Psicoanalisi contro n. 85 – Con dignità e poesia

gennaio , 1992

I l linguaggio umano è sempre molto figurato e fantasioso: si dice che i dialetti soprattutto siano ricchi di espressioni appropriatamente pungenti, che riescono, con pochi suoni, a descrivere, con arguzia, acume e profondità, concetti, situazioni e stati d’animo complessi. Questa prerogativa non è però esclusiva dei dialetti: anche le lingue nazionali, se pur talvolta appaiono paludate e rigide, hanno tuttavia la capacità di esprimere, con brevi allocuzioni significative e giri di frase pertinenti, pensieri molto articolati. Il fatto è che la lingua parlata, nazionale o dialettale, semplice o colta riesce spesso a rendere significati che vanno oltre il senso letterale delle singole parole. Il «significante», cioè quel flatus vocis che starebbe a fondamento di tutti i vari significati che gli si affollano intorno, probabilmente è un punto limite; quindi le parole e le espressioni linguistiche non soltanto alludono e rimandano a qualche cosa che sta oltre, ma anche rinviano al significato, spostandolo sempre un po’. Si dice qualcosa per voler dire anche qualcos’altro. A volte si coglie chiaramente la funzione di certe espressioni linguistiche bizzarre, che dicono per non dire, nascondono e disvelano allo stesso tempo.
Vorrei qui soffermarmi su alcune espressioni che la nostra cultura del senso comune usa per esprimere e nascondere concetti diversi intorno all’avvenimento fondamentale della «nascita». Nell’Italia del nord, del centro e del sud ci si riferisce alla donna che ha appena partorito il figlio dicendo che ha «comperato» un bambino o una bambina. E un’espressione usata colloquialmente anche davanti ai ragazzini e quindi potrebbe sembrare un modo di adombrare una realtà che non può essere apertamente detta poiché ha una sua relazione con la sessualità: una forma di pudore.
Questo non basta però a formulare un’ipotesi sulle ragioni che hanno spinto ad usare proprio il verbo «comperare».
Inoltre gli adulti usano la stessa espressione molto spesso anche quando parlano tra di loro, quando si suppone che nessuno degli interlocutori quindi possa essere turbato dalla delicatezza dell’argomento. Ci sono altri modi di dire la stessa cosa: che si è trovato il bambino sotto un cavolo, o anche sotto un cespuglio di rose, immagine questa molto più poetica, ove non si consideri che così dicendo si fantastica il neonato in una posizione molto rischiosa per la sua incolumità: avvolto tra le spine. In tutta Italia, e non solo, si dice inoltre che i bambini li porti la cicogna, e l’immagine del pennuto imperversa sui cartoncini di partecipazione spediti per dare a parenti ed amici la lieta novella e sulle insegne al neon dei negozi specializzati in articoli per neonati.

