76 – Ottobre ‘91

ottobre , 1991

L’anno prossimo ricorrerà il bicentenario della nascita di Gioacchino Rossini. Pensiamo che quindi rientri nel progetto celebrativo la produzione che la RAI ha deciso insieme con tre coproduttori, francese, tedesco e spagnolo del film Rossini! Rossini! Il grande compositore di Pesaro ha rappresentato una delle vette musicali della cultura dell’occidente ed è da noi profondamente amato. La sua musica è elegante e raffinata, ma nel contempo, immediata, coinvolgente e fruibilissima da tutti. Grandissimo nel teatro, raggiunse i vertici anche nella musica da camera e religiosa. Arguta fino all’inverosimile, la sua musica pure è capace di esprimersi in momenti di grande profondità e malinconia. Non si può certo ridurre Rossini ad un paio di cabalette ed una tarantella; la sua arte è ricca, completa e significativa. È quindi possibile che di tutto questo non resti nulla nel personaggio che Mario Monicelli ha disegnato nel suo film? Senza dubbio Rossini non era quel tipo di compositore romantico che si svenava sulle tastiere dei pianoforti e tutti sanno, lo racconta persino l’aneddotica popolare, che era amante del buon cibo, delle donne, della mondanità, del fasto e dell’allegria; ma quella che viene raccontata sullo schermo è soltanto la banale vita di un ometto insignificante. Sembra persino che non gli interessi un gran che la stessa musica. Scodinzola attorno al contralto Marcolini e al soprano Colbran, intrattiene banali rapporti con alcuni amici e da vecchio, circondato da idioti e ridotto all’idiozia egli pure, racconta un po’ depresso aneddoti sulla sua vita, scontati e di sapore scolastico. In tutto il film due personaggi soltanto ci sembrano sufficientemente riusciti: un vecchio cane San Bernardo intrigante e nostalgico e l’impresario Barbaja che Giorgio Gaber riesce a rendere con estrema umanità ed efficacia nella sua sciacallesca bonomia. Tutti gli altri non esistono: sono involucri più o meno fastosi che, tra crinoline rasi e salotti si aggirano e si affannano senza mai acquistare una psicologia che li caratterizzi come esseri credibili.
Il protagonista stesso, Rossini, è addirittura spaccato in tre: del bambinetto petulante e canterino non si ritrova nulla nel giovanotto vacuo ed insulso cui dà corpo Sergio Castellitto, del quale non rimane nulla a sua volta nella figura del vecchio obeso ed ipocondriaco che con rassegnata pazienza interpreta Philippe Noiret. Per coprire tanta inconsistenza si fa un grande spreco di contorni: scene di battaglia, lussuosi interni, costumi sfarzosi, preziosismi viscontiani nei dettagli, senza che tutto questo si coaguli in un clima vero e proprio e neppure si trasformi in un’epopea; di tanto sforzo sono meritevoli artefici la fotografia di Franco Di Giacomo, le ambientazioni di Franco Ve1chi, gli arredi di Bruno Cesari ed Ezio Di Monte e lo scaltrito montaggio di Ruggero Mastroianni. Il commento musicale, «quasi» tutto di Rossini, come è ovvio che sia, è stato scelto con gusto sicuro e grande perizia da Bruno Cagli e rende con la sua intrinseca bellezza sopportabili le lungaggini del polpettone. Ciò che procura un leggero senso di disorientamento viene dalla sovrapposizione di due livelli così diversi: da un lato si gode l’emozione di una musica di grande bellezza, a volte raffinata e persino sublime; mentre dall’altro canto si vedono scorrere immagini di nessun interesse che non sono neppure capaci di ricostruire una qualunque storia. Se questi vogliono essere gli intenti della divulgazione culturale ed artistica, dobbiamo dire che ancora una volta si sbaglia, proponendo solo un seguito di banalità che ottundono le possibilità critiche di chiunque.