83 – Marzo ‘92

marzo , 1992

Ha suscitato grande emozione – come era giusto che fosse – l’esecuzione di Robert Alton Harris, avvenuta martedì 21 aprile alle ore 6.21, nella camera a gas del carcere di San Quintino nello Stato del Texas. Un ‘indignazione generale che si è espressa in mille forme, anche con cortei di protesta e sit-in contro una forma legalizzata di omicidio. Tutte queste manifestazioni sono considerate – come è giusto che sia – espressioni di sensibilità umana e progredita coscienza civile, legittimamente in atteggiamento di obiezione a leggi sancite dai governi e volute dal popolo, pur tuttavia considerate ingiuste. Altre manifestazioni di protesta contro un ‘altra forma di omicidio legalizzato si sono avute di fronte alle cliniche d’Europa e d’America in cui si pratica l’aborto, in osservanza a norme di legge sancite da governi e parlamenti e volute dal popolo. Queste ultime proteste sono però state giudicate reazionarie ed oscurantiste dalla parte «più progredita» dell’opinione pubblica, che ha anche insistito sulla necessità che venga garantito il diritto all’aborto, nel pieno rispetto delle leggi dello Stato.

Così non è giusto che sia: la vita umana e la legge sono due valori che vanno difesi o combattuti con maggiore coerenza, anche da chi si considera civicamente tanto avanzato da saper scegliere quali vite difendere e a quali leggi opporsi.

Prima di essere ancora una volta accusati di cripto cattolicesimo integralista, vorremmo citare, a chi distingue tra «vita umana» e «vita embrionale», o tra «vita 1» e «vita 2», l’opinione di uno tra i più lucidi, coerenti ed anticonformisti pensatori «laici» che il nostro secolo abbia conosciuto: «sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell’aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell’omicidio. Nei sogni e nel comportamento quotidiano – cosa comune a tutti gli uomini – io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente.» (P.p. Pasolini, Corriere della sera, 19 gennaio 1975).

Pasolini era ben consapevole che quella dell’aborto è una scelta politica operata invece di un ‘altra scelta altrettanto politica e che otterrebbe gli stessi risultati di ecologia sociale e di prevenzione eugenetica: «tutti, dico, quando parlano dell’aborto omettono di parlare di ciò che logicamente lo precede, cioè il coito (…). Infatti il coito è politico.(…) Non si possono vedere i segni di una condizione sociale e politica nell’aborto (o nella nascita di nuovi figli) senza vedere gli stessi segni anche nel suo immediato precedente, anzi, “nella sua causa”: cioè nel coito.» (ib.).

Ecco che permissività falsamente libertaria e repressione bigotta rifiutano allo stesso modo di discutere il vero problema della sessualità distinta dalla procreazione, creando la falsa alternativa obbligata tra il rispetto per la vita e il progresso sociale, agitando lo spauracchio a due teste della morte e della miseria da cui non si potrebbe sfuggire. Ma sfuggire si sarebbe potuto già allora: «Il contesto in cui va inserito l’aborto è quello appunto ecologico: è la tragedia demografica che, in un orizzonte ecologico, si presenta come la più grave minaccia alla sopravvivenza dell’umanità. In tale contesto la figura – etica e legale – dell’aborto cambia forma e natura: e in un certo senso, può anche essere giustificata una forma di legalizzazione.

Se i legislatori non arrivassero sempre in ritardo, e non fossero cupamente sordi all’immaginazione per restare fedeli alloro buon senso e alla propria astrazione pragmatica, potrebbero risolvere tutto rubricando il reato dell’aborto in quello più vasto dell’eutanasia, privilegiandolo di una particolare serie di “attenuanti” di carattere appunto ecologico. Non per questo esso cesserebbe di essere formalmente un reato e di apparire tale alla coscienza» (ib.).