un giocattolo fantascientifico ed improbabile, è altrettanto vero che la fisica contemporanea, procedendo per ipotesi di cui riu­sciva ad ottenere solo in seguito conferme sperimentali, ha fatto passi da gigante nello sfruttamento dell’energia atomica e nella ricerca medica e spaziale. Così la psicoanalisi è in grado, proprio applicando il metodo scientifico della fisica, di trovare la conferma sperimentale delle ipotesi che viene via via formulando su una realtà invisibile quale è l’inconscio, studiandone gli effetti sulla realtà. Dall’effetto è possibile risalire alle cause, procedendo per ipotesi sempre più probabili e sempre più verificabili.

Se, come appare dimostrato, durante la gestazione l’embrione e il feto reagiscono all’ambiente con una vita percettiva che li mette in grado di selezionare gli stimoli e di iniziare i primissimi stadi di quello che possiamo definire un vero e proprio “apprendimento intrauterino”, come dicono fra gli altri Guidano e Changeux, a maggior ragione dobbiamo pensare che sia attivo in questo senso il neonato fin dai primi momenti della fase perinatale. Lo stesso criterio di continuità vale ovviamente per l’inconscio e le sue funzioni.

Già nei primi anni però hanno grandissima importanza gli stimoli che giungono al bam­bino dai genitori o da chiunque altro svolga il loro ruolo.

Fin dall’antichità è stato insegnato alle bambine già in tenera età ad abituarsi al futuro ruolo materno: il gioco delle bambole ne è la prova. Vere e proprie bamboline di materiali diversi sono state trovate negli scavi delle necropoli antiche, poste tra gli arredi dei sepolcri di giovinette morte in tenera età. Forse per questo da molto tempo le madri credono di sapere il loro mestiere, anche se in realtà il loro è più che altro un modo di accettare passivamente un ruolo imposto e codificato abbastanza rigidamente in quasi tutte le società e deve ancora formarsi nella donna una vera e propria scelta consapevole della maternità.

Il bambino maschio da piccolo, al contrario, non è educato al futuro ruolo paterno ed anche nei giochi infantili è più spiccata la richiesta che gli si fa di complicità sessuale con la bambina (aspetto per altro inibito dall’educazione sociale) che non quella di capofamiglia, anche se spesso nei giochi infantili si ritrovano le tracce di parodie più o meno ingenue della vita famigliare.

In definitiva: né i maschi né le femmine vengono davvero preparati ad essere futuri padri e future madri consapevoli. Quindi i primi interlocutori della vita di relazione del bambino sono due figure in crisi di identità.

La psicoanalisi freudiana ci insegna che nel bambino il bisogno di relazione è una pulsione che agisce meccanicamente per cercare la soddisfazione di due istinti primari: il bisogno di nutrirsi e il desiderio del piacere sessuale. Il bambino per sopravvivere ha bisogno del latte materno e va alla ricerca di quel corpo che può darglielo; la soddisfazione di questo bisogno procura un piacere che diventa un rafforzamento della pulsione. Dice Freud che il bambino prova nel contatto col corpo materno un piacere sessuale su cui si innesta il rafforzamento del suo istinto di conservazione. Questo concetto della sessualità infantile non è universalmente accettato e molte scuole psicologiche e psicoanalitiche mettono in discussione la teoria della libido di Freud e l’altra teorizzazione del bambino come perverso polimorfo, come individuo cioè in cui la libido è universalmente diffusa su tutto il corpo prima di strutturarsi nella va­rie fasi: anale, orale ed infine genitale. La soddisfazione degli istinti primari, di sopravvivenza e dì piacere condiziona il futuro sviluppo del bambino che ad essa subordinerà il suo rapporto col mondo. Io considero piuttosto criticamente la teoria freudiana per quel che riguarda lo sviluppo e la sessualità infantile e trovo sbagliate so­prattutto due sue affermazioni: quella dell’autoerotismo del bambino nella primis­sima infanzia e l’altra che primario sia l’istinto di nutrizione.

