Psicoanalisi contro n.1 – La diagnosi e la persona (Sezione quarta)

maggio , 1993

IV.1 GLI AVARI E I PRODIGHI

Per parlare della relazione diretta tra l’uomo e il danaro vorrei partire da Ari­stotele, il quale nella sua Etica Nicoma­chea, trattando i problemi dei rapporti tra le persone e di queste con le cose, men­ziona una virtù fondamentale che lui chia­ma “medietà” che però .qui ha secondo me íl significato di perfezione. A proposito della ricchezza egli afferma che il giusto rapporto di generosità può subire due tipi di degenerazione: la prodigalità e l’avari­zia, eccessi tra i quali essa rappresenta il “giusto mezzo”. Questi sono i tre atteg­giamenti possibili dell’uomo verso la ric­chezza, che consiste in quella somma di beni che hanno il danaro come misura del loro valore. Per Aristotele l’uomo genero­so è quello che non ama la ricchezza, ma tuttavia non la disprezza; è uno che desi­dera dare, ma non dà soltanto per il pia­cere di ostentare; è infine uno che sa godere delle proprie ricchezze, ma -nel ri­spetto degli altri. Il generoso è insomma colui che sempre sa cosa è conveniente o non è conveniente. Il prodigo invece è co­lui che è vittima di uno smodato desi­derio di sperperare la propria ric­chezza: colui che dà senza fare i conti. Avverte Aristotele che il prodigo è costretto a prendere molto per po­ter continuare a dare illimitatamente e quindi sottolinea un sottile rapporto tra prodigalità ed avidità. I prodighi comun­que sono secondo il filosofo ateniese più vicini alla virtù degli avari, perché la loro disposizione a dare agli altri può abba­stanza facilmente essere corretta ed indi­rizzata verso la generosità. L’avaro invece è incurabile: ci sono situazioni dell’esi­stenza, come la vecchiaia, che rendono gli uomini naturalmente avari. In ogni età però l’avarizia è più connaturata agli uo­mini della prodigalità e più difficilmente correggibile, perché gli uomini desiderano naturalmente più avere che dare, più pos­sedere ed accumulare che distribuire agli altri.

Altri hanno parlato della prodigalità e dell’avarizia. Dante colloca nel Canto VII del suo Inferno gli avari e i prodighi, con­dannnati a scontare insieme la stessa pena (precedendo in ciò l’intuizione della psicoanalisi della grande affinità tra gli opposti il costretti a spingere col petto pesanti massi su per un pendio, avvolti nella bruna caligine infernale. Shakespea re nel Mercante di Venezia ha disegnato una figura memorabile di avaro nel l’ebreo Shylock, alludendo al rapporto simbolico che esiste tra avarizia e castrazione: l’usuraio è destinato incrollabilmente a riscuotere quella libbra di carne ad Antonio se non gli verrà restituito il prestito di cui quest’ultimo si è fatto garante e diventa furioso quando la legge lo priva della sua vendetta e del suo oro imponendogli di prelevare la libbra di carne che gli spetta senza versare una goc­cia di sangue cristiano.

Molière ancora ci ha proposto un vero e proprio eroe dell’avarizia nel personaggio di Arpagone, che assume grandezza tragi­ca capace di commuovere tanto dimostra di amare nel danaro la stessa vita.

Forse dovremmo chiederci perché il perso­naggio dell’avaro abbia ispirato pagine così sublimi. La prodigalità non ha ottenuto lo stesso tributo letterario di grandezza, in fondo si pensa a gente sciocca che butta le stoviglie preziose nel Tevere, come faceva­no i principi Chigi, dalle finestre del loro palazzo sul fiume, o ai nobili veneziani La­bia che andarono in miseria gettando l’oro in laguna, paghi di una frase di vano orgo­glio in vernacolo che suonava pressapoco così: “Che l’abia o che non l’abia mi sarò sempre un Labia!” In tempi più vicini a noi viene ancora in mente la frivola prodigalità di D’Annunzio, musicista oltre che grande poeta, munifico e scialacquatore, perciò sminuito anche nelle sue virtù da una mo­rale borghese e riduttivista.

