82 – Aprile ‘92

aprile , 1992

Il libro di Giulio Castelli, Il Leviatano negligente (Acropoli, 1992, pagg. 181, Lit. 23.000), è stato da noi letto tutto d’un fiato. In questi giorni di campagna elettorale, in cui i discorsi fumosi si sovrappongono alle ambiguità, trovarci di fronte a pagine di analisi così lucida, chiara, scientificamente fondata, fatta di concetti esposti senza falsi pudori, ci ha fatto l’effetto di una boccata d’ossigeno. L’autore partendo dalla constatazione che, oggi, nel nostro paese il potere si auto perpetua e si autoalimenta avendo perso il benché minimo senso della sua funzione giunge ad analizzare le mille situazioni perverse che nel Palazzo, nel mondo economico, in quello criminale si moltiplicano con la complicità di una sottoborghesia ormai vinta e nociva, che si compiace del disastro che contribuisce nel suo piccolo a creare. Senza parere, Castelli è padrone di una sottile ed arguta vena letteraria che rende disarmantemente efficace quello che scrive. Certo la situazione italiana è facilmente stigmatizzabile tanto è tragica; ma il nostro scrittore, che pure pare sempre sull’orlo della depressione di fronte al disastro incombente, riesce tuttavia a portare a termine il suo compito di denuncia e a stimolare in chi legge il senso autocritico, oltre che critico. Per evitare che: «Caduto, infatti, lo sbarramento etico posto dagli ideali politici, il personale che si è aggregato intorno al ‘Palazzo’, motivato soltanto dalla convenienza, dall’utile e dall’arricchimento, è già pronto a servire un padrone – che grazie alle enormi risorse di denaro rese disponibili dai traffici criminali – può pagare meglio e più presto». Forse non sentivamo parole così chiare di denuncia dopo che il destino ha messo a tacere la voce di P.P. Pasolini.

Una fame da morire, di Gianna Schelotto (Mondadori, 1992, pagg. 197, Lit. 29.000) è un libriccino che racconta due storielle: la prima è quella di un caso di bulimia, la seconda un caso di anoressia mentale. Noi cerchiamo sempre di non dare giudizi del tipo: quest’opera è un esempio di letteratura maschile o femminile limitandoci a dire se ci piace oppure no; ma questa volta ci troviamo di fronte ad un susseguirsi di pagine di zuccherosissima letteratura tutta al femminile; infatti sono zeppe di sensibilità, buoni sentimenti e pettegolezzi, espressi, bisogna dire attraverso una scrittura accattivante, sciolta e persino capace di catturare l’attenzione di chi legge.
Questo anche se alla fine è inevitabile un senso di nausea, ovviamente anche perché fin troppo vi si parla di cibo e di vomito.