Psicoanalisi contro n. 6 – Il padre e le altre figure significative

maggio , 1995

Il padre è una figura molto importante per il suo ruolo e per il posto che occupa nell’inconscio sociale, eppure rimane molto difficile da definire.

La funzione del maschio nella procreazione non è stata subito riconosciuta, anzi il riconoscimento del ruolo maschile nel concepimento è stata un’ acquisizione piuttosto lenta. Questo benché io sia personalmente convinto che una certa consapevolezza sia sempre esistita nell’inconscio istintuale della specie; magari per una sorta di parallelismo intuito con le specie animali, intuizione però non recepita consapevolmente e non acquisita nell’inconscio sociale. Forse a causa del grande intervallo di tempo che trascorre dal coito al parto si pensò dapprima che fosse la donna da sola a generare, almeno così risulta da tracce archeologiche a noi pervenute di antiche società matriarcali del Mediterraneo e del Medio Oriente. In questi reperti appare la figura della Dea Madre signora assoluta della vita e della morte, affiancata in molti casi da uno o più paredri, figure maschili in forma di giovinetti a lei sottomessi, oggetti tra l’altro anche del suo piacere sessuale. Una della prime raffigurazioni a noi pervenute dall’Ellade arcaica mostra appunto una Era, dea sovrana, affiancata da un giovanissimo Zeus in atto di sottomissione. Il piacere sessuale non pare che fosse considerato in rapporto col potere di procreazione e al maschio veniva richiesto come espressione di una subalternità che comprendeva anche il dovere di difendere la donna e di procurarle il cibo ricorrendo alla caccia. Ovviamente è questa una ricostruzione tutt’al più probabile, ma non certa, e l’ipotesi del matriarcato quale l’ha formulata Bachofen nell’Ottocento è oggi riconsiderata e criticata da molti studiosi. Secondo questa linea di pensiero è successo in seguito che il maschio si ribellasse contro il potere della femmina, riuscendo vincitore, come è documentato dal passaggio dalle teogonie ctonie e matriarcali a quelle mitologie celesti ed olimpiche che vedono ad un certo punto Zeus, vittorioso, dominare su Era e sugli dèi e sugli uomini. Con il sopravvento del potere maschile passò di mano anche il potere di dettare la legge ed infatti in epoca storica, con l’avvento della scrittura soprattutto, è documentato questo potere anche legislativo del maschio: alla legge femminile si sostituì la legge maschile.

A questo proposito vorrei approfittarne per mettere in discussione una teoria che ha avuto grande peso nella storia della psicoanalisi e della cultura contemporanee: mi riferisco alla cosiddetta “legge del padre” di cui parla Jacques Lacan, grande psicoanalista francese di quest’ultimo scorcio di secolo, che io stimo moltissimo. Lacan afferma dunque che nella triade famigliare è il Padre che dà la legge, soprattutto con lo scopo di affermare il divieto di un possibile incesto tra il Figlio e la Madre. È questa ovviamente una simbolizzazione del rapporto che hanno tra di loro gli esseri umani. Io però non credo che questo sia vero, né a livello simbolico né in realtà. Questa mia contestazione si basa per così dire sulla osservazione sul campo. Di fatto, chi dà la prima legge è la donna, o meglio la madre. Fin dalla gestazione giungono all’embrione ed al feto messaggi che sono trasmessi dal corpo della madre; dal momento successivo al parto e lungo tutto il periodo della prima infanzia il bambino è manipolato dalle mani materne o di persone che hanno questo ruolo e che di fatto nella nostra società sono soprattutto donne. Dalla donna giungono al bambino, maschio o femmina, i primi condizionamenti, le prime inibizioni, le prime punizioni e le prime gratificazioni. È ancora alla donna, almeno nella nostra cultura, che viene affidato il compito delle prime forme di educazione pre-scolare e scolastica. La donna dunque, e per prima la madre, trasmette i primi contenuti della legge naturale e di quella sociale.

La legge maschile sopravviene in seguito, proprio come il maschio solo in seguito diventò il Dio supremo. La legge del padre viene dopo, la prima legge è quella della madre. Nella nostra cultura la legge del maschio è quella formale; nella famiglia, reale e sinbolica, il padre è il braccio armato della madre, l’esecutore della punizione. La fatidica frase che ha segnato l’infanzia e la giovinezza di tutti è quella della madre che dice: “Bada che lo dico a tuo padre”. L’inconscio sociale non ha ancora oggi superato la fase matriarcale e non ha ben chiaro il ruolo e l’identità del padre. Come già testimoniava l’antico diritto romano solo la madre è “semper certa” mentre il padre resta “incertus”.

Il padre per il momento non esiste, esiste solo il marito, il compagno della madre. Il padre è sì presente, come fan­tasma, nell’inconscio istintuale ed individuale, ma fatica ad esistere come figura reale.

Nell’inconscio sociale la figura del padre è ancora in via di formazione ed anche chi ha generato non sa ancora bene percepire il proprio ruolo, al di fuori di quelle che potremmo dire siano le funzioni di “parata”. Il risultato di questa situazione è che mentre la madre è data, il padre può essere scelto e può scegliere se stesso. Un figlio può sempre rifiutare il padre, simbolicamente e realmente, se lo vuole, mentre non può rinnegare la propria madre. Si viene così a costituire una ricchezza di potenzialità per il padre che ha la possibilità di costruire la propria figura e di farsi scegliere per amore. Anche la madri hanno bisogno di imparare nuovamente il loro ruolo, devono sostituire alla figura necessaria ed imposta una figura che venga scelta per amore. Padri e madri debbono liberarsi dalla condanna di non esistere o di essere figure imposte, debbono uscire dalla crisi di identità di cui attualmente soffrono. Questa crisi di identità è per il momento molto evidente nell’atteggiamento del padre verso la donna e il figlio nel periodo della gestazione, che per comodità, ancora una volta, proveremo a classificare, in quelle che possiamo considerare tre tipologie, molto generali.

