83 – Maggio ‘92

maggio , 1992

West Side Story apparve sulle scene di Broadway per la prima volta nel 1957, frutto del lavoro di Jerome Robbins che ne curò le coreografie, di Arthur Laurents e Stephen Sondheim che ne scrissero il testo e del compianto Leonard Bernstein che ne compose le musiche e che morì nell’ottobre del 1990, più o meno nel periodo in cui l’attuale produzione fu messa in cantiere. Tutti, anche i più giovani di noi, hanno presente l’edizione cinematografica del musical diretta da Robert Wise con la coppia Nathalie Wood e George Chakiris che ha fatto conoscere a tutti la storia moderna di una Giulietta e di un Romeo del quartiere di New York: lei apprendista sarta e lui sperduto garzone di bottega, l’una e l’altro prigionieri però del codice d’onore delle rispettive bande. Quella dei Jets, autoctoni bulli di periferia pretende che lui, Tony, prenda parte alla sfida contro la banda degli Shark, un gruppo di giovanotti di origine portoricana di cui fa parte Bernardo il fratello di lei, Maria. Come tragedia comanda, Tony uccide, senza rendersene conto, Bernardo e verrà alla fine ucciso da Chino, altro portoricano. Maria, canterà il suo dolore per quell’assurda morte, tra il coro delle due bande annichilite dei ragazzi. Al Teatro Sistina, dopo più di trent’anni non ci è parso che nulla e nessuno fosse invecchiato, forse anche perché alcuni degli interpreti non erano neppure nati al tempo delle origini newyorkesi. Tutto il numerosissimo cast canta e balla con bell’entusiasmo e qualcuno sa anche recitare, in particolare Yamil Borges, nella parte comprimaria di Anita, una delle ragazze portoricane. Don Goodspeed (Tony) e Marie-Laurence Danverse (Maria) sono belli e bravissimi, sia quando ballano sia quando cantano, nei registri espressivi sentimentali o drammatici. A nostro avviso però il giovanotto ha qualche argomento in più della ragazza, musicalmente e drammaticamente. Va detto che la struttura compositiva di tutta l’opera è molto astuta ed anche di ottimo livello. Si sente in Bernstein la mano del compositore «classico», che però in questa occasione non appare irrigidito, come molti altri suoi colleghi europei di fronte alle sincopi e a certe meravigliose modulazioni pur sempre tonali, anche se spesso il linguaggio rispetta la scala jazzistica. Le famosissime melodie sono tornite con grande cura, non è assente il contrappunto e l’orchestrazione non è mai ovvia. L’orchestra – dal vivo di buon livello era diretta magistralmente dalla brava Valerie Gebert.