79 & 80 – Gennaio & Febbraio ‘92

gennaio , 1992

Le Mille e una Notte è il titolo di una raccolta di novelle, stratificate nel tempo della tradizione islamica, unificate dall’uso della lingua araba. Anche la cultura occidentale ha sempre sentito il fascino di questi racconti fantasiosi, sensuali, ironici e terribili. Basti in proposito pensare a Rimskij Korsakov o Pasolini. Ciò che l’occidente ha però di rado colto in queste saghe orientali è l’odio furibondo per la donna che in esse la cultura araba ha sempre espresso. In effetti nucleo e pretesto di queste narrazioni sono le astuzie escogitate da Sherazade per evitare di essere uccisa dal re persiano Shariyhar, misogino e persecutore delle donne dopo che ha conosciuto il tradimento della prima moglie. Ogni notte la fanciulla riesce a tenere avvinto coi suoi racconti l’uomo che, desideroso ogni volta di sapere come la storia andrà a finire, rinvia l’esecuzione all’alba successiva. Quella di Sherazade non è però una vittoria per amore, nonostante l’astuzia femminile permetta il finale hollywoodiano col fastoso matrimonio di prammatica. Ovviamente dietro alla misoginia così sbandierata si nasconde anche il fascino per la donna. Ugualmente è accaduto a Marco Rossati che in questa bellissima mostra alla Galleria Apollodoro di piazza Mignanelli esplicita, tela dopo tela, tutto l’orrore e la fascinazione che, come maschio, prova per la femmina che è anche in lui, oltre che per le donne del mondo circostante. Questo si intuisce anche dalla scelta che il pittore ha operato di non «illustrare» il racconto stesso, ma di riscriverlo a modo suo. Noi qui cederemo alla tentazione, che è quasi una sua proposta di identificare l’artista col navigatore che a bordo della sua barca sfiora i palazzi emergenti dall’acqua, guardando altrove per non restare vittima del fascino di «grazie» e «cariatidi» affacciantesi dalla «torre», languide bagnanti nella «darsena» o naufraghe terrificate dalla «loggia» sprofondante nel mare agitato. Rossati sfoga la sensualità nella pienezza dei colori, nella moltiplicazione delle architetture indiane e rinascimentali ad un tempo, nella carnosità di forme muliebri clamorosamente eccessive, nella costruzione di macchine fantastiche, che diventano «veicolo arcano» del mistero. Amina, Fathuma, Zobeida ed Aladino sono i fanciulli e le fanciulle seducenti col loro misterioso corredo di specchi, cetre, maschere e lampade dorate. Il «Grande tappeto volante» infine si leva col suo carico fantasioso sospeso tra il cielo e la terra, misteri non risolti, racconti interminati ed interminabili.