Il primo tipo è quello del maschio che si identifica con la donna incinta, segue con atteggiamento patologico tutto il periodo della gestazione (personalmente ho riscontrato casi che si potrebbero definire vere e proprie “gravidanze isteriche” del maschio) che prosegue fino al momento del parto a cui prende parte con una partecipazione a dir poco eccessiva, tutto sommato espropriante per la donna. Il secondo tipo è quello del maschio che prova repulsione per il corpo della donna gravida, al quale fanno ribrezzo le modificazioni del suo ventre, che non sopporta la vista dei suoi organi genitali. Ha orrore di quel corpo che si trasforma anche se talora si sforza di nasconderlo ostentando carezze e premure. Il terzo tipo è un tipo misto in cui due atteggiamenti sopra descritti sono compresenti, contemporaneamente o alternata­mente, in un’alternanza davvero bipolare.

Nessun maschio reagisce con indifferenza alla gravidanza della propria partner e quasi sempre il nascituro e persino il neonato è in parte respinto dall’inconscio maschile. Non deve trarre in inganno a questo proposito la grande presenza di veri e propri “mammi” nella nostra società: uomini che sembrano compiaciuti di sostituirsi al ruolo materno, fino ad espropriare la madre reale di ogni prerogativa. È questo un atteggiamento nevrotico che copre conflitti inconsci profondi. Ad un’osservazione esteriore comunque risulta oggi ancora prevalente il padre che ostenta per il figlio in arrivo un interesse soltanto rituale e che si riserva di entrare dav­vero in comunicazione con lui, dopo che avrà superato i primi anni di vita e sarà in grado di stabilire un rapporto in qualche misura autonomo.

Se il padre ed il suo atteggiamento sono determinanti per creare le condizioni più o meno positive di una gestazione, vi contribuiscono però anche altre figure del gruppo famigliare e sociale, ed in particolare agiscono le figure delle madri dei due genitori. La madre della donna incinta si caratterizza quasi sempre per il sentimento di invidia che, quando l’età lo permette, la spinge a ricercare a sua volta una gravidanza che le offra l’opportunità di una sorta di concorrenza diretta con la figlia. Quando ciò non si verifica si opera il tentativo di sostituirsi alla figlia nel ruolo materno, esaltando i vantaggi di un’esperienza e di una pratica antecedenti, di una maggiore capacità di giudizio, fino ad espropriare letteralmente la madre naturale del bambino, che viene addirittura colpevolizzata se cerca di intromettersi o appena compie qualche presunto errore. Lo stesso sentimento di invidia può spingerla ad igno­rare con ostentazione la nuova realtà in cui la figlia si trova fino a farle provare un vero e proprio sentimento di abbandono e di solitudine.

La madre del partner maschile si caratterizza per un sentimento ben preciso: la gelosia, che può essere più o meno controllata. Il fatto è che le madri non riescono ad accettare completamente che il proprio figlio riceva un figlio da una donna diversa da loro. Inconsciamente il desiderio sa­rebbe stato di poter dare loro un figlio al loro figlio; questo desiderio nasconde anche il desiderio sessuale inconscio, mai completa­mente superato, della madre per il proprio figlio maschio.

La gestante reagisce a queste situazioni ambientali spesso con grave sofferenza psichica, patendo per l’espropriazione che si tenta di operare del suo ruolo. Qualche volta la reazione è addirittura di totale estraniamento: la gestante lascia che siano gli altri, primi fra tutti il partner e le consuocere, a sbrigare le questioni prima della gestazione e poi dell’ allevamento del neonato.

In un cerchio più esterno si trova l’ inter-azione tra la gestante ed il gruppo delle cosiddette “amiche” con le quali le dinamiche sono complicatissime nelle due direzioni. Gli esiti più nefasti sono le reazioni estreme di onnipotenza o di abbandono. Se prevale il sentimento di onnipotenza vedremo madri che si isolano già durante la gestazione e poi ancor di più dopo la nascita del figlio che viene considerato una proprietà da custodire gelosamente, da mettere al riparo dall’invadenza e dall’aggressività del mondo, un atteggiamento simile a quello delle femmine di alcune specie animali. Sono donne che vedono negli altri solo pericolo e che pensano di essere le uniche capaci di capire il loro figlio e le sue necessità: da quelle più elementari come il cibo e il sonno, a quelle affettive. La donna che si arrende e abbandona cade invece sovente in un vero e proprio stato depressivo di negazione del suo ruolo e del figlio stesso.

Ovviamente io vorrei dire che ci sono anche le condizioni di gestazioni serene. Tutti i conflitti ai quali ho accennato sono però presenti in misura più o meno accentuata e non è negandoli che si può aiutare la gestante a superarli. La psicoanalisi può aiutare la donna in attesa a guardarsi dentro e ad imparare a riconoscere la natura profonda delle proprie pulsioni e a controllarle, cercando insieme con l’analista di garantire al figlio che vive in lei le condizioni migliori per una vita felice nel presente e nel futuro.