86 – Giugno ‘92

giugno , 1992

Gesuiti e psicoanalisti hanno avuto modo di animare le cronache estive con un brivido scandalistico, una volta tanto slegato dal carosello giudiziario della corruzione politica e finanziaria. Oggetto della disputa era la legittimità messa in discussione del metodo terapeutico psicoanalitico applicato al popolo cattolico. La psicoanalisi, quella di derivazione freudiana in special modo, avrebbe matrici troppo materialiste e pansessualistiche per non inquinare col proprio intervento le coscienze dei cristiani.

Quasi parallelamente il progetto di riforma dell’ educazione religiosa, definito sbrigativamente come «nuovo catechismo» richiamava l’attenzione sui suoi parametri di morale sessuale ritenuti più o meno tolleranti nell’ accettazione della diversità delle tendenze, comunque richiamate ad un principio di castità piuttosto rigoroso. Nei medesimi giorni i dati di un’ indagine facevano emergere un fatto quasi inedito: quello cioè dell’ aumento progressivo del numero di religiosi, preti e suore, che farebbero ricorso alla psicoterapia, d’impostazione genericamente definibile «psicodinamica» per alleggerire la tensione derivante dallo sforzo di ottemperare alle esigenze di castità, soprattutto ma non soltanto, imposte dalla loro speciale condizione. Mentre nella polemica tra gesuiti e psicoanalisti si potrebbe con facilità ravvisare uno di quei battibecchi pseudo morali e pseudo culturali che il giornalismo periodicamente porta alla ribalta banalizzando ad oltranza, il problema del rapporto tra morale, sessualità e disagio psichico rimane tremendamente serio. Sebbene nel Vangelo sia difficile leggere una condanna senza appello del piacere sessuale, sta di fatto che la Chiesa discendente da Pietro, quella cattolica (ma non è solo esclusiva di questa, dal momento che poco diverso è l’atteggiamento delle varie Chiese riformate e di quelle «orientali») ha progressivamente irrigidito la condanna del piacere sessuale, richiamando tutti alla castità, anche nel matrimonio, ove l’amore carnale tra i coniugi non ne faccia strumento di procreazione. La castità è diventata così un valore assoluto e raccomandabile a tutti ed universalmente. La cosa è entrata tanto nell’ inconscio sociale che la stessa psicoanalisi di Freud, dopo aver recuperato tutto il significato della sessualità e della sua ineliminabilità ha creduto opportuno stabilire un principio di sublimazione, nel cui superiore valore gli uomini possono trasformare la pulsione sessuale a vantaggio di più nobili comportamenti sociali, dedicandosi ad un’ arte o ad una scienza che porterebbero l’uomo a più diretto contatto col «sublime» cui ciascuno ha il dovere di tendere. Sia la Chiesa sia la psicoanalisi hanno mantenuto grosso modo le loro dichiarazioni di principio ed hanno poi agito «sul campo» in modo variamente avveduto o sprovveduto e non a caso il sacramento della penitenza o confessione fu visto da più parti come l’intuizione geniale che aveva preceduto di alcuni secoli l’altra intuizione geniale, laica questa volta, della psicoanalisi, che sana rendendo conscio ciò che prima era inconscio. Sta ora di fatto che né il più progressivo laicismo psicoanalitico, né la più rigorosa osservanza religiosa hanno liberato uomini e donne dai conflitti derivanti – non solo beninteso dall’ impossibilità di conciliare morale e sessualità.

Si è per lungo tempo tentato di dire che il moralismo sessuofobico e il senso di colpa sarebbero eredità pressoché esclusiva della tradizione giudaico-cristiana, ma oggi è facile rilevare direttamente come la morale sessuale pesantemente influisca anche su popoli provenienti da aree culturali e religiose diverse da quella, sia pure ovviamente con modalità di volta in volta peculiari. L’essere umano sembra a questo punto essere stato da sempre condizionato da un giudizio negativo sulla sessualità dalla quale tuttavia è allo stesso tempo quasi costituito e senza la quale non sarebbe completo, a meno di non sapere trovare in sé la capacità eroica di un superamento nell’ amore per Dio o nella più laica sublimazione. La Chiesa ha tutto il diritto quindi di indicare con chiarezza l’eroica via che porta alla santità, purché non discrimini sui modi e sui gradi di accettabilità delle vie intermedie: non c’è insomma una sessualità «peggiore» in sé. Per cui i giudizi non possono che essere sulle modalità, queste non più sessuali, con cui il rapporto col corpo dell’ altro viene affrontato: mercificando, violentando, circonvenendo, negando o strumentalizzando, con delitti cioè che vanno contro la persona, aggravando ulteriormente quell’ offesa alla divinità contenuta nell’atto sessuale. Oggi la psicoanalisi ha conosciuto frammentazioni tali che sarebbe comunque azzardato esprimere su di essa un giudizio globale; permettano dunque le autorità ecclesiali ai loro membri di fare ricorso, là dove le forze non reggano, anche a quei transeunti mezzi della terapia psicoanalitica, riservandosi la superiore magnaminità di giudicare di volta in volta i casi delle coscienze in quel confessionale che da secoli mantiene schiuse le porte del cielo a quei «devianti» ai quali la terra non riesce a garantire autentica libertà di scelta.