83 – Maggio ‘92

maggio , 1992

Il disegno è una forma espressiva che molti considerano minore: si raccontano aneddoti, più o meno veritieri, di grandi artisti che hanno tracciato qualche linea su tovaglioli di ristorante che poi sono in seguito stati incorniciati dagli astuti osti; divenuti preziose e rare opere su cui i critici sproloquiano tuttora. C’è anche un bel verso di Garcia Lorca che definisce il ramarro «goccia di coccodrillo»; così forse il disegno è il ghiribizzo di un artista rilassato, o una omeopatica dose di fantasia d’arte.
Indubbiamente comunque il disegno è una tecnica artistica autonoma e peculiare: non è paragonabile al frutto del meditato lavoro di affresco o di pittura al cavalletto ed ha la caratteristica di non costare materialmente quasi niente all’artista; ma forse proprio per questo è più aggressivo ed impudico. Guardare un disegno è come coglier di sorpresa il suo autore nudo: e la nudità è sempre rivelatrice ed impietosa. Raffaello da Urbino, a quanto si sa, era un bel ragazzo, anche se un po’ effeminato; nei suoi disegni lo scopriamo quanto mai indifeso, ma proprio per questo ci accorgiamo di quanto la sua grandezza sia superiore a quella dei contemporanei. Sulla carta le linee disegnate da lui si stendono fluide: una palpebra, un omero, un capitello vengono colti all’improvviso, come di sorpresa. L’immagine e l’autore appaiono allo stesso modo privi di paludamenti e di armi per difendersi. Raffaello è stato uno dei più grandi artisti che l’umanità abbia avuto e questo lo sanno tutti: la Madonna della seggiola, gli affreschi delle stanze vaticane, la Trasfigurazione, sono opere che anche se andassero oggi perdute resterebbero stampate nitidamente nell’inconscio sociale di tutti i popoli. Proprio per questo è fondamentale cercare di avvicinarsi con temerarietà anche un po’ voyeuristica ai suoi disegni. E un po’ come se si ascoltasse l’artista stesso abbandonarsi ad un gioco di libere associazioni sul divano dello psicoanalista. Ed ancora una volta, si scoprirà quanto egli sia geniale, tracotante e coraggioso. Ecco materializzarsi sulla carta le figurette di uomini nudi, emergenti dai fogli di incerto colore, soli e inginocchiati, oppure in gruppi di combattenti che si fronteggiano; giovani vestiti in groppa a cavalli addobbati coi finimenti di parata; santi o prelati in atto di preghiera; fanciullini alati; Annunciazioni e Sacre Famiglie; Madonne col Bambino. A volte lo stesso soggetto appare ripetuto sul foglio in diverse prospettive, immutato o con varianti, oppure uno stesso nudo virile appare su più fogli in diverse positure. Le variazioni sul tema della Deposizione e della Trasfigurazione passano da Raffaello agli altri autori e poi sono riprese da lui medesimo. Le sanguigne bellissime della Loggia di Psiche moltiplicano i soggetti mitologici e profani. Provenienti dalle fatiche delle logge del Vaticano arrivano sotto gli occhi i disegni del Passaggio del Mar Rosso e della consegna delle Tavole della Legge a Mosé o le scene della battaglia di Ponte Milvio, tra Costantino e Massenzio. L’universo delle figure disegnate racchiude tutto quanto è stato possibile esprimere della cultura di un’epoca, filtrato dalla sensibilità di un Genio, giunto a noi con la frammentazione di un sogno. La mostra organizzata a Villa Medici dall’Accademia di Francia: Raffaello e i suoi è tutta da gustare senza lasciarsi inquinare dal bisogno di fare dietrologie.
Raffaello piace così, come questa rassegna lo propone, con un montaggio semplice, senza eccessivi scrupoli critici. È piacevole, osservando i disegni, ripescare nella memoria le grandi opere di cui sono preparazione o sviluppo. Molte cose sfuggono per ignoranza o smemoratezza, ma anche questo è bene che avvenga. È una gioia per il pensiero e per il ricordo lasciarsi andare e scoprire le proprie debolezze, smascherare qualche personale presunzione. È piacevole anche confrontare la grandezza di un genio con i più semplici sforzi dei suoi collaboratori e contemporanei. Chissà perché la Divinità ha voluto attraverso qualcuno parlare in modo più esplicito?