74 – Luglio ‘91

luglio , 1991

Al ristorante Augustea in via della Frezza, affacciato su quel capolavoro di sintesi architettonica che è piazza Augusto Imperatore, abbiamo trovato soltanto due motivi per rallegrarci: l’aria condizionata e una bottiglia di Ribolla – di Collavini – molto armonica, dal buon profumo di pesca-noce e servita alla giusta temperatura. Tutto il resto ci ha letteralmente disgustato. Anche ciò che non era proprio immangiabile, infatti era servito con tanta violenta malagrazia che induceva il depresso avventore a rigirarlo nel piatto tristemente, lasciandolo freddare e languire inerte. I frittini dell’antipasto, abbastanza appetitosi a prima vista, risultavano poi unti; la mozzarella grondava acqua e il prosciutto era di carta. Tra i primi piatti si salvavano gli spaghetti alle vongole veraci, di giusta cottura, conditi generosamente con un buon sughetto piccantino; inqualificabile era invece il risotto ai funghi porcini, questi già di per sé insapori, ma che scomparivano sotto la prepotente predominanza organolettica del burro e del formaggio eccessivi. Il sugo al pomodoro degli gnocchi, non sgradevole, ma squallidino, si sviliva su quelle pallocchette gommose e insapori. La costata di manzo consisteva in un taglio non eccellente, banalmente approntato per fare nel piatto la più triste delle figure; irritante era il fritto di cervello e verdure: se queste infatti risultavano quasi sopportabili, quello invece risentiva di numerose rifritture che non riuscivano però a nascondere un poco allettante sentore di «passato». I calamari alla Luciana si distinguevano per l’insopportabile elastica durezza e la sogliola fritta non era che un ricordo di pesce perso in una troppo spessa impanatura.
La cassata siciliana e il tiramisù bruciavano in gola per l’eccesso di zuccheri. E difficile esprimere la meraviglia di fronte poi ad un vassoio di frutta di qualità tanto scadente: nespole, pesche, albicocche e ciliege avevano lo stesso sapore di rapa.
Non abbiamo ancora detto di un Frascati della casa, anonimo e caldo, e di uno Schioppettino dell’ottantanove, piuttosto piatto.
Su tutta questa desolazione di materie prime ambigue e non di prima scelta, preparate e offerte nel più squallido dei riti della routine di una ristorazione menefreghista ed arrogante, si è posato poi un conto così elevato da lasciarci allibiti. Per fortuna la zia di un nostro caro amico campano, ci aveva da poco mandato una bottiglia di quello squisito liquore di limone che è il vanto della regione e noi, seduti sul terrazzo di casa, abbiamo nelle sue fresche delizie ritrovato la gioia di vivere che l’infelice esperienza pareva averci tolto per sempre.

Memori delle tragiche esperienze culinarie di cinque anni consecutivi di Festival a Spoleto, nel pochissimo tempo che abbiamo passato li quest’anno non ce la siamo sentita di rischiare. Abbiamo sbirciato e annusato dall’esterno molti ristoranti: alcune nostre vecchie tremende conoscenze ed anche qualche nuovo e ci siamo poi decisi: la prima sera, per la Trattoria del Quarto, dove la gentilissima signora Joelle, nel suo gradevole giardinetto ci ha rapidamente allestito una simpatica cena di fragranti antipasti misti, ottimi strangozzi al tartufo e funghi, arista al tartufo, fresche verdure e una crescionda né troppo secca né troppo umida, il tutto accompagnato dal Grechetto della Cantina sociale, fresco e gradevole e dal rosso Decugnano dei Barbi, sufficientemente armonico. Il tutto sarebbe stato quanto mai gradevole se non fossimo inciampati nei fagottini alla Valnerina, gustosi involtini che un diavoletto ha suggerito allo chef di ricoprire con un mestolone di tremendissima panna che li ha compromessi col suo gusto dolciastro e ha dato loro una vischiosa consistenza. Lo sappiamo che ai clienti piace la panna, ma, se proprio la si vuol servire, bisogna scegliere con estrema cura i piatti che possono sopportarla, almeno in parte. Oltre tutto dobbiamo dire che il locale ha mantenuto in limiti accettabili il prezzo.

Ottima invece, senza riserva, la cena alla Trattoria del Mercato, nell’omonima piazza; abbiamo trovato materie prime eccellenti e preparazioni accurate: dagli antipasti misti, al salame d’oca, alle superlative lumache al serpillo; le pappardelle sommerse di ottimo tartufo e gli strangozzi all’aglio e olio, ci sono parsi primi piatti stuzzicanti e gustosi, saporiti e profumati di una cucina antica e sapiente. Le fondutine al tartufo e le frittelle di rana sono state proposte nuove e stimolanti anche perché realizzate con sicurezza. Persino l’audacissima tranciata all’aceto balsamico dal sapore deciso e difficilmente abbinabile a qualunque vino ci è piaciuta. La sorpresa vera ci è venuta dai dolci fatti in casa (<