82 – Marzo ‘92

marzo , 1992

Nonostante lo sforzo di molti, riesce difficile credere che la scadenza elettorale di aprile sia di quelle che possono segnare un momento decisivo per le sorti del nostro Paese.

Pur percependo sintomi diffusi che creano un quadro clinico abbastanza inedito, non pare che ci siano elementi sufficienti ad una trasformazione della realtà politica che da troppi anni perpetua una sindrome tra le più incurabili.

Forse la verità, quasi lapalissiana, è che gli italiani si meritano appieno la classe politica e la realtà sociale che da loro stessi vengono reiteratamente espresse. Basta a rendersi conto di questa banale constatazione non solo il perdurare degli schieramenti partitici tradizionali in posizione di potere rispetto a tutte le proposte alternative; ma proprio le caratteristiche più intrinseche delle liste elettorali che pretenderebbero di chiamarsi fuori dai vecchi raggruppamenti di governo o di maggioranza, di opposizione o di minoranza. Schieramenti trasversali, proclami liberazionisti, leghe geopolitiche, associazioni corporativistiche, tutti rivelano, in ultima analisi, una incapacità costitutiva di fare politica in modo nuovo, ed una impossibilità quasi assoluta di sfuggire ai giochi di interesse che favoriscono uno o l’altro di quei poli finanziari, pubblici o privati, che già così totalitariamente hanno fino ad oggi determinato le scelte politiche dei partiti tradizionali.

Questo fallimento è tanto evidente da riguardare (ove fosse possibile distinguere) oltre che la sostanza, addirittura la forma del gioco politico:

sempre volgare e violento, clamorosamente sleale, in tutte le sue multicolori ed illusionistiche versioni.

Non potrebbe essere diverso se è vero come è vero che la cultura (quando c’è) è quella televisiva e la socializzazione è quella degli stadi calcistici.

Se ancora una volta volgiamo gli occhi al «Grande Modello Americano», ci possiamo solo rendere conto della assoluta apparenza di una lotta politica che si pretenda basata sulle idee e che si ponga obiettivi di trasformazione in nome di questo o quel principio morale.

Proprio allo stesso modo in cui ce lo insegna il crollo dell’ultima cortina o l’abbattimento dei muri che hanno fatto piazza pulita del/’ipocrisia ideologica ereditata dalla Rivoluzione d’Ottobre.

Del resto non sarebbe auspicabile sfuggire a tanto cinismo pragmatistico attraverso una di quelle forme di fondamentalismo violento e razzistico che si costruisce sulla pelle dei più diseredati, mischiando miseria ed ignoranza per garantire un fanatismo disperato e criminale.

Forse c’è qualche margine di manovra tra questi totalitarismi negativi e la meschinità della politica infingarda da cui non sappiamo liberarci; ma ci manca ancora troppa cultura ed onestà per inserirvi una nuova pratica politica.

Accettiamo quindi di vedere ancora una volta noi stessi riflessi in un risultato elettorale: noi mafiosi, noi razzisti, noi prevaricatori, noi ignoranti, noi servitori del potere che ci hanno imposto e che ci siamo imposti.