88 – Dicembre ‘92

dicembre , 1992

Queste nostre recensioni si riferiscono ad alcuni locali tradizionali e moderni. È di questi tempi la presa di posizione di diversi ristoratori i quali contestano e rifiutano appunto le “recensioni” delle guide, dicendo che il loro lavoro non deve essere sottoposto a giudizio perché essi stessi si considerano operatori economici sui quali il giudizio eventualmente negativo non potrebbe che avere il risultato di danneggiare un’impresa commerciale. Inoltre sostengono costoro il diritto di ribellarsi che a giudicare il loro operato siano esperti di cucina la cui preparazione non sarebbe poi così indiscutibile.
Noi farfalloni siamo indignati da questi atteggiamenti: infatti su queste stesse pagine, anche consapevoli di quanto la nostra azione potesse apparire provocatoria, abbiamo voluto mettere sul medesimo piano concerti, libri, mostre d’arte ed esperienze da noi vissute della ristorazione romana e laziale; proprio perché siamo convinti che l’arte gastronomica non sia inferiore a quella pittorica o musicale. L’essere umano possiede cinque sensi, si dice, all’occhio parla l’arte figurativa, all’orecchio quella musicale e poetica, al gusto, al tatto e all’olfatto parla l’arte culinaria. Per noi i grandi cuochi sono grandi artisti, che costruiscono sinfonie di sapori. Il teatro, le mostre d’arte ed i concerti sono oggetto da sempre di critica da parte di cosiddetti esperti più o meno legittimati a questa funzione, e che da sempre sono incappati come tutti sanno in gaffe imperdonabili. La Grande fuga, per quartetto d’archi, di Beethoven è stata ritenuta da molta critica il prodotto di un sordo demente; oggi tutti riconoscono che è una delle pietre miliari della cultura musicale dell’occidente. Nessuno ha diritto di sottrarsi alla critica o di pretendere che il critico sia all’altezza dell’artista che giudica. Anche il discorso economico, che ha un suo valore e che pure riguarda tutti gli aspetti dell’ arte e non solo quella gastronomica, non può prescindere dalla critica, che può anche, quando è favorevole, promuovere un artista o un settore. Certo, noi non siamo d’accordo con quei pretesi «intenditori» del teatro alla Scala, che fischiano scandalizzati Pavarotti se fa una stecca nel Don Carlos: bisogna sempre tenere conto del risultato complessivo delle prestazioni di un artista, e nel caso specifico il cantante – che a noi non è mai piaciuto – è da biasimare non per l’infortunio singolo, ma perché affronta male un ruolo al quale non è adatto. Neppure accettiamo di dover visitare un ristorante molte volte prima di esprimere un giudizio; come non assistiamo a dieci repliche di un concerto o di uno spettacolo teatrale: ogni singola esperienza ha il suo valore e il giudizio del pubblico o dei commensali è ogni volta legittimo. Il ristoratore non è un bottegaio soltanto e noi consideriamo quella del cuoco un’esibizione di vere e proprie capacità artistiche.

Alberto Ciarla dà il proprio nome al suo ristorante, situato in un angolo della bella e popolare piazza San Cosimato, in Trastevere.
Noi ci siamo stati molte volte, ma vogliamo in particolare riferire della nostra ultima visita, a pranzo (ovviamente per pranzo intendiamo di mezzogiorno, visto che il nostro vocabolario prevede per il pasto serale il conciso termine «cena», mentre «colazione» è solo quella del mattino). Diremo subito che la nostra esperienza è stata positiva: qui il pesce è trattato con i sacramenti e servito e cucinato come meglio difficilmente si potrebbe. Ricordiamo l’eccellente proposta del pesce affettato ed affumicato in modo delicatissimo e l’insalatina di frutti di mare tiepida. Le ottime
zuppe di pesce e legumi, con e senza pasta, sono una gioia per il palato. Il baccalà alla romana qui diventa un piatto di sapiente raffinatezza, senza perdere nulla della sua rustica sapidità; i filetti di pesce sono perfettamente disliscati e tutto giunge in tavola alla giusta temperatura. Anche i dolci, sono di alto livello e ancora siamo ammirati della delicatezza della crema cotta e della mousse con salsa di fragole e lamponi. La cantina è ricca di proposte tutte qualificate e si possono anche apprezzare bottiglie nazionali di classe senza accedere nella spesa, come ci è accaduto con un Pigato di Albenga, erbaceo e delicatissimo, e con un Vermentino di Gallura, asciutto e profumato. Noi non pretendiamo certo tovaglie verdi o camerieri gay al ristorante, però preferiamo non dover rilevare tracce di sabbiolina nei fasolari, e una troppo accentuata presenza del sale in alcune preparazioni, senza contare che ci stupisce trovare in un ristorante di pesce l’offerta di panini all’uvetta, che costituiscono un abbinamento , davvero improprio e particolarmente inatteso da parte di un sommellier di alto livello quale il patrono Da sfatare la leggenda che vorrebbe questo posto troppo caro: sapendo scegliere, i costi restano contenuti, anche se ovviamente proporzionati alle materie eccellenti ed ad un servizio ed un ambiente di tono elevato.