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Ho scelto questi modi di dire molto diffusi, che non richiedono neppure sforzi di ricerca etnolinguistica, grazie alla quale forse si potrebbero trovare espressioni altrettanto o magari anche più significative, proprio perché sono patrimonio comune di tutti ed appartengono all’esperienza più quotidiana. Non molto tempo fa il figlio decenne di un mio conoscente, mi disse con un certo sussiego, ma rivelando anche molto buon senso. che egli trovava molto brutta l’ espressione «comperare un bambino»; perché gli ricordava certi episodi di cronaca nera relativi al commercio di neonati da parte di zingari o di altri che rubano e vendono bambini altrui. Il ragazzino era molto consapevole del meccanismo «scientifico» della nascita, per cui si compiaceva di parlare con orgogliosa saccenza di argomenti che per i suoi coetanei sono ancora «delicati». Proseguì poi la conversazione con piglio orgoglioso dicendomi che far credere ai bambini che i neonati sono stati comperati dai genitori, non solo rafforzava l’idea che i bambini fossero oggetto di commercio, ma anche che di conseguenza i ricchi potessero permettersi bambini più belli e più intelligenti dei poveri. Queste osservazioni mi colpirono e un po’ sconcertato gli risposi che anche a me non piaceva quel modo di dire e che trovavo le sue osservazioni abbastanza giuste. Tenni per me l’ulteriore riflessione che feci a proposito della conoscenza tutta tecnica ed asettica che il piccolo ostentava circa il meccanismo della nascita, dal concepimento al parto e che mi dava un notevole fastidio. Mi infastidiva la apparente lucidità con cui egli si stava forse difendendo da chissà quali ansie e paure. Pensai anche che forse erano invece problemi tutti miei. Col tempo ritornai a pensare però a quella conversazione e a domandarmi il senso di tante «metafore» popolari intorno alla nascita. Pur senza voler andare alla ricerca del significato simbolico del baratto, del grande uccello che regge nel becco il neonato, dell’allusione al genitale maschile contenuta nella parola stessa «cavolo» o a quello femminile nella parola «rosa» e via fantasticando, bisogna ammettere che questi rozzi modi di dire, quasi scherzosi e di dubbio gusto, oltre a voler nascondere eufemisticamente con immagini e leggende un fatto considerato scabroso, rappresentano tuttavia anche un tentativo di distorcere la realtà e di espropriare la donna di una sua prerogativa fondamentale. Io ho più volte richiamato l’attenzione sull’equivoco corrente per cui le donne sono da una parte della cultura attuale ancora considerate «generatrici» della vita; sebbene questo concetto ancora domini nell’inconscio sociale tuttavia è importante a mio avviso riconoscere con precisione i rispettivi ruoli del maschio e della femmina nella procreazione. Resta comunque innegabile che, dal momento del concepimento in poi, la donna ha un suo modo peculiare di relazione con la vita che sta maturando nel suo grembo, una vita che ha una propria autonomia, ma che non è disgiunta da quella della madre. I sogni, le fantasie, le paure proprie dell’embrione e del feto, sono anche frutto dell’interazione col corpo della madre e, suo tramite, col mondo. Il genitore ed il resto del gruppo sociale coinvolto hanno però il dovere di collaborare a questa gestazione, partecipandovi a pieno titolo e con tutte le responsabilità ad essa connesse. Il nascituro non vive solo in simbiosi con la madre, ma anche in relazione con l’ambiente che circonda entrambi. Tutti hanno il dovere di rispettare la vita che si va formando, prima di tutti la madre, che in ogni caso non può e non deve mai considerarsi «padrona» della creatura che porta in grembo. L’essere umano appena concepito non può essere considerato proprietà di qualcuno; gli si deve riconoscere subito la pienezza dei diritti umani, a meno che non si voglia sostenere una qualche legittimazione della schiavitù.

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Voglio comunque mettere in guardia dal subdolo tentativo di espropriazione perpetrato dai modi di dire del linguaggio comune, che vorrebbero negare alla donna il significato tutto speciale di una condizione particolare e di un periodo della sua vita, liquidandolo con la favoletta di una passeggiata fatta un giorno al negozio, all’orto, in giardino o sul tetto di casa a prendere possesso di un bambino bello e fatto. Con una battuta si cancellano mesi di sublime trepidazione, di gioie e dolori, di sogni e di lotta non solo della madre, che pure è soggetto principale, ma anche del padre, che se non è un mascalzone, tutto questo ha diviso con la sua compagna. Ben di più che il gesto di estrarre dal portafogli un fascio di biglietti di banca per comperare il loro bambino.
Perché si è scelto di mentire sulla nascita degli esseri umani raccontando così squallide storielle? Io so che anche la scienza racconta tante storie ingannatrici e poco verosimili, però penso che non si debba mai scadere nel cattivo gusto, inoltre quasi sempre anche in campo scientifico, le soluzioni più vere sono le più eleganti.

