78 – Dicembre ‘91

dicembre , 1991

L’idea di perseguire l’obiettivo impegnato di un cinema in chiave omosessuale, non ci pare più peregrina di tante altre, né più meritoria. Derek Jarman torna a proporci una storia d’amore tra maschi in questo suo Edoardo II, liberamente tratto dall’omonimo testo di Cristopher Marlowe scritto intorno al 1593-94. Senz’altro a differenza di altre sue opere intorno a martiri protocristiani e pittori barocchi questa volta giova al cinema del regista inglese avere l’appoggio di un copione dal valore poetico indiscutibile e dalla grande efficacia drammatica. Elementi questi che vengono direttamente portati sullo schermo con la citazione abbastanza precisa, sebbene frammentaria, di quei versi. Succede però questa volta qualcosa di simile e diverso a quello che ci accadde quando assistemmo al Rossini, Rossini! di Comencini. Allora la musica sublime appariva scollata da una vicenda scioccamente resa, questa volta la vicenda tragica narrata dalle parole del drammaturgo inglese appare completamente avulsa dal cascame trovarobistico gay e sado-maso che il regista profonde a piene mani, inquadratura dopo inquadratura, con un ritmo più adatto ad un video clip di musica rock che a una tragedia. La modernità o eternità dei sentimenti dibattuti rimane intera e poco si può aggiungere oggi di nuovo a una bella storia d’amore, di potere e di disperazione come quella del trecentesco re Edoardo, e del suo bell’amante Gaveston. Di tanta intensità drammatica molto rimane anche nella vicenda filmica; ma noi riteniamo che la svilisca un gusto deleterio che cerca di proporre continuamente l’abbinamento sesso = distruzione. Ci sembrerebbe più giusto accettare che il sesso sia anche piacere e bellezza, come quasi sembra proporre lo stesso Jarman nella prima sequenza dell’amore tra i due marinai. Successivamente prevale l’orrore a tutti i costi, il sangue, l’odio. Anche troppo schematizzato ci pare il personaggio della moglie di Edoardo, la regina Isabella (parte che è valsa un premio a Venezia per Tilda Swinton per l’interpretazione), che a noi è sembrato essere più un rigido involucro di emblematica e forzata perfidia femminile che altro. Appena poco più credibili i personaggi maschili sostenuti da Steven Waddington ed Andrew Tiernan. La fotografia di Jan Wilson si è sbizzarrita in effettacci di ogni genere in terrosi ed infernali vastissimi ambienti e le musiche di Simon Fisher Turner alternavano elementi folcloristici medievaleggianti a disco music e jazz.