Io dividerei gli avari in due tipi fonda­mentalmente: 1) l’avaro che teme di dare; 2) l’avaro che vuole prendere. L’avarizia è uno dei sentimenti più misconosciuti: in genere gli avari sostengono di essere per­sone che amano la giustizia, per questo sono sempre in atteggiamento preventivo verso la possibile ingiustizia altrui, giusti­ficando così la loro impossibilità di dona­re. Al bar con gli amici costoro si trove­ranno sempre senza portafoglio o con banconote di grosso taglio che il cas­siere difficilmente potrà cambiare, avranno sempre scordato il pacchetto di sigarette nell’altra stanza e quella che stanno fumando sarà l’ultima che avevano in tasca e così via. L’avarizia che questo timore di dare esprime è per lo più un segno di carenze affettive e derica da un’educazione impartita da genitori oppure educatori avari: che continuamente soppe-sano, che sadicamente osservano, scru­tano. L’avaro che vuole solo prendere è un avido,-che cerca sempre di avere qualcosa in -Tifi: un dono, una porzione di cibo, un pezzo di terra, uno sconto eccezionale; uno che ai buffet si soffoca nell’ansia di acca­parrare più cibo che può. All’origine c’è sia una carenza, sia una vera e propria in­stabilità affettiva, un bisogno insoddisfatto dell’amore dei genitori: personeCostoro generalmente frigide, abituate a dare trop­po poco e distrattamente. Come si vede, i due atteggiamenti, apparentemente diversi nelle loro manifestazioni esteriori, sono poi uniti nella violenza con cui si relazio­nano al mondo e agli altri.

La prodigalità è più rara, come ho già det­to, e viene addirittura esibita. Siamo in molti a dire con orgoglio: “Io ho le mani bucate. Io non so dire di no.” In realtà il prodigo non, dà per il piacere di dare ma  per desiderio di fagocitare ed umiliare l’al­tro al quale ostenta di donare, obbligando­lo alla riconoscenza. Inoltre se è un narci­sista dona solo ciò che piace a lui senza te­nere conto dei gusti dell’altro, se è invece sadomasochista,sarà attento a scegliere ciò che commuove chi riceve per poter godere di un potere di ricatto assoluto, anche af­fettivo. Il prodigo è figura socialmente più accetta dell’avaro perché da lui gli altri pensano, in genere sbagliando, di poter trarre vantaggio.

Avarizia e prodigalità sono dunque due modi malati di rapportarsi alle cose e alle persone ancora una volta con­seguenza di atteggiamenti di difesa narci­sistica o sadomasochistica. La generosità di cui parlava Aristotele realizza invece quello che secondo la mia metapsicologia è il modo erotico di relazione in rapporto al dare e all’avere ricchezza; la sola possibilità di spezzare la gabbia della malattia.

Corollario di un discorso sull’avarizia e sulla prodigalità può essere una riflessione che ad esse colleghi l’invidia. L’avaro e il prodigo sono spesso invidiosi di ciò che gli altri hanno e della loro ricchezza che cercano di negare. L’invidia ha poi per og­getto ponsolo le ricchezze materiali, ma anche le ricchezze affettive. Si puo invi­diare l’amore di cui gli altri sono ricchi ne­gandolo. Un modo di negare l’amore è quello di svalutarlo chiamandolo plagio. Un tempo il codice penale del nostro paese  era alleato di questi invidiosi che ave­vano grandissima facilità di linciaggio mo­rale nei confronti di quelle forme di inna­moramento reciproco troppo clamorose per poter essere accettate dal senso comu­ne, condizionato consapevolmente ed in­consciamente dall’invidia più di quanto non si voglia credere.

IV.2. “IL BERRETTO A SONAGLI”

“A che ora ci vediamo domani mattina?” “Alle 9.15.” Questo è un patto. Talvolta ac­cade che uno dei due alle 9.30 non sia an­cora arrivato all’appuntamento. Può essere successo di tutto: il traffico, i contrattem­pi… sta di fatto però che ci sono persone abitualmente non puntuali, che hanno cioè l’abitudine di tradire quel, sia pur minimo, patto. Tradimento è non te­nere fede alla parola data. Ci sono parole date disattese per convenzione, come quelle dei politici nelle loro campa­gne elettorali. Sono abituali tradimenti quo­tidiani che impoveriscono un poco la vita di ogni giorno e le motivazioni di un tale modo di comportarsi sono sempre giustifi­cazioni che non vale neppure la pena di confutare. Il tradimento dunque è sempre presente: quasi tutti siamo piccoli traditori, malgrado l’antico detto latino ci avverta che “pacta sunt servanda”, i patti vanno ri­spettati.