Non credo che il bambino se fosse inizialmente chiuso in se stesso ed avesse il proprio sé come oggetto sessuale riuscirebbe a spezzare l’isolamento e a mettersi in relazione con l’altro da sé, come invece dimostra di fare andando alla ricerca del seno materno. Per quel che riguarda l’istinto primario io penso che la prima pulsione sia quella affettiva e solo dopo venga l’esigenza nutrizionale. È questa una convinzione che mi viene confermata anche dalla letteratura scientifica che riferisce di studi sperimentali come quelli effettuati alla fine degli anni cinquanta da Harlow: un gruppo di scimmiette allontanate dalla madre e messe in una gabbia in presenza dì due simulacri materni, uno di materiali morbidi e capaci di dare una sensazione di calore, ma inerte; e l’altro di freddo metallo, ma capace di erogare latte se stimolato, scelse come sostituto della madre il simulacro spugnoso ricorrendo all’erogatore del nutrimento solo nei momenti di stimolazione acuta della fame e limitatamente a quella funzione, esprimendo invece comportamenti affettivi costanti nei confronti dell’altro. Harlow teorizzò questo impulso predominante sul bisogno di cibo come ricerca di un “benessere da contatto” che soddisfaceva un bisogno affettivo di conforto e di sicurezza veramente primario. Come controprova, lo stesso Harlow con Alexander pochi anni dopo dimostrò che le scimmie allevate con le madri biologiche, ma a cui era stato impedito qualsiasi scambio affettivo con compagni della stessa età si erano dimostrate inadeguate alla vita sociale. Un altro esempio dell’importanza della soddisfazione della pulsione affettiva mi pare possa venire dagli esperimenti di Kuhn sui ratti, che nutriti a sufficienza, ma privati di qualunque possibilità di espressione affettiva e di cosiddetto “maternage” deperivano fino a morire. Lasciando da parte gli animali è da ricordare la descrizione fatta da Anna Freud e Sophie Dann di un gruppo di bambini ebrei internati in campi di concentramento nazisti usciti psichicamente indenni dall’esperienza perché durante la detenzione erano riusciti ad agire all’interno del gruppo un forte interscambio affettivo. Ancora Kuhn con Schanberg ha riprodotto su gruppi di animali le condizioni di deprivazione affettiva riscontrate in gruppi di bambini non curati dalle madri ed affetti da un tipo di iposviluppo definito “nanismo psicosociale”. In conclusione: tutta una serie di studi ed esperimenti pare confermare che la condizione primaria per lo sviluppo dell’individuo sia la possibilità di scambio affettivo con l’altro, in mancanza del quale lo sviluppo organico è limitato o addirittura sono compromesse le possibilità di sopravvivenza. Sono d’accordo con Stern quando dice che ciò di cui ha bisogno il neonato (io aggiungo anche l’embrione e il feto) è l’empatia, lo scambio affettivo con l’altro, sia questo rappresentato oppure no dalla coppia dei genitori biologici. Che si chiami benessere da contatto o in qualunque altro modo mi pare comunque di poter affermare che il bambino ha bisogno dell’amore. Tutti gli altri istinti sorgono successivamente alla soddisfazione di questo primario bisogno.

Il padre e la madre si trovano quindi a dover far fronte prima di tutto a questa richiesta. Poi viene fuori la scelta delle modalità in cui questa esigenza viene soddisfatta. Il risultato ultimo sarà quello di formare uomini e donne con una precisa identità, che avrà inevitabilmente connotati conseguenti al tipo di formazione. Oggi purtroppo non siamo neppure ben sicuri di cosa voglia veramente dire essere maschio ed essere femmina.

La psicoanalisi ha cercato di dare una risposta con Jung, il quale ha stabilito che l’uomo e la donna avessero caratteristiche psichiche ben precise e diverse fra loro. Per Jung la psiche femminile produce capricci, mentre quella maschile esprime opinioni; la donna ferma la sua attenzione al particolare, mentre l’uomo considera l’aspetto generale delle cose, la donna si realizza nella casa e nella famiglia mentre l’uomo tende alla realizzazione sociale e alla speculazione scientifica. Uomo e donna però hanno anche ciascuno un aspetto in cui si concentrano caratteristiche psichiche tipiche del sesso opposto: l’animus maschile in lei e l’anima femminile in lui. Il problema non è tanto di credere che questi due tipi psicologico-sessuali siano davvero tali oppure no; ma è piuttosto quello di giudicare quanto eventualmente ha influito il condizionamento culturale e sociale, conscio o inconscio, nella formazione dell’uomo e della donna quali oggi sono in realtà. Oggi possiamo soltanto dire che maschio e femmina sono due tipi di personalità insicure della loro identità e delle loro funzioni: due diverse patologie. Il nostro sforzo deve tendere fin da subito a liberare i nostri figli dalle angosce che ci affliggono, aiutandoli a diventare persone e rifiutandoci di riversare su di loro stereotipi che ci sono stati imposti e da cui non siamo mai riusciti a sentirci davvero appagati. La scienza, anche quella che si occupa della vita pre-natale deve avere presente fin dall’inizio quello che è l’obiettivo finale ed impegnarsi per realizzarlo.