84 – Giugno ‘92

giugno , 1992

Non appena nell’aria e nel cielo di Roma incomincia a diffondersi il profumo ed il colore della primavera, ristoranti, osterie, pizzerie e bar invadono con i loro tavolini i marciapiedi delle vie, le piazze e le piazzette. Noi sappiamo che molte di queste installazioni sono abusive, ma siamo felici che, forse per buon senso, forse per impotenza, l’amministrazione pubblica, nonostante faccia talvolta la voce grossa, non riesca a ridurre drasticamente questa che a rigore si deve definire occupazione di suolo pubblico. Quando la sera si passa di fronte alla schiera dei tavoli rallegrati dalle tovaglie colorate e dal tintinnare delle stoviglie, spesso non si resiste e ci si addentra in quella magica tentazione vittime del fascino di luoghi davvero incantevoli. Scorci di sogno lasciano intravvedere antiche casette stupende o fanno apparire sullo sfondo i profili di chiese o palazzi famosi. Mangiare all’aperto a Roma non è solo una bella esperienza, ma può essere addirittura entusiasmante. Comprendiamo quindi perché folle di turisti di tutto il mondo non resistano all’invito di questi angli paradisiaci intrisi di poesia e di storia. Coi turisti spesso ci siamo anche noi. Qualche sera fa, dopo un gradevole concerto, ci siamo seduti tra i vasi di pitosforo di Giggetto alle Carrozze, nella via omonima, a pochi metri da piazza di Spagna, da cui proveniva il canto della fontana. Quasi di fronte una delle torri campanarie di Trinità dei Monti e più in basso un pezzo dell’insegna di Babington. Maderno, Pietro Bernini ed altri ignoti architetti hanno costruito nei secoli quel panorama da cui noi eravamo letteralmente incantati; ma il nostro stato d’animo sospeso venne bruscamente infranto dalla brutalità del cameriere che ci aggredì con la solita domanda insulsa: Bianco o rosso? Timidamente optammo per il bianco: un’ acquetta minerale di colore giallino. Un po’ imbarazzati scorgemmo sugli scaffali e armadi dell’attigua saletta una serie di bottiglie, ci avvicinammo e riuscimmo a trovare un paio di etichette incoraggianti che ordinammo. Gli antipasti alla credenza erano di millenaria secchezza, i tagliolini al salmone facevano concorrenza al cappuccino con panna, il vitello arrosto era immerso in un succo di frutta al limone e poi altre cose: contorni e dessert; sempre con l’accompagnamento di un servizio villano ed inetto.

Invece al ristorante Il Pallaro nella piazzetta dallo stesso nome il servizio è addirittura sadico, sospettiamo che i camerieri tentino persino di infilzare forchette nella schiena dei clienti più indifesi che seduti nello stesso luogo in cui sedevano gli antichi spettatori del Teatro di Pompeo – e la sagoma è ancora rintracciabile nell’andamento delle case che riprende la curva di quella che fu la cavea romana – troppo restano assorbiti dalla bellezza della sovrastante cupola di S. Andrea della Valle.
È questo un locale dove si pretenderebbe, in virtù di costi decisamente bassi, di giustificare un ignobile menù fisso imposto ogni sera: arancini e polpettine di marmo, prosciutto accartocciato, rigatoni malcotti e sconditi, carni irriconoscibili, per finire con terrificanti dolci di sabbia, il tutto annaffiato da un liquido che difficilmente si può definire vino.

La piazza di Santa Maria in Trastevere è uno degli angoli più belli del mondo: i mosaici della facciata della chiesa si ammorbidiscono al tramonto e il cielo violetto mette nel cuore una allegra malinconia. Lo sappiamo che attorno alla fontana ottagonale insieme coi fanciulli schitarranti siedono molti relitti umani, però il suono del campanile è come cancellasse tutto il peggio. I camerieri di Sabatini non sono particolarmente scortesi, ma sono assolutamente disattenti ed apatici mentre ti portano piatti di cannelloni maleodoranti, spaghetti insipidi con vongole assai improbabili, la vignarola che non si capisce più perché si chiami così, tanto è sommersa da una salsa acquosa, e poi carni e pesci cucinati approssimativamente. Inoffensivi ed insipidi i vini della casa, con una limitata possibilità di qualche buona bottiglia, il tutto ad un prezzo esorbitante. Però il luogo certo… tanto l’americano al tavolo accanto beve il cappuccino sul branzino al forno.

Giggetto al Portico d’Ottavia, nel cuore del ghetto sistema i suoi tavolini in una cornice frizzante e quasi mitica, col ponentino che ancora li accarezza, superando chissà come la barriera dei grattacieli della periferia. I ragazzetti passano fischiettando, le ragazze guardano dalle finestre. Roma qui sembra davvero immortale, nonostante lo smog che la sta divorando. Viene voglia di essere allegri, fingendo di non accorgersi del vinaccio bianco servito caldo, dell’olio che cola dal fritto vegetale e dal baccalà gessoso, delle penne scotte, delle carni stoppose ed insapore, del prezzo astronomico. Ma alla fine si può godere di un’autentica consolazione: i dolci vengono infatti dalla pasticceria a fianco: La Dolce Roma che prepara succulenta, deliziosa, costosissima pasticceria austriaca. Sono delizie che non hanno nulla a che spartire con la tradizione di Roma, ma meglio sarebbe se fossero le sole cose offerte.

Tra Via Quattro Novembre e Piazza Venezia, ce un angolino quieto e straordinario: la piazzetta del Grillo, sotto le poderose mura del Foro di Augusto e di Nerva, per fortuna passano pochissime automobili e sotto il pergolato rigoglioso del ristorante Mario’s si può anche trascorrere una serata indimenticabile. Ci siamo venuti molte volte e conosciamo abbastanza a fondo le possibilità del locale, vorremmo solo consigliare allo chef di togliere dalla lista un piatto di carne, panna e cognac, definito sulla carta, ci pare, come «mollichetta dello chef», piatto che sarebbe pessimo anche come dessert, ma che è inconcepibile proporre come secondo. In questo ristorantino si possono mangiare spaghetti al cartoccio che sono forse tra i migliori di Roma, perfetti di cottura e ottimamente conditi da un sugo marinaro gustoso e vivace. Il pesce è di ottima qualità e le altre preparazioni di carne sono accettabili. La cantina non è molto fornita, ma vi si possono trovare buone bottiglie servite correttamente e ben conservate. Il prezzo non è alto e questo è un pregio che non guasta. Abbiamo voluto finire questa breve digressione su alcuni dei locali con tavoli all’aperto in Roma con una nota positiva, perché nonostante tutto noi siamo sempre innamorati di questa città.