78 – Dicembre ‘91

dicembre , 1991

In Piazza Farnese, in uno splendido palazzetto, da alcuni anni funziona uno dei più immeritatamente famosi ristoranti di Roma: Camponeschi. Una serie di salette fumose ed iper-affollate e un servizio disattento e sgarbato mettono fin da subito a disagio l’avventore. L’arredo è dozzinale e l’apparecchio della tavola ricorre allo scontato effettaccio degli enormi sottopiatti di metallo. Sola nota positiva è quella dei bicchieri appropriati ai diversi tipi di vino serviti, anche se bisogna dire che le proposte dei prodotti della casa sono scadenti, benché siano le sole a prezzi accessibili; per quel che riguarda invece le altre bottiglie, provenienti da una cantina quanto mai selezionata, i prezzi sono esorbitanti anche per una clientela spendacciona. Ricordiamo un Grumello di Negri dal profumo gradevole di banana a un costo abbordabile, e uno sgradevole vino da dessert dal metallico sentore. Per quel che si riferisce alla cucina bisogna dire che abbiamo trovato solo cibi squallidi e preparazioni ovvie; la carta è folta di proposte, ma i sapori sono pochi e monotonamente ritornanti.
In apertura vengono offerte dolciastre ovoline in una indefinibile salsetta, una crema di gorgonzola da super mercato e non sgradevoli olive condite. La preparazione di astice al tartufo nero sommersa di rughetta era oltre che squallida mal realizzata con una sgradevole sensazione di viscido e una preponderanza di erba aromatica quasi offensiva. La pasta e fagioli ai frutti di mare era slegatissima ed insapore; la pasta fatta in casa all’abruzzese si concretizzava in un piatto di pastina scotta buona per bambini malati. Abbiamo sentito il cameriere assicurare gli avventori di un tavolo accanto sulla grande freschezza del pesce. Noi non abbiamo diritto di metterlo in dubbio, ma la cosa non ci pareva così lampante. I tagliolini ai ricci di mare rozza e sgraziata preparazione, non erano che una sbiadita emulazione di una straordinaria ricetta che noi ricordiamo di avere gustato col massimo piacere dei sensi in un ristorantino di Procida. Il capriolo in salsa di mele al calvados sembrava annaffiato non tanto dal prezioso distillato di Normandia quanto dalla fresca acqua della fontana zampillante sulla piazza. Il filetto Enrico IV era travolto da un’accozzaglia di ingredienti sconclusionati. I dessert risultavano altrettanto tristi, si trattasse di una papposa tarte Tatin o della vetrosa creme brulée. Non abbiamo neppure potuto distrarci chiacchierando con gli amici perché il trambusto e la confusione rendevano impraticabile ogni tentativo di conversazione. Riconosciamo che questo è un ristorante alla moda, con ignominia di chi lo sostiene, per cui non ci siamo scandalizzati più di tanto davanti al conto sproporzionato.

L’albergo Quirinale di via Nazionale ha una storia di passati splendori ai quali, dopo un periodo di eclissi, pare ora che una nuova gestione intenda restituirlo. Noi avevamo sempre sbirciato di fuori questa vetusta gloria, situata così a ridosso del Teatro dell’Opera, con l’occhio distratto dei passanti. Il caso ha voluto che un giovanotto, che ci piace considerare nostro amico, si prendesse in questi giorni cura del bar dell’albergo, deciso a risuscitarlo a nuova vita. Bisogna dire che l’ambiente ha già fin d’ora, prima ancora delle annunciate trasformazioni, che vogliamo augurarci non lo snatureranno, caratteristiche accoglienti e raffinate, articolato nei salottini che stanno intorno al grandissimo salone principale e prima della sala da pranzo. Noi conosciamo da tempo il valore professionale di Gaetano, il giovane barman che ora muove qui i suoi passi e siamo sicuri che avrà le idee giuste anche in questa circostanza.
Per ora abbiamo visto prendere le mosse l’iniziativa del piano bar. Il Maestro Lauro è un veterano del genere, ha conosciuto la migliore clientela internazionale, ha un temperamento estroverso ed amabile, come ogni buon ischitano, e musicalmente ha un tocco gradevole ed accattivante, unito alla capacità di stabilire un immediato rapporto con l’uditorio. Nella buona stagione si può anche godere di un bel giardino, molto verdeggiante e fresco, vera oasi al centro della città. Per venire a quel che più conta diremo che Gaetano ha ulteriormente affinato le sue doti: non solo sa eseguire alla perfezione le più difficili preparazioni di cocktail classici, ma sa anche innovare e creare. L’ultima novità, ancora senza nome, ma noi suggeriamo di chiamarla Idomeneo, è una equilibrata mistura di vodka, banana e limone, molto dissetante, ma sufficientemente robusta. Per le imminenti festività ha già elaborato un raffinatissimo Christmas cocktail allo spumante e succo di melograno, ben decorato dai chicchi dello stesso frutto, scintillanti come festosi addobbi natalizi. Ogni nostra visita è anche la speranza di una novità, tanto è fertile la fantasia di questo giovanotto, che fino ad oggi non ci ha mai dato una delusione; e noi molto ben sappiamo quanto sia difficile resistere alle tentazioni della faciloneria. li bar è così vicino all’Opera che è il luogo ideale per un drink lontano dalla ressa del foyer e se non avrete la fortuna di incontrare Gaetano non c’è ragione perché vi preoccupiate: è al suo fianco Paolo, un ancor più giovane e, ci pare promettente collaboratore.