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Vorrei subito dire esplicitamente quello che penso a proposito delle «fole» che si raccontano ai bambini in questo e in altri settori. Mi piacciono le fiabe, è bello colorire il mondo di grandi e piccini con storie fantastiche, più o meno verosimili; ma so anche che molte di queste favole solo apparentemente innocue veicolano invece messaggi malvagi di morte e distruzione. I bambini assorbono tutto, applicano quanto apprendono nei giochi e lo ritrovano nei sogni. L’effetto delle cattive fiabe permea il nostro inconscio sociale, non siamo in grado di annullarlo del tutto, ma possiamo contenerlo in parte. Non però grazie all’azione di squallide formule scientifiche: non per esempio opponendo ai cavoli e alle cicogne l’obbligo di conoscere a memoria la fisiologia del concepimento e del parto.
La scienza deve sapere recuperare la sostanza poetica di cui è fatta: infatti ovunque ci sia un tentativo di capire e raccontare l’origine delle misteriose forze che governano l’universo c’è poesia. Il mondo è pieno di poesia, proprio come è pieno di Dei. Pur essendo quindi favorevole alle fiabe che esprimono poesia diffido di molte favole pseudo-poetiche, proprio come diffido della pseudo-scienza che pretende di essere obbiettiva ed è in realtà un’altra favola malvagia. C’è tutto un mondo fiabesco, avventuroso e fantastico, popolato di re e di regine, di robot e di mondi extrastellari, di gnomi e di rospi parlanti che deve essere proposto dagli adulti ai bambini attraverso le favole, con tenerezza, affetto e poetica partecipazione. Questo mondo deve opporsi a quello della volgarità e del cattivo gusto. Mi ricordo ora di una tremenda critica che un’insegnante elementare fece ad una mia commedia per bambini, andata in scena qualche tempo fa, dicendo che in essa era rappresentato anche il male, di cui ai bambini non si dovrebbe mai parlare.
Dopo aver detto che io non credo che debbano esistere commedie per bambini ed altre per adulti, ma commedie che adulti e bambini possano apprezzare allo stesso modo, mi ribellai contro un concetto di educazione in base al quale ai bambini si sarebbero dovute propinare solo zuccherose favolette e mi dichiarai soddisfatto di aver mostrato ai suoi scolaretti che anche il mondo delle fiabe non era fatto solo di insulse e smielate caricature senza rapporto con la realtà. Anche questo fraintendimento è causa della progressiva perdita del ruolo educativo da parte della scuola e degli insegnanti, soppiantati da una pluralità di stimoli, buoni e cattivi, molto più incisivi e pertinenti delle prediche in classe. Non è educativo inventare un mondo falso ed improbabile, privo oltre tutto di poesia, perché non c’è poesia senza verità, fatto solo di belle anime e buoni quanto falsi sentimenti. L’educatore può e deve parlare di tutto, si può raccontare la storia di un drago o di un elicottero, con fantastica stravaganza, purché si sappia costruire un mondo plausibile in cui bene e male hanno il loro giusto posto. Ignorare un aspetto tra questi significa violentare chi si vorrebbe educare e rappresenta un gesto di vigliaccheria. La voce vibrante di sdegno di quella insegnante ipocrita non la dimenticherò mai più.

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Poesia e verità sono i principi ai quali deve essere informato ogni insegnamento, dalle elementari all’università, ma anche prima e oltre. La dignità umana deve essere rispettata in tutti. Capisco di sembrare e forse di essere retorico, ma preferisco essere chiaro: si parla molto di ecologia, si vorrebbe disinquinare la natura avvelenata, si arriva a parlare di ecologia acustica a difesa del sistema nervoso contro i frastuoni che ne pregiudicano l’integrità, ma non si è capaci neppure di evitare l’inquinamento delle coscienze dei bambini, i componenti più indifesi del nostro gruppo sociale. L’informazione scientifica corretta deve essere a base dell’ educazione, fin dai primissimi momenti di vita del piccolo essere umano, essa ha una funzione formativa non meno della cosiddetta cultura umanistica. Non è vero che prima si debba dare al bambino esclusivamente un’educazione somministrata attraverso fiabe e canzoni e solo dopo si possa passare all’informazione precisa e su basi scientifiche. Se non ci si preoccupa di dare subito informazioni precise e scientificamente corrette, l’uomo stesso sarà inquinato e di conseguenza non potrà che riprodurre nel mondo nuovo inquinamento.
Tutto è pieno di Dei: la scienza è una poetica e divina formatrice, non una sequela di nozioni aride, sempre smentite dalle acquisizioni successive.
Dove voglio arrivare con questi miei discorsi?

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Ho voluto stigmatizzare come con quattro fole, devianti rispetto alla verità, umilianti per gli adulti e fuorvianti per i bambini, entrate nel linguaggio d’uso comune, si siano espropriati gli esseri umani della grandezza poetica connessa alla nascita di una nuova vita. I bambini ne sono vittime in particolar modo, poiché si nasconde la poesia della verità intorno alla loro stessa nascita, trasformandola in un episodio qualunque, col pretesto di difendere un pudore che non ha ragione di essere. Le fantasie infantili superano di gran lunga ogni comune senso del pudore imposto dagli adulti.
Capisco che non è possibile avere rapporti con altri individui che prima o poi non incappino in qualche infortunio, in qualche errore, e particolarmente difficile è il rapporto coi bambini; ma sono convinto che la scelta migliore sia di rivolgersi loro con sincera semplicità, preoccupati soprattutto di rispettarli come esseri umani. Forse gli «esperti», a cui tanto sento purtroppo di assomigliare, sono più dannosi che utili: i precetti che pretendiamo di imporre disturbano più di quanto aiutino, ispirano insicurezza; ma non per questo è permesso rinunciare al lavoro di ricerca e di osservazione, poiché sarebbe gesto di viltà.