È ancora una volta Dante che nel suo In­ferno stigmatizza, condannandolo, il com­portamento dei traditori, mettendo nel IX cerchio Lucifero, che mastica i tre tradito­ri per antonomasia della storia passata: Giuda, che tradì Gesù Cristo, insieme con Bruto e Cassio, i traditori di Giulio Cesa­re. Giotto nella cappella degli Scrovegni, a Padova, fissa con la sua pittura il mo­mento tragico del Bacio di Giuda in una scena rigida, netta, senza sfumature: i due volti di Gesù e di Giuda si fronteggiano l’uno con gli occhi dolcissimi e infinita­mente tristi, l’altro coi lineamenti legger­mente sordidi e porcini. L’antica Grecia nella storia e nelle tragedie è ricca di tra­dimenti; basti pensare al mito degli Atridi: Atreo e Tieste hanno due figli, Agamen­none ed Egisto, che sono quindi cugini. Agamennone dopo il tempo speso all’as­sedio di Troia, ritorna vincitore alla sua reggia, ma trova la moglie Clitemnestra che lo uccide per coprire l’adulterio per­petrato con Egisto negli anni dell’assenza del marito. Il delitto si consuma nell’inti­mità di un bagno che avrebbe dovuto es­sere ristoratore e che è solo l’ultimo gesto di tradimento. I figli di Agamennone so­gneranno la vendetta che si compirà con­tro i due adulteri e segnerà i destini di Elettra ed Oreste. ,Se il tradimento è così diffuso da sempre c’è chiedersi quali sia n-6-1-Cragioni dell’orrore e della vergo- na che lo g circondano. La spiegazione più ovvia è che il tradimento ses­suale può essere l’origine di una discendenza spuria: è il maschio soprattutto che sente messa in pericolo la certezza che il figlio che viene alla luce sia sangue del proprio sangue. Un dubbio che rende an­cora più drammatiche le conseguenze dell’espropriazione derivante dall’infe­deltà sessuale. Se a tradire è il maschio o il marito la donna  percepisce il tradimento come espropriazione, ma il giudizio del gruppo sociale è più indulgente, se non ad­dirittura comprensivo e corrivo, perché non si percepiscono.-pericoli per la  poste­rità. La donna che ha più uomini oltre che una traditrice è considerata anche immora­le e lussuriosa ed equiparata alla prostitu­ta. Il nostro inconscio sociale svaluta la sessualità femminile e valorizza invece quella maschile anche quando e collegata all’infedeltà coniugale o sentimentale. La prostituta è stata nei secoli variamente emarginata dal tessuto sociale ed ancora oggi la sua attività di meretricio è relega­ta in zone ben precise delle città. Per una specie cli_c_ontrappasso però il ~a- dito è disprezzato, mentre alla femmina vittima dell’infedeltà coniugale è riservata per lo più compassione. L’umiliazione per il maschio lo svilisce, relegandolo nel ruo­lo grottesco del “cornuto” che è pronto a tutto per negarlo: ci insegna Pirandello che è meglio indossare “Il berretto a sonagli” del folle che avere la fama del marito tra­dito. In opposizione a quello che è il giu­dizio morale esplicito.si prova però quasi sempre una segreta invidia per maschio donnaiolo e pér omiseduttrice.

