85 – Settembre ‘92

settembre , 1992

Nei giorni di questo lavoro di preparazione del nuovo numero della rivista, tra la fine d’agosto e gli inizi di settembre, il panorama romano non offre ai Farfalloni molti stimoli o spunti interessanti. Fino a Ferragosto c’è stato un grande fermento musicale, teatrale ed artistico in genere, che ha visto presentare iniziative davvero interessanti. Vogliamo ricordare tra tutte la stagione del festival delle Ville Tuscolane sotto la direzione artistica di Pamela Villoresi, ha presentato spettacoli di grande suggestione nei bellissimi spazi di cui Frascati è ricca. Noi stessi siamo stati coinvolti in prima persona in ben cinque incontri di carattere eminentemente musicale, che ci hanno proprio divertito. Ci siamo però lasciati scivolare addosso tante altre iniziative sentendoci in vacanza e fruendole da semplici spettatori. Anche le nostre papille gustative hanno avuto bisogno di un po’ di riposo e siamo tornati allegramente a sollazzarci con gli amici in locali considerati «sicuri», ben noti e collaudati, che pure a Roma e dintorni non sono certo molti: cucina sapida e all’antica come quella del frascatano Cacciani; o più raffinata come quella di Benito a Velletri. Ci sono ugualmente occorse alcune disavventure, ma abbiamo preferito dimenticarle, lasciando riposare i nostri strali nella faretra. Ora ci troviamo a corto di argomenti. Ci stiamo guardando attorno un po’ preoccupati.

Vittorio Gassman è da anni un’istituzione del mondo dello spettacolo internazionale. I suoi classici, recitati con voce nasale e vibrante sono stati oggetto della satira televisiva e cabarettistica. Il suo modo sciolto e spigliato di muoversi davanti all’obiettivo cinematografico è conosciuto in tutto il mondo. Noi che al cinema lo abbiamo sempre ammirato incondizionatamente, siamo però stati meno entusiasti delle sue prove teatrali, anche se gli riconosciamo il merito culturale di aver portato al grosso pubblico i grandi nomi della letteratura teatrale. Mentre però la sua vicenda cinematografica ci sembra sostanzialmente priva di sviluppi fin dagli inizi, a teatro lo abbiamo visto passare da Manzoni e Sofocle, fino a Shakespeare e Dumas con un continuo lavoro di approfondimento: dal tonante registro trascinatore di folle degli inizi è passato a toni sempre più meditati e raffinati. Oggi in questo Ulisse e la balena bianca col quale dice di voler dare l’addio al teatro noi lo abbiamo trovato una splendida promessa per il futuro. Ormai pacificato con la propria energia e poesia, col gesto e la parola tanto maturi da non aver bisogno di forzare per comunicare quello che vogliono. Il copione che ha tratto da Melville e da altri, l’attore che questa volta è anche regista se lo è proprio cucito addosso. Nell’allestimento romano al famoso Studio 5 di Cinecittà lo spettacolo inizia già all’aperto con gli attori che agiscono tra gli spettatori come gli imbonitori di una fiera, tra musiche, danze e sketch di vario genere. All’ingresso nella «sala-nave» si è accolti dal suono di una banda (quella del corpo di polizia municipale del comune di Roma) che suona una marcia ironica e spensierata. Renzo Piano ha predisposto per il pubblico due schieramenti a destra e a sinistra del ponte principale della nave, ma all’interno della enorme struttura di legno che rappresenta il Pequod.
L’avvio quasi brechtiano, ricco di siparietti con prostitute e marinai, un’allusione al famoso «estraniamento»; finché al momento giusto, non prima e non dopo, arriva Gassman-Achab. La sua è subito una presenza possente e dimessa allo stesso tempo. Allude senza riserve a temi epici e trascendenti: paganesimo, ebraismo, romanticismo, dosando attentamente ogni effetto. Così la sua lotta contro il fato e la balena incomincia; spazzate via le donne, la nave resta un universo in cui si giocano destini solo maschili (la forte caratterizzazione omofila deve aver spaventato lo stesso Gassman autore e regista, tanto che le figure femminili, trasformate in fantasmi, allucinazioni o ricordi, sono richiamate ogni tanto a bordo per scacciare l’ansia prima che diventi troppo forte). I vari personaggi disegnano nitidamente la loro storia grottesca e disperata e si delinea convincente lo sviluppo di un amore intenso tra Achab e il giovane Ismaele, che sarà il solo superstite e colui che narrerà la tremenda odissea. La balena bianca incombe sempre con la sua presenza, e la sua vittoria, se di vittoria si tratta, si compie dopo tre giorni di lotta e di strage, concludendosi con un abbraccio mortale tra l’uomo e il cetaceo, simbolicamente rappresentato dal corpo nudo di un danzatore. Il «mattatore» che conosciamo da sempre sferra al pubblico il suo ultimo colpo tornando a recitare i versi che Dante dedica ad Ulisse nel suo Inferno. Quando i giochi sembrano ormai definitivamente fatti, la marcetta iniziale, ironica e spensierata torna come per dire a tutti che la vita e il teatro possono anche non essere presi troppo sul serio.
Della eccezionale prestazione di Gassman attore abbiamo già detto, in quest’occasione si è dimostrato anche un ottimo regista: i gesti di tutti erano ben ritmati ed ogni effetto musicale e sonoro elaborato da Nicola Piovani (a dire il vero compositivamente non sempre molto felice) era ben sfruttato. Fabio Bussotti, Stefano Santospago e Massimo Mesciulan sono tre interlocutori diretti e credibili del capitano, capaci ciascuno di costruire una interpretazione a tutto tondo dei loro caratteri. Thwyll Amenya, Gianpaolo Genovesi e Nicola Pannelli sono un terzetto di ramponieri dalla feroce vitalità. Paila Pavese svolge con grande dignità il ruolo di sacerdotessa. Tutti gli altri, a cominciare da Luigi Montini, sono ben più che una convincente cornice. Il gruppo coreografico, guidato dal sensualissimo Daniel Ezralow completa con efficacia l’atmosfera generale. Oltre che della struttura di Piano di cui abbiamo parlato, la scenografia si avvale di elementi pittorici esterni di Emanuele Luzzati.
Abbiamo lasciato per ultimo Alessandro Gassman che si rivelato capace di una prestazione davvero straordinaria, impersonando l’eroico Ismaele: tenerissimo e forte allo stesso tempo, con una presenza scenica quanto mai convincente e una grande intensità drammatica. Sembrerebbe quasi pronto a raccogliere il testimone.