85 – Settembre ‘92

settembre , 1992

In questi mesi estivi abbiamo letto moltissimo, ma soprattutto saggistica e classici e non possiamo qui recensire Montaigne o Bion. Per fortuna, nelle ore più calde, sotto i lecci, abbiamo spesso cercato il refrigerio della narrativa più recente: i premi letterari e le case editrici sono pronte a fornire sempre nuove occasioni. Un’ operazione editoriale di cui non abbiamo capito il senso quella che ha posto tra i libri più chiacchierati quello di Marcello Venturoli, Io, Saffo (Newton Compton, 1992 pagg. 206, Lit. 20.000). Nel libro è la grande poetessa ellenica stessa a raccontare in prima persona la propria vita: dai palpiti sessuali e poetici dell’ adolescenza, fino agli sdilinquimenti bacchici e alla retorica dell’ultimo banchetto in casa di A1ceo. Il solo filo conduttore che vi abbiamo ritrovato stato quello della lascivia: sfregamenti ed esibizioni continue di parti anatomiche femminili si sommano a scene di bagni, con unguenti, veli e profumi, e su tutto, come il prezzemolo sparso ovunque, un laidume pseudo-poetico arcaicheggiante. Il linguaggio malamente carpito a D’Annunzio, le elucubrazioni estetizzanti e di pretesa sensualità non interessano e la noia e il fastidio invadono chi legge, dalla prima all’ultima pagina. Secondo noi questo romanzetto è da buttare senza riserve. Per fortuna Saffo è tanto grande che neppure libelli simili riescono a sminuirla. La donnicciola che blatera in prima persona e si dimena, non sappiamo se sia l’autore, ma di certo non è Saffo.

Tra i vincitori degli immancabili premi letterari che affollano l’estate della nostra penisola Luigi Malerba con il suo romanzo Le pietre volanti (Rizzoli, 1992 pagg. 272, Lit. 30.000) ha ben meritato l’alloro viareggino.
Si tratta di un ampio racconto che inizia sulle soglie del duemila, ma non è fantascientifico. Un anziano e famosissimo pittore italiano, in cui adombrata la figura reale dell’artista Fabrizio Clerici (1913), milanese di nascita, ripercorre come in un diario i punti salienti della sua lunga vita: il presente-futuro tra le montagne svizzere fa da continuo contrappunto ad episodi del passato. Conosciamo i ricordi dell’infanzia, i segreti di famiglia, il fratellastro amico. Sottilmente, in una traccia di apparente tranquillità artistico-borghese, si insinua un filone «giallo»: la scomparsa non scomparsa del padre, il tentativo, quasi un atto mancato, di uccidere la cognata, la morte del fratello. Tutti avvenimenti raccontati con pungente e malinconica ironia. Anche il rapporto con le cose è minuziosamente riferito, gli esseri inanimati sono percepiti con sensibilità esasperata. Un filone importante della narrazione è quello che si riferisce alla vicenda estetica ed artistica:
con queste «pietre volanti» che giganteggiano, rendendo qui addirittura esibita l’identità tra il protagonista del romanzo e il pittore realmente vivente. Lo scrittore Malerba riesce a distillare alcuni umori delle tele di Clerici, si rivela capace di andare oltre le immagini e la sua parola si fa pittura. Affascinanti anche alcune riflessioni sul significato dell’arte, sull’ignoto che incombe, sullo smarrimento e sul quotidiano. La sensualità domina impercettibile e tenacissima ogni passaggio dell’ opera, sia quando si riferisce esplicitamente alla tensione sessuale, sia e ancor meglio con allusioni indirette ed insistenti che danno colore a tutta l’atmosfera in cui si sviluppa la vicenda. Un libro avvincente e tutto fruibile con profitto.

Nottetempo, casa per casa di Vincenzo Consolo (Mondadori, 1992, pagg.175, Lit. 28.000) è stato il deludente vincitore del Premio Strega. Questo autore non è mai stato amato da noi: troviamo il suo stile rileccato ed estetizzante, di una lussuria esibita, eccessivamente vischiosa. Le immagini che vorrebbero essere raffinate risultano per lo più ridicole. Queste sono le pecche anche di quest’ultima fatica dello scrittore siciliano.
La vicenda oscilla tra scene demoniache ed episodi a luci rosse: un tipico baronetto siculo si trova coinvolto in riti blasfemi e libidinosi. Un po’ di droga condisce gli aneddoti più piccanti, in cui è coinvolto marginalmente anche un giovanotto fondamentalmente sano e riflessivo che, giustamente decide di andarsene da quello scenario impossibile, scappando come emigrante ed esule verso incerti lidi. L’esilità dell’ opera non ci permette di indugiarvi sopra oltre.

Sebastiano Vassalli col suo Marco e Mattio (Einaudi, 1992, pagg. 314, Lit. 32.000) ha tenuto un posto di rilievo nel panorama letterario di questa stagione estiva, pur senza mietere troppi effimeri allori. Noi apprezziamo questo scrittore dalla prosa ben costruita ed efficace. Ci piacciono molto anche le sue manzoniane personali riflessioni sulla vita e sul mondo, di ieri e di oggi. Predilige, il nostro scrittore, raccontare storie tremende che ci turbano e ci danno un po’ di raccapriccio soprattutto quando sono insistiti certi aspetti troppo grandguignoleschi. Ci si potrebbe obiettare che così è la vita e particolarmente orrendi certi suoi aspetti dovevano esserlo un tempo, tra inquisitori, banditi, esorcisti e stregoni. Vassalli in quest’opera rende con belle pagine di poesia certi ambienti naturali delle valli venete tra Feltre, Belluno e Venezia e della Val di Soldo in particolare. Poetici sono anche lunghi intermezzi sospesi tra sogno e realtà, così che quello che potrebbe sembrare assurdo se fosse riportato come verità assoluta, diventa più che accettabile se suggerisce la realtà di un sogno. Anche questa storia, come le altre, oltre che essere avvincente di per sé ha il pregio di venire ben collocata su di un preciso sfondo storico, reso con documentata attenzione. I personaggi sono scolpiti a tutto tondo ed hanno forse solo una caratteristica inquietante: una capacità quasi ossessiva di impressionare la mente di chi legge.
Nel romanzo si contrappongono due figure: Mattio un bel ragazzo, calzolaio ed omosessuale, che intraprende un’avventura esaltante e disperata, su cui lentamente la storia e la miseria, unite ad una tipica malattia del tempo (siamo tra sette ed ottocento): la pellagra, agiscono distruggendogli l’anima, il corpo e la psiche. Si crede il nuovo Gesù e finisce col crocifiggersi. Portato a morire nel manicomio sull’isola di San Servolo a Venezia, lascia l’eco di un richiamo lacerante nel quale è forse racchiusa per il mondo una speranza nuova di redenzione. Marco un mago-scienziato di origine tedesca, assassino e perverso che impersona l’ Anticristo.
Perseguitato da un sogno terribile, alla fine si troverà anche lui nello stesso manicomio, dove un abbraccio unirà per un momento i due eterni antagonisti, confondendo ancora una volta tra di loro il bene ed il male.