IV.3. PATTI CHIARI

I patti debbono però essere sempre rispet­tati a qualunque costo? No: perché biso­gna distinguere tra patti giusti e patti in­giusti e sono questi i patti solo apparenti poiché uno dei due contraenti si trova in una posizione di strapotere sull’altro riuscendo così ad imporgli patti che liberamente quello non accette­rebbe. I patti quindi sono da rispettare solo quandoeSiste una parità o libertà contrai- contrattuale tra i due patteggiatori. Un patto stret­to con questi presupposti può anche altret­tanto liberamente essere sciolto senza che nessuna delle due parti in causa debbe sen­tirsi tradita. Al contrario ci sono patti che stipulati come trattati tra due parti politi­che vengono stracciati alla luce del sole e sono palesemente patti traditi. In ogni caso il giudizio è negativo soprattutto quando il tradimento è perpetrato nell’ombra, -ben­ché spesso questo comportamento sia per ragioni di forza maggiore soprattutto il tra­dimento del più debole contro il più po­tente, come se-la sua -segretezza lo ren­desse più vile del gesto violento ed osten­tato di chi sicuro del proprio strapotere spezza pubblicamente il patto. Grande­mente condannato dalla tradizione è anche il tradimento dell’ospitalità. Oggi questa -condanna è meno significativa, anche per­ché la struttura della vita famigliare ri­stretta negli spazi del più o meno piccolo appartamento borghese rende meno solen­ne il rito dell’ospitalità: In ogni caso l’ospite è sacro ancor oggi, a lui si tende la mano per dimostrare che non si nascondo­no armi, con lui si brinda per assicurarlo che nella coppa che ha attinto dalla stessa brocca non si nasconde veleno. L’ospite va protetto e rassicurato come un bambino bisognoso di tutto. Accade poi che a volte il fratto tradito sia quello per cui un maschio e una femmina hanno deciso insieme di mettere al mondo un figlio. Lo hanno fat­to per ragioni svariate, per rafforzare un rapporto di coppia, per superare un mo­mento di angoscia, per vendetta contro uno dei partner, qualche volta anche per amo­re reciproco e per il figlio desiderato. Ac­cade però che quando il patto che ha legato l’uomo e la donna al momento del concepimento viene meno, il primo ad essere tradito sia il figlio: improvvigainente ridotto a strumento di ricatto, molto spesso abbandonato, qua­si sempre privato dell’amore al quale ha diritto, proprio in nome di quel patto che lui non ha potuto stipulare e che lo mette alla mercé dei genitori. Questo è un tradi­mento al quale si aggiunge la vigliacche­ria. Un tipo di tradimento che, dopo Giuda e San Pietro e anche prima, si è perpetrato spesso, ma che gli uomini tendono a misconoscere è il tradimento del Maestro. Questo tipo di tradimento comprende ed aggrava quello dell’amicizia, già gravissi­mo di per sé.

Contrariamente a quanto si potrebbe pen­sare io non credo però che la fedeltà assoluta ed irragionevole sia sempre una virtù. Ci sono situazioni, persone ed idee alle quali spesso non è giusto rimanere fedeli ad ogni costo. La fedeltà degli imbecilli è socialmente e culturalmente pericolosa, perché non sa più giudicare se il patto è ancora valido o se è stato fraudolento sin dall’inizio. Una forma di tradimento è an­che quella che permette il progresso del mondo in cui viviamo: l’abbandono di fedi politiche, di convinzioni scientifiche che rivelano la loro insufficienza, di insegna­menti nocivi, di amici disonesti non può che essere segno di miglioramento. Im­portante è che non si tradisca in malafede o per viltà.

IV. OTELLO

Di quale utilità è che il mondo vada avan­ti? Non so bene come rispondere; ma so che io mi sono ribellato ed ho tradito. Ri­bellato a ciò che ad un certo punto ho ri­tenuto ingiusto, tradito principi in cui non potevo più credere. C’è un luo­go comune della nostra cultura se­condo il quale l’importante è comunque non tradire seste si. Ma cosa vuol dire tradire se stessi? E facile affermare di essere fedeli a se stessi; ma in realtà il no­stro comportamento è sempre una risposta a stimoli che ci vengono da altri. Essere se stessi vuol semplicemente dire che esiste una realtà di fatto in cui siamo calati, nei confronti della quale proviamo piacere o disagio, accettazione o rifiuto e nella qua­le cerchiamo di orientarci per eliminare il disagio e trovare il piacere. Si diventa tra­ditori di se stessi se si rinnegano per viltà principi di bene e di male che si sentono profondamente radicati; se si assimila pas­sivamente per opportunismo l’opinione corrente. In ultima analisi non si tradisce mai se stessi, ma sempre qualcuno o qual- cosa che è fuori di noi e col quale entria­mo in rapporto.

