82 – Aprile ‘92

aprile , 1992

«Boum, boum» è una bellissima canzone di Charles Trenet, 6Dl poetica, malinconica e dalla melodia accattivante: il grande chansonnier la canta con estrema perizia e garbo. Nel film di Jaco Van Dormael Toto le Heros di poetico, malinconico, accattivante, garbato e capace non c’è proprio nulla; al posto vi si trova soltanto un cumulo di specchietti per allodole, neanche troppo scintillanti. In questa rete tesa apposta per gli intellettuali, molti restano impigliati: alle nostre spalle un gruppetto di ragazzi e ragazze dal turpiloquio facile e col birignao nella voce, al termine della proiezione sono esplosi in uno striminzito, ma significativo applauso. Certo molto meno trionfale di quello che ha accolto il film ai vari festival europei in cui ha ricevuto significativi premi. Quello che il regista avrebbe voluto fare sarebbe il racconto di tutta una vita, rievocata però non attraverso una successione banalmente cronologica, ma con il ricorso ad un sistema di libere associazioni che fosse capace di tradurre il «tempo della mente» nel quale spesso le distanze si annullano e le epoche coesistono. Tutto ciò per rendere conto di quanto è contenuto nel pensiero del vecchio protagonista al termine della propria vita. Questo processo psichico e simile a quello che sempre si realizza anche durante qualunque seduta psicoanalitica, in cui ci parte da un ricordo magari del giorno prima, si scivola in un’immagine proveniente dalle lontananze della prima infanzia, poi, passando attraverso un frammento di romanzetto adolescenziale si giunge nuovamente al presente. Nell’intraprendere un simile percorso, però tutti i pazienti, anche i più deliranti, si dimostrano sufficientemente artisti da saper ben giocare con la prospettiva e quindi, se pure accade come negli affreschi gotici, che un passero appaia grande come una torre tuttavia è percepibile sempre un ritmo e si coglie il significato emozionale delle distanze e delle durate. Il trucchetto usato dal Van Dormael è invece quello rozzo di un giochetto che noi facevamo da bambini: scrivevamo su di un foglio un racconto cronologicamente coerente, poi tagliavamo la pagina in tante strisce che ricomponevamo casualmente; leggendo il risultato scoprivamo a volte divertenti combinazioni, alle quali fortunatamente il nostro sentimento riusciva a dare nonostante tutto un certo significato. Purtroppo il cinema è un mezzo che travolge con violenza chi lo affronta e quindi si impone lasciando pochissima libertà al sogno individuale.
Certo, le mani di un buon artista invece possono benissimo intrecciare i piani, sfumare le azioni, colorare le immagini; non saremo certo noi a sostenere la validità assoluta del cinema verità, ma in Toto le heros il guazzabuglio è totale, ciò che al regista riesce è tutt’al più qualche gioco simbolico di richiamo e anche qualche facile trucchetto paranormale. In un incendio di un reparto maternità di una clinica, due madri nella concitazione del momento, scambiano – forse – i loro due figli. Almeno così crede che sia stato il vecchio Thomas, che chiuso nel suo ospizio ancora non riesce a rassegnarsi al fatto che a lui sarebbe toccata la vita splendida del suo amico Alfred, fortunato figlio dei signori Kant, ricchissimi padroni dell’emporio della città. Nella sua lotta contro le conseguenze del torto subito Thomas-Toto ha perso tutto il poco che la vita gli avrebbe comunque concesso, prima il padre e poi anche la sorella amata di un amore totale ed incestuoso. La vita ha posto più volte a confronto le fortune di Alfred e le disgrazie di Toto, con l’aggiunta di una balordissima confusione tra la moglie di Alfred e la sorella scomparsa che porta Toto ad amare la moglie del proprio nemico. Esasperato per non essere mai riuscito a rientrare legittimamente in possesso della vita che avrebbe dovuto essere la sua Toto alla fine ha una trovata geniale e si sostituisce ad Alfred, quale obiettivo di una banda di criminali che ha deciso di ucciderlo. Soddisfatto del colpaccio finalmente riuscito Toto alla fine del film esprime tutta la sua soddisfazione, facendo scaturire la propria vocetta soddisfatta prima dalle fiamme del forno crematorio e poi dalle ceneri volteggianti su ubertose campagne francesi al ritmo di «Boum, boum». Solo lo spettatore si accorge che sulla bara e sulla busta che contiene le ceneri sta scritto il nome di Toto. La sceneggiatura è dello stesso regista e la fotografia riesce abbastanza bene a «colorare» con tinte d’epoca le varie stratificazioni cronologiche, oniriche e realistiche. La musica restante è di Pierre Van Dormael.