84 – Giugno ‘92

giugno , 1992

Passeggiata-Promenade si intitola la personale di Sergio Ceccotti allo Studio S-Arte Contemporanea di via della Penna 59. Nato a Roma nel 1935 l’artista ha però scelto come sua altra città d’elezione Parigi, di qui ha origine il titolo bilingue che allude ai due soggetti delle opere esposte: Roma e Parigi, due città che anche noi amiamo e che in qualche modo hanno anche per noi significati paralleli; di qui il dovere di confessare il grande struggimento che la doppia evocazione ha destato in noi. La prima cosa che abitualmente si sente dire davanti alle opere di Ceccotti è che sarebbero quadri realisti o iper-realisti. Questo è però vero solo nel significato migliore, in quanto Ceccotti cerca davvero di cogliere una realtà.
La realtà che egli coglie non si limita comunque mai al riferimento o alla trascrizione di puri e semplici dati e neppure indulge ad una troppo facile narrativa di tipo aneddotica. Ceccotti ci dà la sua realtà di due città molto simili e molto diverse fra loro e la sua capacità di comunicazione riesce a trasmettere quella ricchezza di significati a chi osserva con attenzione. Per fare ciò il pittore usa un linguaggio molto preciso: i colori caldi, rossi, ocra, il verde degli alberi e l’azzurro luminoso dei cieli rendono le atmosfere di Roma, colte nelle diverse luci del giorno o della notte; mentre invece l’aria di Parigi si traduce in limpidezze algide e cristalline imbevute di blu più o meno chiari in cui squillano nette macchie di rosso o di bianco, oppure nell’ombrosità notturna dei canali o delle piazzette alberate. Il disegno è sempre accuratissimo e pronto nel riprendere quei motivi architettonici di portali sormontati da centauri a Roma o affiancati da cariatidi nel palazzotto parigino della Sécurité sociale. Di Roma Ceccotti coglie i due aspetti apparentemente contraddittori ma che risultano poi omologhi della monumentalità di un passato imperiale e remoto e della imborghesita pigrizia dell’urbanistica piemontese. Di Parigi la vastità delle prospettive, la grandiosità dei ponti e dei monumenti quali la Conciergerie vengono messe a contrasto con la pacatezza intima di un inverno tra le stradine di Montmartre e la desolatezza estraniata di una stazione di metropolitana, affollata di personaggi chiusi in emblematici isolamenti individuali. Una cosa ci ha incuriosito molto: le due città sembrano nelle tele di Ceccotti assolutamente e surrealisticamente linde, mentre ci pare che tra le altre cose abbiano in comune anche grossi problemi di nettezza urbana!

Tutta l’arte in ogni sua forma è sempre fascinosa. Noi siamo così sensibili alle sue suggestioni che persino nel campo figurativo ci ostiniamo ad avventurarci anche nei linguaggi dell’informale, del concettuale e così via. Usciamo quasi sempre delusi da questi tentativi, però talvolta in uno scarabocchio o nell’uso particolare di un materiale troviamo qualche cosa che ci colpisce. La scultura è una forma espressiva che caratteristiche ben precise e talvolta entusiasmanti: la tridimensionalità la rende particolarmente vivace e continuamente nuova. Girare intorno ad una statua, osservare dal basso verso l’alto il rilievo di un frontone affacciano alla mente serie di prospettive, luci ed ombre, tanto che si ha la sensazione di scolpire con lo scultore. Quando poi questi sa usare con gusto e sensualità i suoi materiali si aggiunge anche il piacere del tatto. Noi suggeriamo un giochetto: provate ad avvicinarvi ad una scultura evitando di guardarla prima nel suo insieme, ma arrivate tanto vicino da poterne solo fissare o toccare un piccolo particolare; da quel punto provate prima ad immaginarvi l’opera nel suo insieme e solo dopo guardatela; secondo noi se la scultura è riuscita voi avrete immaginato senza dubbio qualcosa di molto vicino al risultato complessivo, ma allo stesso tempo avrete la gioia di scoprirne anche mille aspetti assolutamente inimmaginabili. Tutto questo noi lo abbiamo sperimentato davanti alle sculture di Carlo Venturi esposte alla Galleria Incontro d’Arte di via del Vantaggio 17.
L’opera più significativa tra quelle esposte è ispirata al ciclo mitologico del dio orfico di origine orientale Fanes o Fanète che lo scultore rappresenta in gruppo marmoreo in cui il busto e la testa del Dio affiorano tra le teste di quattro cavalli in una intenzione di allontanamento dal mondo. Il marmo giallo di Numidia è il nobile materiale che Venturi plasma, incide e disegna, articolandolo in una ricchezza narrativa che sintetizza in un’opera un intero ciclo epico. Ora il marmo è levigato e si offre morbido alla carezza della mano, ora è inasprito in superficie grezza che frena il gesto, ancora poi sono i mille gerogliflici di un discorso tatuato che si diffonde dal capo fino allo sterno della figura divina, che ha la possenza e l’erotica sensualità di un auriga platonico. In marmo nero del Belgio, misto al bianco marmo pario o ancora al giallo di Numidia sono alcune altre opere raffiguranti astronomi isolati sulle cime di minuscole piramidi o scale elicoidali intere o spezzate con intenzioni dichiaratamente simboliche, ma con lo stesso amoroso rapporto con le figure e la materia. O diventano l’imponente madre orientale, che allatta il figlio e il cui corpo unisce al gesto protettivo una minacciosa sensazione di incombenza, che rammenta quella della Grandi Madri di tutte le mitologie.