77 – Novembre ‘91

novembre , 1991

Piergiorgio Paterlini afferma nell’introduzione al suo volumetto, Ragazzi che amano ragazzi (Feltrinelli, 1991, pagg. 125, Lit. 20000): «Storie tutte rigorosamente vere. Nelle quali non compaiono – per una volta – soldi, lampioni e signori che si fermano con la macchina. Storie che dicono come sono oggi i ragazzi omosessuali in Italia. Ma prima ancora che essi ci sono, esistono, anche se non ci accorgiamo quasi mai di loro.»
Noi non abbiamo elementi per non ritenere rigorosamente vere queste quindici storie raccontate direttamente dai protagonisti adolescenti; però è una nostra soggettiva impressione che ce le fa sembrare tutte inventate.
Se non ci sono gli elementi e i personaggi tipici della prostituzione, è altrettanto vero che i pochissimi elementi costitutivi di ogni storia sembrano essere sempre gli stessi, estratti di volta in volta a caso, come i bussolotti da un sacchetto. Padre e madre comprensivi, padre e madre infuriati, amici che accettano, amici che provano ribrezzo, sorelle più o meno alleate o sconvolte. Su tutto una pioggia di giornaletti pornografici. Questi «checchini» parlano tutti lo stesso linguaggio, stereotipo, misero e abbastanza corretto. Noi ci rifiutiamo di credere che i ragazzi che desiderano altri ragazzi (e noi siamo convinti che lo siano tutti) siano solo o proterve marchette oppure esili e vuoti signorinetti che fantasticano il bell’amante muscoloso per impostare una vita da telenovela. Per fortuna la nostra esperienza clinica non ci dà lo stesso quadro desolante e banale: la psiche e la sessualità sia dei giovani sia degli anziani è molto più articolata, drammatica e allegra. Le storie di Paterlini sono invece solo diversi modi di raccontare la stessa storia e non possono quindi essere rappresentative di un mondo come quello adolescenziale, senz’altro molto più variegato, sfumato, profondo, entusiasta e tragico.
Se l’intenzione è quella di isolare l’aspetto della normalità di questi giovani, allora però è il concetto di normalità come l’intende l’autore che noi critichiamo con molta durezza.

L’analisi della lingua parlata non è certo una scoperta dell’Ottocento; oggi la linguistica è diventata un aspetto della ricerca scientifica, quasi autonomo. I linguisti, da De Saussure in avanti, hanno detto cose più o meno intelligenti e utili, molto spesso anche proficue ed interessanti. Il fatto è che gli studiosi della lingua verbale, hanno sempre fatto confusione tra linguaggio, parola, linguaggi, conscio, inconscio. Per cui questa scienza, per il momento, non è che un guazzabuglio impreciso; anche perché molti linguisti usano i termini lingua e linguaggio, dando per scontato di parlare sempre di comunicazione verbale; non rendendosi spesso conto che le strutture linguistiche sono moltissime: dai gesti delle mani ai movimenti degli occhi, dall’uso dei colori e dei suoni, fino alle più varie forme di espressione. Quando un filosofo della lingua è anche tronfio e sussiegoso, non sa scrivere ed è immerso in una confusione mentale quasi delirante, vengono fuori libri come quello di Juergens Habermas Il pensiero post-metafisico, (Laterza, 1991, pagg.301, Lit. 30000). Pensiamo che parte del problema sia anche dovuto alle difficoltà di traduzione incontrate da Marina Calloni, la quale forse non è in grado di padroneggiare del tutto gli elementi di filosofia e linguistica. Le scorrettezze filosofiche e metodologiche di Habermas sono in ogni caso innumerevoli, così che non ci pare possibile impostare con lui alcun dibattito, tanto quello che dice risulta essere un balbettio con i termini usati a vanvera. Ad esempio analizza molte espressioni verbali ed il loro uso, contestuale e non, confondendo tra struttura e funzione. Inoltre sembra non rendersi conto che esistono i lapsus. Affronta anche il problema della metafisica e della post-metafisica dicendo che il fondamento della metafisica tradizionale sarebbe tutto circoscritto nel rapporto tra l’uno e il molteplice: «Unità e pluralità denota il tema sotto il cui segno la metafisica è esistita fin dal principio. La metafisica vuole ricondurre tutto ad uno; sin da Platone essa si presenta nei suoi tratti determinanti, come la dottrina del Tutto-unità…» (pag. 151); dimostrando di non tenere conto della discussione sulla questione tanto dibattuta della mobilità e immobilità, da cui scaturisce il concetto di spazio-tempo. Habermas ha un terrore folle ed a nostro avviso ingiustificato della parola «ragione», ma ancora più della parola «irrazionale»; per questo cerca di tenere i piedi in due staffe, in uno sforzo di equilibrio inconcepibile. Un certo interesse ha destato in noi il capitolo ottavo che dibatte il problema del rapporto tra linguaggio scientifico e linguaggio letterario: «Non si dà alcuna rottura innovativa con forme e abitudini scientifiche convalidate, senza un’innovazione linguistica: questa connessione non pare controversa. Freud era anche un grande scrittore» (pag. 237). Ci siamo resi conto di aver commentato il libro in modo disorganico e forse addirittura poco comprensibile; ma abbiamo veramente fatto fatica a trovare qualcosa su cui dibattere in quell’insalata di parole. Potrebbe essere questo un invito a leggere il volume, per cercare di capire di più; ma noi diciamo drasticamente che non ne vale la pena: ci siamo già annoiati a sufficienza noi.