78 – Dicembre ‘91

dicembre , 1991

Nel settantottesimo numero della rivista di Psicoanalisi Contro i due Farfalloni vogliono fare una cosa che finora non avevano fatto mai: vogliono cioè parlare di un avvenimento al quale hanno presenziato, che non solo non si è svolto a Roma, ma neppure in Italia. Alle ore 19 del 5 dicembre 1991, nella cattedrale di Vienna, dedicata a S. Stefano, il cardinal Groer ha celebrato, in latino, seguendo il rituale pre-conciliare, una messa in suffragio di Wolfgang Amadeus Mozart, nel duecentesimo anniversario della sua morte. A quell’ora Vienna era natalizia ed assorta, fredda e nevosa, probabilmente come lo era nello stesso giorno di duecento anni prima. Nella chiesa gremita di gente attenta, alla presenza del presidente Waldheim, pochi momenti dopo che l’orchestra, il coro, il direttore e i solisti hanno raggiunto i loro posti si sentono i rintocchi gravi della campana del duomo e contemporaneamente si vede avanzare verso l’altare, preceduta dalla croce, la processione di chierici, diaconi, canonici e prelati che accompagna all’altare il cardinale celebrante. Dopo poche parole del Presule iniziano a risuonare le prime note del Requiem in Re minore K.626. L’esecuzione si svolgerà emotivamente intensa e accuratissima. Il direttore Solti è preciso ed essenziale, senza trascurare accenti di dolente Sensualità arriverà persino a concedersi qualche colorito dolce e leggero in quella parte della messa di mano non mozartiana, redatta da Süssmayr e dagli amici; come per sottolineare il significato che ha avuto la partecipazione di affetto tesa a completare l’opera che il Grande Maestro aveva lasciato incompiuta. Tutto il Requiem non conosce la disperazione: è invece permeato da un soffio di trascendenza, caratteristica forse di tutta la Sua musica. I Wiener Philarmoniker, il Coro, i solisti: Arleen Auger, soprano; Cecilia Bartoli, alto; Vison Cole, tenore e René Pape, basso, concorreranno a dare all’esecuzione una grande dignità artistica. Terminata la pagina musicale, dopo pochi momenti anche la messa si è conclusa e la processione ha fatto in senso inverso il cammino dell’inizio. Nessuno ha disturbato con applausi una situazione di grande commozione e la folla è uscita in silenzio. Fuori, nella Vienna fredda e natalizia, ci sentivamo indescrivibilmente sereni.

Abbiamo avuto l’occasione domenica pomeriggio 1° dicembre di ascoltare all’Auditorium di via delle Conciliazione il concerto poi replicato come di consuetudine il lunedì e il martedì successivi, nel giusto proposito di permetterne l’ascolto al maggior numero possibile di persone che l’Accademia Nazionale di S. Cecilia persegue da anni nello svolgimento della sua stagione sinfonica.
Il concerto prevedeva in apertura l’esecuzione della Ouverture della Semiramide di Gioacchino Rossini, un bel brano che, pur nella brevità offre molte possibilità espressive a chi sappia coglierle. Il giovane direttore Antonello Allemandi, non ha perso l’occasione e si è dimostrato rossinianamente impeccabile, capace di gustose dilatazioni di tempo, senza mai però perdere il dovuto brio, perfetto anche nei crescendo e diminuendo. Il successivo Concerto Romano, per organo e orchestra di Alfredo Casella, del 1926, è una stupenda pagina dalle atmosfere barocche, sensuale, ricca di chiaroscuri e momenti di malinconia, ma segnata anche da un contrappunto stretto ed impeccabile. Allemandi ne ha colto a pieno il significato, con una direzione che ha evidenziato tutte le caratteristiche strutturali ed emozionali, con precisione e intensità. L’organo magistralmente suonato da Giorgio Camini raggiungeva però nei crescendo punti di fluidità eccessiva, possibili in uno strumento di oggi, ma poco probabili per organi del 1926 e tanto meno barocchi.
In conclusione due opere significative di Felix Mendelssohn. La famosissima ed affascinante Ouverture – Le Ebridi (o «La Grotta di Fingal») dall’atmosfera magica e romantica è stata resa con bella capacità espositiva. La Sinfonia n. 5 in Re Minore, «La Riforma», composta nel 1830 per celebrare l’anniversario della Confessione Protestante di Augusta è un’opera del musicista amburghese che si ascolta abbastanza di rado, forse per un certo squilibrio intrinseco: si alternano senza essere per altro bene amalgamati momenti chiesastico-liturgici ed altri sentimentali e salottieri. La direzione è stata sempre molto attenta a valorizzare tutte le parti, anche le più secondarie, indulgendo forse soltanto un po’ troppo, nel finale, alla compassatezza della scrittura orchestrale.