83 – Maggio ‘92

maggio , 1992

«Nonostante le difficoltà, il 22 maggio 1874, ad un anno esatto dalla morte di Manzoni, Verdi poteva dirigere a Milano, nella chiesa di San Marco, la prima esecuzione della Messa da Requiem».
Le stupende parole latine di questa messa sono state rivestite dal compositore di Busseto di una musica di bellezza straordinaria e di grande drammaticità, come tutti sanno. Però qualcuno molto scorrettamente ritiene che il risultato abbia in sé la teatralità di un’opera lirica verdiana. La religiosità liturgica raggiunge qui invece profondità inarrivabili di riflessione metafisica. Le splendide melodie sono circondate da un semplice e toccante contrappunto corale.
La magia di questa titanica impresa è stata resa al meglio nello scorso mese di aprile al Teatro dell’Opera di Roma, dalla prodigiosa bacchetta di George Prêtre. Ogni passaggio è stato reso con eccellente buon gusto: dai pianissimo strazianti ai cupi fragori da brivido dei fortissimo. Dopo la tensione equilibratissima e i sommessi momenti recitativi dell’inizio e del Kyrie si arriva alla drammatica esplosione del Dies lrae.
Le voci soliste si annunciano fin da subito con le loro caratteristiche specifiche: spiegatissima e vocalmente piena quella del basso Ruggero Raimondi, addirittura emozionante nel tenebroso Confutatis maledictis; pura e intensa quella del mezzo-soprano Alexandrina Miltcheva; precisa, pulita ed interpretativamente espressiva quella del soprano Nina Rautio; calda e vibrante quella del tenore Richard Leech. Tutti e quattro bravissimi negli intrecci, nei concertati e in dialogo con il coro. Particolarmente emozionante il duetto di soprano e mezzosoprano nell’Agnus Dei e di effetto quasi catartico il lungo brano finale Libera me di soprano e coro, il quale ultimo, sotto la direzione di Tullio Boni ha saputo ben raccogliere gli stimoli vitalissimi di Prêtre, imitato in questo anche dall’orchestra dell’Opera che finalmente ci è parsa all’altezza della situazione.

Giovedi 23 aprile al Saint Louis Jazz Club di via del Cardello ci è accaduto di sentire un originale concerto di musica essenzialmente vocale. Il Kammerton Vocal Ensemble usa le voci miste dei suoi componenti per sortire validi risultati musicali.
Si sente la buona impostazione generale da cui risulta un livello di esecuzione che unisce precisione a un buon gusto musicale, pregi che appena sono velati da qualche esitazione e disorientamento, forse dovuti, in questo caso, anche alla pessima qualità dell’amplificazione. E stato un concerto simpatico e ci è piaciuto paragonare questi brani – originali e di repertorio molti dei quali trascritti e arrangiati da Fabrizio Cardosa – di jazz statunitense e latino-americano, con i frequenti richiami alla musica colta, soprattutto polifonica, dell’Europa. Ironie alla Banchieri, sentimentalismi tardo-romantici alla Sinigaglia, melodie a metà tra Schumann e Cole Porter, samba e Debussy, tutto come abbiamo detto, amalgamato senza volgarità, offerto con bel garbo e sapienza professionale.