79 & 80 – Gennaio & Febbraio ‘92

gennaio , 1992

I due farfalloni detestano il Giappone senza esserci mai stati: quindi, probabilmente la loro avversione è priva di fondamento, e si è potuta costituire perché anche noi siamo vittime di un cliché di lacche, paraventi e ventagli trasmessoci dalla convenzione folcloristica; però non ci piacciono neppure i tintinnanti pianoforti, i monotoni compositori e l’imperversante squallida pseudo-anti-retorica dello scomparso ed osannato Mishima. Ancora noi proviamo avversione per quell’orda di formiche che invadono Roma coi loro torpedoni e la fotografano senza neppure guardarla. Ma quello che massimamente detestiamo è la cucina giapponese che ci pare cadaverica ed insapore, sempre con le stesse tristi caratteristiche sia che venga preparata nei grandi e piccoli ristoranti, sia che venga fatta in casa da «autentici» giapponesi. Può darsi che se un giorno, con un gesto masochistico, andremo in quella lontana terra, riusciremo a mettere fine ad un razzismo così preconcetto e potremo così cambiare finalmente idea. Per questo il nostro giudizio sul libro di Banana Yoshimoto, Kitchen è quanto di meno obiettivo si possa immaginare, ma qualche volta è necessario esprimere anche il peggio di sé. Non riusciamo proprio a capire perché i racconti che compomgono questo volumetto siano diventati così famosi: la scrittura è minuziosa e rileccata, le descrizioni sono prive di interesse. Le sensazioni soggettive sono descritte con minuzia iper-realistica, come i colori, gli odori e gli ambienti. Due sono i temi che esplicitamente vogliono essere proposti in parallelo alla riflessione di chi legge: la cucina (intesa sia come arte della preparazione dei cibi, sia come spazio in cui queste operazioni avvengono e in cui si svolge una parte della vita) e la morte. L’elaborata descrizione delle ricette e della loro preparazione è però assolutamente asettica e non stimola in chi legge più appetito di quanto non lo stimoli la reiterata riflessione sulla morte dei più diversi personaggi: giovani e vecchi, uomini, donne o transessuali. La riflessione in prima persona sembra quella di una creatura che non prova sentimenti se non in funzione della descrizione degli stessi, con il risultato di allontanare dal lettore ogni interesse per una realtà che è palesemente solo di carta.