85 – Settembre ‘92

settembre , 1992

Da qualche tempo avevamo in programma una visita a Il Tajut locale friulano di via Albenga 44, in uno dei cuori della Roma popolare e commerciale. Ci spingevano soprattutto tre ragioni. La prima era l’idea che avremmo potuto trovare qualcosa di insolito nel panorama romano e magari anche di divertente; la seconda ragione era l’entusiasmo che aveva suscitato in noi il fatto che fosse uno dei pochi ristoranti cittadini ad aver aderito alla campagna contro il fumo a tavola; e la terza era che un po’ perfidamente volevamo «mettere in riga» un paio di nostre carissime amiche che ci avevano parlato male del locale con una saccenza che non era da meno di quella ostentata dagli stessi Farfalloni, che tuttavia mal la tollerano negli altri.
Siamo stati però sconfitti su tutta la linea.
Innanzitutto non abbiamo trovato niente di sfizioso in quella stanzetta triste ed angusta, piena di materiale pubblicitario e che alla carta offriva le possibilità che si avrebbero se ci si proponesse di fare uno spuntino in un supermercato di second’ordine. Inoltre i pochi centimetri cubi d’aria a disposizione erano totalmente inquinati dal fumo degli altri avventori. Le nostre amiche avevano ragione: ci siamo trovati a disagio, addossati gli uni agli altri, assillati dall’invadenza del titolare che pretendeva l’elogio ad ogni portata. Di fatto la cucina è qui completamente assente, soprattutto d’estate; ci pare d’aver capito che d’inverno almeno interviene la polenta. Quello che viene proposto è un assaggio di vari affettati dell’Italia nord orientale, di basso profilo, tutti con lo stesso sapore e tendenti al rancido; a questi si aggiungono preparazioni di pesce conservato con marinature o affumicature, stranamente servite nello stesso piatto insieme con l’insalata di pollo, per cui ci si trova a masticare qualcosa che assomiglia a cartapesta con un uniforme sapore acidulo-fumoso e non è facilissimo distinguere quel che nuotava da quel che razzolava. La minestra d’orzo e fagioli, tiepidiccia, pareva il contenuto di una scatoletta tenuta a temperatura ambiente. La scelta dei vini sulla carta era in verità più ampia della reale disponibilità; siamo riusciti a bere un’accettabile Malvasia istriana, ma subito dopo è seguito un rosso frizzantino (franconia?) indecifrabile e sgradevole. Il Cabernet Franc che è venuto dopo era piatto e polveroso, mentre l’ultimo bicchiere di rosso è stato un gradevole Refosco, armonico e morbido. Inoltre per una serata dal tono decisamente «popolare», il costo ci è parso tutt’ altro che abbordabile.