Il tradimento, e in particolare quello ses­suale, introduce tra gli altri il problema della gelosia, nella quale si mettono in atto dinamiche psichiche complesse che si ma­nifestano attraverso due modalità principa­li: 1)la_gelosia_proiettiya: l’uomo e la don­na hanno un profondo desiderio di tradire il proprio partner, per attenuare il rimorso causato da questo desiderio, anche se irrealizzato per rispetto delle convenzioni o per timore delle possibili conseguenze de- strutturanti, si proietta lo stesso desiderio sul partner -e si fantastica che sia l’altro a tradire; 2) la gelosia paranoide, in cui ol­tre al delirio sulle possibili congiure tra­mate per perpetrare il tradimento, si  una componenente omosessuale: si diventa gelosi della possibilità che il part­ner ha di rapportarsi sessualmente con in­dividui dell’altro sesso; così il maschio ac­cusa la femmina di avere rapporti con al­tri maschi, perché in realtà quei rapporti proibiti vorrebbe averli lui e lo stesso vale per la femmina. Freud nel suo scritto su Il tramonto del complesso di Edipo, specifica meglio le differenze che ci sarebbero tra la gelosia del maschio e quella della femmina per il fat­to soprattutto che nella gelosia femminile avrebbe una parte importante la “invidia del pene”. Anche la gelosia ha tradizioni antiche ed è stata celebrata nei miti e nel­la letteratura. Era è una dea gelosissima dello sposo Zeus, così poco fedele e così esuberante; Efesto è egualmente geloso della bellissima Afrodite, sua sposa, piut­tosto frivola e spesso le gelosie si incro­ciano tra divinità dell’Olimpo, semidei e semplici esseri umani.

C’è una gelosia molto carnale e quotidia­na, come quella narrata in un “mito” di Eronda, del II secolo a.C., della vecchia matrona verso il giovane e bello schiavo che lei ordina dapprima che venga messo nudo e punito e al quale però fa poi co­prire le parti più intime perché gli altri non possano vedere ciò che solo a lei deve ap­partenere.

Un altro personaggio simbolico della ge­losia è Otello, prima descritto da Shake­speare nella sua tragedia e poi celebrato tra gli altri anche da Verdi con la sua musica. Su Otello si sono costruite interpretazioni elaboratissime: da quella che lo vede come un bruto geloso della bella moglie che strozza per pura violenza, ,a quella che ipo­tizza che il vero_geloso_per-amow siaTan­tagonista lago, innamorato non di Desde­mona, ma di Otello stesso; Pai-s andò per tutte le sfumature dei sentimenti fino a quella che vede il Moro di Venezia come un eroe sublime che per solo amore vuole morire insieme alla donna che non può cessare di amare. Si gioca molto nella no­stra cultura a tentare di distinguere tra ge­losia carnale, che ha per oggetto il corpo amato e gelosia spirituale che pretende per sé solo la fedeltà dei sentimenti. Questa pretesa di isolare gli effetti di un tradi­mento  limitato all’atto sessuale è molto spesso una malafede della moderna vita di società. In realtà io penso che la gelosia sia un sentimento ineliminabile e totale.

IV.5 . L’INVIDIA

Ho meditato a lungo sulla gelosia, un sen­timento che sembra far parte della tradizio­ne culturale ed ho finito per convincermi della sua universalità, senza eccezioni. Cer­to, ci sono persone che negano di essere ge­lose, ma questa negazione appare solo un tentativo vano di nascondere i propri veri sentimenti. Anche gli animali sono gelosi: il mio cane non tollera che io dedichi le mie attenzioni ad altre persone o ad altri animali e la sua natura mite si trasforma in aggres­sività e violenza se accade che in sua pre­senza mi occupi troppo degli altri. Non cre­do neppure che nel cane questo sia solo il risultato di una imitazione del comporta- mente dell’uomo con cui vive a stretto con­tatto. Gli etologi ci riferiscono la presenza di sentimenti analoghi in animali cosiddet­ti selvatici o feroci. Non credo per questo che un comportamento naturale, cioè ri­scontrabile in altre specie non umane e quindi non condizionato culturalmente, debba essere necessariamente accettato come giusto o_ buono. Ci sono nella natura situazioni inaccettabili per la società degli esseri umani e nessuna etologia mi convin­cerà che sia bene riprodurli sempre e pari pari nelle relazioni delle società civili. Inol­tre la gelosia può fissarsi anche sugli og­getti e non solo per una trasposizione del sentimento puro e semplice del possesso, ma anche colorata di contenuti affettivi, sentimentali addirittura. Io ho sofferto mol­to quando ho cambiato il mio vecchio pia­noforte – sul quale avevo passato anni di studio – con uno strumento nuovo, indub­biamente migliore e più adeguato alle mie necessità d’uso: pensavo con nostalgia al vecchio strumento e non sopportavo l’idea che fosse suonato da mani estranee che “lo avrebbero fatto soffrire”.

