81 – Marzo ‘92

marzo , 1992

Il libretto della Bohème che Illica e Giacosa trassero dal romanzo di Murger, Scènes de la vie de bohème, nel suo neo-barocchismo liberty non è del tutto privo di qualità letterarie. Il linguaggio oscilla continuamente tra verismo e similitudini da canzonetta; ma non è privo di efficacia drammatica e le situazioni, pur zuccherose, sono costruite con sapienza teatrale. Noi non sappiamo se sia meglio un libretto con un suo discreto valore che addirittura si insinua tra le maglie della musica fino a distoglierne l’attenzione dello spettatore, oppure sia più utile alla bisogna dell’opera un libretto sicuramente mediocre o pessimo come molti di quelli che hanno costruito le fragilissime impalcature letterarie dei capolavori musicati da Verdi, le cui parole hanno significato solo grazie alle note di cui sono rivestite e dietro cui arrivano a nascondersi. Ovviamente l’ideale sarebbe quello dell’unione perfetta dei valori letterari e musicali in una costruzione completa in tutti gli aspetti; ma ciò si è dato molto di rado nella storia del teatro in musica. A parte queste considerazioni da presuntuose algide zitelle, possiamo però affermare che Bohème è un’opera stupenda.

Non vi si coglie mai un momento di stanchezza, per chi sia capace di abbandonarsi al meraviglioso fluire della melodie, all’orchestrazione sapiente e ricca di fascino. I temi che si rincorrono sottolineando le varie situazioni emotive e con imperversante efficacia si insinuano quelli di Rodolfo e di Mimì, enunciati nel prima atto. La musica pucciniana esprime tutte le gamme dei sentimenti umani: l’allegria, la malinconia, a disperazione. I compositori contemporanei hanno malta da imparare da quelle arditezze armoniche e da quelle sapienze strumentali; ma soprattutto hanno da imparare la lezione della spudoratezza. Il perbenismo narcisistico ed esibizionistico affligge trappa pesantemente la musica dei nostri giorni.

Al Teatro dell’Opera di Roma è stata ripreso un allestimento scaligero del melodramma pucciniano realizzato da Franco Zeffirelli con Mirella Freni ancora nelle vesti della protagonista e il giovane tenore Francisco Araiza. Il grande e venerabile Soprano è stata ancora in grado di proporre una Mimì musicalmente valida e teatralmente efficace; forse dilatava un po’ troppo i tempi e si sentiva che il Direttore mordeva il freno. La giovane e fresca voce di Araiza ci è parsa malto adatta ad esprimere la pienezza passionale e malinconica del personaggio di Rodolfo. Davvero eccezianalmente appropriata al ruola di Musetta abbiamo trovato la voce bella, limpida e pungente di Adelina Scarabelli, alla quale solo chiederemmo di .offrire al suo personaggio un briciola di sensualità in più.

Decisamente opaca, per quanto ben mascherata dalle astuzie del mestiere, la voce li Nicolai Ghiaurov nell’aria della «vecchia zimarra». La direzione di Daniel Oren stata malta equilibrata, con qualche momento di intensa partecipazione: attenta ai coloriti e al fraseggio. Purtroppo l’orchestra, claudicante, non sempre gli ha risposto in modo adeguato. Gli altri componenti del cast: Pietro Spagnoli, Alfredo Mariotti, Roberto Sérvile, Andrea Snarski, Carlo Napoletani, Angelo Nardinocchi, Mario Tocci e Alberto Della Venezia, paiono tutti li buon livello, capaci di disimpegnare i loro ruoli musicali e drammatici. I costumi di Piero Tosi giustamente raffinati e apprezzabili non riescono però ad annullare il fastidio di una scena sempre troppo affollata e rumorosa anche per il cigalare continuo di macchine teatrali in azione. Il coro diretto da Paolo Vero ha lavorato onestamente.