77 – Novembre ‘91

novembre , 1991

Per chi scrive, parole come Croazia e Slovenia hanno finora significato assai poco e della Serbia restava una reminiscenza scolastica legata all’inizio di una tra le tante tragedie che hanno colpito il mondo, che un po’ buffamente ha avuto il privilegio di essere da quasi tutti chiamata «la prima guerra mondiale», espressione ridicola e che svuota di gran parte del suo senso la drammaticità della storia dell’uomo sulla terra, segnata da sempre dalla guerra come forma quasi esclusiva di sopravvivenza. La Jugoslavia, per quanto vicina è sempre apparsa alonata da luci strane proiettate sulla sua storia e sulle intersezioni che ha avuto sulle nostrane vicende. Trieste irredenta, Istria italiana… Un cinema pseudo-realista ed in realtà di propaganda che sciorinava drammi e lacrime intorno ad un confine che divideva in due le città, spaccava a metà le case. Ancora una parola misteriosa, proprio più tremenda perché non davvero afferrabile concretamente: le «foibe». Tito poi apparve come l’astro dominante di un socialismo non pauroso, capace addirittura di essere perno di uno schieramento di «paesi non allineati» che pareva una chimera in una realtà così inesorabilmente divisa tra blocchi, in ogni momento a rischio di essere divorata dal capitalismo americano o dal totalitarismo sovietico. Poco più che flash di conformistica e fasulla parvenza di informazione su qualcosa che non riusciva ad interessare davvero. Forse fu soltanto l’accenno pudico che seppe fare Pier Paolo Pasolini della vicenda personale che lo coinvolse con l’oscura morte del fratello che incominciò a suscitare inquietanti riflessioni sulla contraddittorietà di realtà che non si debbono mai leggere in una chiave soltanto. Poco incise comunque quel campanello d’allarme quando la Jugoslavia prese ai nostri occhi l’aspetto ameno del paese delle vacanze. Una terra, la Dalmazia, dolce di boschi che s’adagiano sul mare calmo come un lago. Paesi che, a pochi chilometri dai monumenti di sontuose civiltà veneto-turche e di resti romani, vivevano una loro dignitosa laboriosità, ricchi di sole, ospitali, poveri senza disperazione. Discorsi di ragazzi convinti di avere un domani migliore dello ieri da cui avevano visto i loro vecchi emergere con fatica. Oggi Jugoslavia significa morte, distruzione, nuove disperazioni. Ancora, una propaganda addita in qualcuno che sta di fronte un nemico, nella morte un senso. «Libertà va cercando…» dice il Poeta. Il diritto alla libertà e alla sovranità di ogni popolo resta. Gli uomini però sono importanti finché sono vivi e disarmati.