Venne nel mio studio una ragazza, in uno stato di disastro psichico notevolmen­te avanzato: viveva con la madre e il fra­tello, ma ad un certo punto il fratello si era sposato e lei era andata a vivere con la co­gnata. Era particolarmente affezionata ad alcuni oggetti che collezionava da anni con passione, fra questi c’era un tavolinetto an­tico al quale sedeva per studiare e nei cui cassetti riponeva le cose più personali. Cambiando appartamento, nell’imposta­zione dell’arredamento le venne in mente di offrire proprio quel tavolino alla cogna­ta, la quale se ne era appropriata giubilan­do e senza troppo nascondere la soddisfa­zione per il fatto di essere trattata come la regina della casa. È inutile che stia qui a ri­fare un percorso che passando per il tavo­lino, riguardava la gelosia per il fratello, l’espropriazione, l’invidia per la cognata, il fatto grave fu che la ragazza non resse e crollò, perdendosi in un delirio paranoico che le aveva distrutto letteralmente la vita.

Dunque la gelosia è un sentimento com­plesso in cui si fondono l’invidia e il senti­mento di possesso, provati per un essere vivente o anche per un oggetto, caricato simbolicamente di proprietà affettive auto­nome. Questa catena che unisce il senti­mento del possesso e l’invidia si radica nell’originario stato di bisogno in cui il bambino si trova a nascere: subito egli ha bisogno di sentire in suo possesso l’adulto che si prende cura di lui e, se non lo ottie­ne, sente che è in pericolo la sua stessa vita. Il possesso ovviamente può realizzarsi solo sotto la forma della sicurezza affettiva che a sua volta deriva in genere da un analogo sentimento di possesso da parte dell’adul­to. I due termini originari sono reciproca­mente possessori e posseduti e su questo principio si basa la sicurezza della soprav­vorenza: -Questo sentimento di possesso non tollera concorrenze che mettano in discussione la sicurezza da cui di­pendono l’amore, il sostentamento,

la vita, per cui si deve subito lottare. Nes­suna presa di coscienza, io credo riuscirà ad eliminare, nonostante le velleità della psi­coanalisi, questo atteggiamento di lotta per la vita che è all’origine della gelosia.

Anche a proposito della gelosia vale il di­scorso delle due modalità fondamentali di esprimersi: 1) la gelosia narcisistica è quella_ di-chi non tollera,ad esempio, che in un_ gruppo ci sia un altro come lui, del quale allora diventa subito geloso, che cer­ca di allontanare o di schiacciare. È que­sto il tipo dell’amicone, che in un gruppo è l’animatore assoluto: è lui che racconta le barzellette, che prepara la spaghettata, che organizza il viaggio in India. È un tipo chiacchierone, fa il cucciolone, ma non tollera altri cuccioli intorno. In genere non sopporta di dividere alcunché con gli altri e difficilmente si dimostra capace di ama­re davvero qualcuno, inoltre è molto vani­toso; 2) la gelosia sadomasochistica è quella di chi provoca le tensioni per in­fliggere Sadicamente ai partner il tormento e il rimorso. TI-geloso sadomasochista ha il gusto di tormentarsi fantasticando tut­te le possibili situazioni che lo vedono vit­tima di un tradimento, ect_e fortemente voyeurista.

Nella realtà culturale in cui viviamo la ge­losia può essere non solo inevitabile, ma se consapevolmente gestita addirittura utile all’amore. Può infatti servire a confermare l’innamoramento, proprio sottolineando l’interesse che proviamo per qualcuno, nel desiderio di possesso che ne consegue. La certezza di amare e di essere amati non può che avvicinarci alla salute psichica. La ge­losia deve oggi svolgere il ruolo di ancella di Eros, il quale è l’amore che è di là da venire: l’amore senza gelosia, quello che ci fa sentire una.sola con l’altro, privo di invidia, timore, possessività, un amore che forse conosceremo solo jn Paradiso.