78 – Dicembre ‘91

dicembre , 1991

L’impressione è che insieme con l’anno stiano finendo molte speranze. Per esempio la speranza che gli uomini della politica possano sottrarsi ad un destino di cialtroneria che sembra essere il tramite inevitabile per cui intere nazioni si disgregano. A questo proposito non vale neppure più l’obiezione che critiche così distruttive siano segno di qualunquismo: i politici se le gettano addosso l’un l’altro e il mondo intero scricchiola, dopo che la debolezza dei regimi ha vanificato ipotesi totalitarie e illusioni capitalistiche. E anche venuta meno la speranza che esistano istituzioni al di sopra delle parti, o che qualcuno voglia e possa responsabilmente garantire alcunché. Il mondo si ritrova ad essere davvero un piccolo villaggio dove ciascuno cerca di prendersi la sua parte a scapito degli altri: non c’è rispetto per la vita e non ce n’è davanti alla morte. Se un idolo del rock muore di AIDS o un campione dello sport dichiara di essere siero positivo si scatena l’orgia mediologica e gli sciacalli si rallegrano perché più nessuno può sentirsi al sicuro: le categorie a rischio sono già patrimonio di una pubblicistica sorpassata e non bastano più ad appagare la curiosità morbosa che trasformando in merce anche la morte ne fa una cupa fonte di reddito. Se fino ad oggi qualcuno aveva pensato che la cultura potesse in qualche modo redimere l’umanità, sottrarla agli avvoltoi in agguato dietro ad ogni luogo comune, si sente prendere dalla disperazione vedendo che /’ignoranza è tale che il vero problema è diventato l’analfabetismo. A furia di vivere di immagini tutti abbiamo perso il contatto con la realtà da cui dovrebbero trarre origine: il significante non ha più nessun significato. Belli, ricchi e giovani sono soltanto gli ectoplasmi in cui fingiamo di voler riconoscere i possibili noi stessi. Persino il sesso si è ridotto ad una simulazione in videocassetta o a una telefonata sboccata. Le religioni, consolazione sempiterna per l’uomo sofferente nella valle di lacrime, hanno quasi tutte perduto la battaglia con la modernità: gli uomini, incapaci di riflessioni che non siano superficiali, le hanno trovate scomode, antiquate ed ingenue. Eppure bisogna trovare ragioni che rendano tollerabile la vita che abbiamo da vivere, per precaria e disperata che ci possa sembrare; ci scopriamo così esposti a due alternative fondamentali: coltivare l’amore di noi stessi contro tutto e contro tutti, contendendo al mondo intero ogni briciola che possa saziare un incontrollato principio di piacere; oppure identificare il piacere con l’amore. L’amore ha mantenuto fortunatamente una caratteristica che da sempre gli è stata riconosciuta: non conosce limiti.

Basta una scintilla di amore vero per la più insignificante realtà, perché si metta in moto un meccanismo che non si arresta e che coincide con lo stesso principio di conservazione del genere umano.

L’uomo è lupo per l’uomo, ma non riesce ad impedirsi di amare se stesso e nessuno può immaginare la propria felicità al di fuori del rapporto con gli altri. Dio è l’idea ultima davanti alla quale la disperazione può trovare un argine, ma è essa stessa un punto di partenza che tocca a ciascuno riempire di contenuti. Per questo l’idea di Dio appartiene talmente all’uomo da validare ancora oggi il pensiero del vecchio Anselmo d’Aosta. Certo, fa impressione dire questo dopo che il mondo ha conosciuto illusioni come  la filosofia, la politica, la scienza, l’economia, dopo che la Ragione ha celebrato i suoi trionfi, senza che l’umanità abbia conosciuto un briciolo di felicità in più. Pragmatico è oggi chi riconosce i limiti della Ragione e tuttavia non rinuncia ad essa, accettando fino in fondo le conseguenze che questo comporta.