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Ammetto di essermi arrogato il diritto di imporre precetti, di essere presuntuosamente convinto di saper leggere la psiche di bambini e di adulti. Spero però che quello che faccio serva a me e agli altri ad orientarci nel mondo, a capirci l’un l’altro; spero di non essere dogmatico. Ho paura quando mi chiamano come «esperto» ad esprimere giudizi su qualche avvenimento clamoroso, perché ho paura che il mio tentativo di capire possa essere frainteso ed io scambiato per qualcuno che intenda imporre la sua verità. Molti di quelli che come me sono considerati gli «esperti» mi danno quell’impressione e mi fanno vergognare di appartenere alla categoria. Quello che diciamo noi «esperti» può tutt’al più essere uno stimolo offerto con umiltà agli altri perché insieme riusciamo a capire un poco di quello che ci succede intorno. Sarebbe bene che tutti gli esseri umani, nessuno escluso, fossero «esperti» di qualcosa: non si sarebbe costretti a demandare così tanto ai tecnici e si soffrirebbero meno espropriazioni della dignità umana.

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È molto triste constatare che la nostra società non ha saputo trovare che queste due squallide strade per raccontare ai bambini la storia delle nascite: una fatta di piccole volgari fandonie e l’altra di tecnicistica aridità. Ci sono stati, è vero, anche miti di grande significato filosofico e poetico, che hanno descritto magnificamente il mistero della nascita dell’uomo. Ho anche sentito padri e madri raccontare con molta tenerezza ai loro figli come e perché sono venuti al mondo loro stessi o come e perché sta per venire al mondo un loro fratellino. Non ho però forse mai sentito raccontare in modo poetico e convincente il meccanismo dell’accoppiamento sessuale, della gestazione e del parto. Questo ancora in un momento in cui si fa un gran parlare di educazione sessuale. Di fatto il sesso non può essere collegato così indissolubilmente alla procreazione come si continua a fare.
Anche per questo la vergogna della sessualità dominante nell’inconscio sociale ha reso impossibile raccontare limpidamente e distintamente i due procedimenti: della sessualità e della riproduzione. Le stesse religioni non sono in proposito così aride e fredde da misconoscere l’importanza dell’amore tanto è vero che lo pongono come condizione indispensabile all’origine del concepimento di una nuova vita. Più limitata si è rivelata la concezione della prima psicoanalisi quando ha qualificato come «normale» e non perverso soltanto l’accoppiamento genitale tra due persone di sesso opposto. Per fortuna Freud aveva in sé una grande capacità poetica ed è stato capace di travalicare questo schema da lui stesso imposto ed ha parlato con entusiasmo delle infinite possibilità della sessualità umana, con tutti i suoi capovolgimenti, giochi e fantasie, anche se li ha dovuti, per convenienza, bollare come perversioni. Resta un grande merito della psicoanalisi comunque, avere anche in seguito ribadito che la sessualità non coincide e non si esaurisce con la funzione procreativa, ma tutt’al più la seconda si appoggia alla prima, la quale dal canto suo la trascende.

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Oggi i pretesi educatori sessuali danno tutt’al più informazioni sul coito ed in minima parte forniscono elementi sulla fisiologia della riproduzione. Io so che è quasi impossibile dare un’educazione sessuale, ma è anche sbagliato. Meglio sarebbe parlare di educazione all’amore, ma raramente è accaduto che ci riuscissero i pedagoghi. Ci sono sempre riusciti meglio i poeti e i filosofi, gli artisti e i profeti, coloro che hanno avuto un ruolo di trascinatori di anime. In assenza di tali figure sarebbe stato meglio fermarsi ai tempi in cui i libri di scienze delle nostre scuole descrivevano un essere umano con minuzia dalla testa all’ombelico e poi tornavano a parlare degli arti inferiori. Nessuno è stato ancora in grado di colmare con dignità e poesia quel vuoto.