81 – Marzo ‘92

marzo , 1992

Forse un ristorante aperto da pochissimo tempo non dovrebbe essere giudicato, in attesa che la situazione si stabilizzi e la cucina, la sala e la cantina si assestino sui possibili livelli di una gestione collaudata e continuativa. Però l’altra sera, uscendo dall’Antica enoteca Capranica, nell’omonima piazza, eravamo talmente soddisfatti e gratificati che abbiamo deciso di sbilanciarci. Ormai si sa che i Farfalloni non hanno molta stima della ristorazione della capitale: in genere la cucina è distratta, i vini sono mal tenuti, il servizio è impreciso, i tavoli sono addossati gli uni agli altri; così che quando va bene può accadere di gustare qualche rustica preparazione, offerta con bonarietà rozza e casareccia. Il grave è che lo stesso avviene ai massimi livelli di prezzo e di pretese mondane, in posti affollati di divi del cinema e della televisione e politici e industriali di prima grandezza. Le due grandi sale in cui si articola il ristorante diretto da Antonio Gulani, sono immediatamente accoglienti, i tavoli ben distanziati e apparecchiati con cura, le sedie sono comode e il servizio di sala, tenuto da giovanissimi camerieri è sufficientemente corretto, con un tocco di gentilezza e non disturba più di tanto la bizzarra idea dell’architetto che ha voluto esaltare con inusitate policromie le articolate antiche volte. Quello che però è soprattutto apprezzabile è la cucina di Francesco Zani, brillante chef che tiene alta l’insegna del suo Maestro, Angelo Paracucchi che è il nume e l’ispiratore della nuova impresa. Innanzi tutto le materie prime sono eccellenti e vengono trattate con il massimo rispetto delle loro caratteristiche, cotture per lo più rapide, senza essere affrettate, sughi leggeri, ma sapidi, senza la minima traccia di panna (Dio sia lodato!), un buon olio là dove serve ad esaltare il piatto. La scelta è piuttosto ampia senza essere sterminata, rivelando senso di responsabilità e consapevolezza. Noi possiamo dire del foie gras alle mele che era dolcissimo e profumato (abbiamo spregiudicatamente osato abbinarlo ad un ottimo e vellutato Porto e ne siamo stati soddisfatti); l’astaco e sogliole con salsa ai peperoni si traduceva in una sapiente armonia di sapori; la cernia al piatto era un saggio di cucina semplice che esaltava il pesce, il pomodoro e l’olio che lo componevano. Il risotto al piccione e tartufo nero, superbo, non faceva rimpiangere quello del Maestro, il riso era perfettamente cotto, il piatto generoso e ben condito; splendide le tagliatelle nere ai calamaretti e seppie, per l’equilibrio dei sapori e il giustamente «grintoso» profumo dell’aglio; le trenettine al pesto erano la versione sapiente e rispettosa di una cucina di tradizione con il tocco per noi nuovo delle zucchine. Il filetto di bue al tartufo nero era un «classico» senza imperfezioni; forse un po’ banale e al di sotto del livello complessivo la battuta di vitello ripiena di provolone e spinaci; una vetta di sapienza gastronomica la raggiungeva il lombo di agnello in crosta di erbe: morbidissimo, avvolto da una morbidissima crosta croccante, in una delicatissima e armoniosa salsa. Reggevano il confronto con il resto anche i dessert: crèpes alla mela, mantecato di caffé e crema di pistacchio, alcune squisite torte gelato e prelibatissima piccola pasticceria. Nonostante sia in via di assestamento, dalla cantina sono uscite alcune buone bottiglie, ricordiamo per tutte un fresco, scattante e fruttato Mueller Thurgau del Maso castel Warth del 1990 bianco, e un rosso Ghemme Collis Breclemae degli Antichi Vigneti di Cantalupo del 1985 armonioso, ed equilibrato, profumato di buona marasca. Abbiamo concluso con una scelta di ottime grappe. Il prezzo non è certo basso, ma è una delle volte in cui pensiamo valga veramente la pena di fare uno sforzo e magari un sacrificio. .